Rolling Stone Italia

10 film per il primo maggio

Dal canto definitivo sulla lotta per i diritti, col solito monumentale Gian Maria Volonté, alla commedia sul posto fisso record d'incassi di Checco Zalone: ecco cosa guardare per la festa dei lavoratori

Checco Zalone in 'Quo vado?'

L’impiegato (1960) di Gianni Puccini

Gianni Puccini, regista (sottovalutato) di capisaldi del cine-costume del Boom come Il marito e I cuori infranti, fa del Nando di Nino Manfredi (straordinario come al solito) una sorta di Fantozzi ante-litteram: logorio della vita d’ufficio, e fughe immaginifiche in una realtà parallela (nella fattispecie: quella dei Gialli Mondadori). Da recuperare, a maggior ragione in un giorno di festa.

La vita agra (1964) di Carlo Lizzani

Forse il Tognazzi migliore di sempre. Di certo il più struggente. La storia la dobbiamo a Luciano Bianciardi, che ha firmato con questo libro il suo capolavoro. A cui il film di Carlo Lizzani rende più che giustizia, mettendo in scena la tragicommedia del responsabile delle iniziative culturali di una grande azienda mineraria che pensa di far saltare tutto. Letteralmente: lo sguardo del protagonista verso il grattacielo (la milanese Torre Galfa) che vuole ridurre in macerie non te lo levi più dalla testa. Partecipazione straordinaria di Enzo Jannacci, se volete un motivo in più per (ri)vederlo.

La classe operaia va in paradiso (1971) di Elio Petri

Pensate a un film a tema lavoro: tutti direte questo. Mica a torto. Nel pieno degli anni della contestazione, Elio Petri firma – grazie anche alla performance al solito monumentale di Gian Maria Volonté – il canto definitivo sulla lotta per i diritti dei lavoratori. Nessuno ha dimenticato la parabola di Ludovico Massa detto Lulù, diligente operaio amato dai padroni e odiato dai colleghi. Finché non decide di salire sulle barricate. E noi con lui.

Paul, Mick e gli altri (2001) di Ken Loach

Potrà non essere il miglior Ken Loach. Ma, tra i tanti film (tutti?) dedicati dal Brit-pasionario al mondo del lavoro e ai suoi diritti eternamente negati, è uno dei più off. Capace di inquadrare precisamente una realtà che nessuno di noi conosceva: quella degli operai danneggiati dalla privatizzazione della rete ferroviarie inglese nel 1995. Da una storia vera, con le solite facce di non professionisti (o quasi) più vere del vero.

Il responsabile delle risorse umane (2010) di Eran Riklis

Alienato dalla meccanicità del proprio lavoro e dalla vita privata, il responsabile delle risorse umane di un panificio industriale di Gerusalemme deve rimediare al danno d’immagine dopo che la sua azienda ha trascurato la scomparsa di una dipendente, morta in un’attentato. E si offre così di scortarne la salma al paese natale in Romania. Tratto da un romanzo di Abraham B. Yehoshua e diretto dal regista del Giardino dei limoni, un road movie picaresco, un viaggio fisico e morale in cui protagonista ritrova se stesso, lontano da quella routine che gli aveva tolto ogni umanità.

Due giorni, una notte (2014) di Jean-Pierre e Luc Dardenne

Seconda candidatura all’Oscar (dopo quella diventata statuetta per La vie en rose) per Marion Cotillard, diva che, nelle mani dei fratelli Dardenne, “scompare” nei panni di Sandra, operaia che vuole tornare in azienda dopo un periodo di depressione. Ma il datore di lavoro ha promesso un bonus di 1000 euro a tutti i suoi dipendenti in cambio del licenziamento della donna: riuscirà a convincere i colleghi a non farla fuori? Un impianto da thriller sociologico per uno dei film che meglio dipingono il mondo del lavoro di oggi, scenario di una guerra tra poveri dove contano solo il ricatto e la miseria (anche umana). Ennesimo capolavoro dei due frères belgi.

Smetto quando voglio (2014) di Sydney Sibilia

Soluzioni creative al precariato in uno degli esordi più folgoranti, divertenti e divertiti del cinema di oggi: quello di Sydney Sibilia, che inaugura la commedia all’italiana contemporanea con derive di genere e un occhio oltreoceano. Si ride con la sgangherata gang di ricercatori universitari diventati spacciatori per necessità, ma si riflette anche su una generazione, quella dei 40enni, bistrattata e dimenticata, tra storie di cervelli in fuga e laureati disoccupati. E non perdete gli altri due capitoli della saga, che la posta in gioco è sempre più alta.

Lo stagista inaspettato (2015) di Nancy Meyers

Commedietta un po’ così, ma c’è Robert De Niro, e tanto basta. Se poi vi immaginate il vecchio Bob nei panni un vedovo settantenne annoiato dalla pensione che si ritrova a fare lo stagista di una Anne Hathaway donna in carriera, non serve dire altro. Un classico feel-good movie alla Nancy Meyers, che però affronta in maniera tutt’altro che banale il gap generazionale e il rapporto tra vita privata e lavoro. Scena cult: la mail inviata per sbaglio e i disperativi tentativi per rimediare. Almeno una volta nella vita è successo anche a voi, lo sappiamo.

Quo vado? (2016) di Gennaro Nunziante

Checco Zalone, l’italiano medio e la sacralità del posto fisso: ne viene fuori una commedia clamorosa (anche al botteghino, con un incasso record di 65 milioni di euro), che ha fatto la storia del nostro cinema e del nostro costume. Il bamboccione funzionario dell’ufficio provinciale caccia e pesca che è disposto a qualunque cosa pur di non mollare l’impiego statale è un campionario di umanità italianissima. E La prima repubblica, hit à la Celentano con cui Zalone accompagna il film, è un instant cult: “Con un’unghia incarnita eri un invalido tutta la vita”.

Si muore tutti democristiani (2017) de Il Terzo Segreto di Satira

Prima incursione al cinema del collettivo che ci ha conquistato con i video di satira politica sull’elettorato (di sinistra e non). Qui il gruppo si misura con una commedia agrodolce, una riflessione ironica ma inesorabile sul compromesso: tre amici sognano di realizzare documentari a tema sociale e arriva una proposta da una onlus poco trasparente. Meglio fare cose pulite con soldi sporchi o cose sporche con soldi puliti?

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