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‘Over The Sea’ raccoglie storie e ritratti di mamme e bambini che provengono da paesi in guerra o da situazioni estremamente difficili; la maggior parte proviene dall’Africa centrale, in particolare dalla Nigeria, un paese molto grande dove all’interno sono presenti culture diverse e dove esiste la dittatura di Boko Haram.
Qui molte donne di religioni e etnie differenti vengono uccise o rapite e molte, tra coloro che riescono a fuggire, restano vittime della tratta della prostituzione o del traffico di organi. Ogni volta che una di queste donne affida la propria storia, è molto dura accoglierla lasciando ogni tipo di giudizio sospeso.
Una delle testimonianze emotivamente più forti è il racconto di una delle donne sopravvissute che ricorda di quando, dopo aver attraversato il deserto a bordo di una Jeep sovraccaricata di persone, si è ritrovata senza né acqua né cibo. Solo dopo alcune settimane il convoglio si è fermato nei pressi un pozzo con all’interno cadaveri e acqua putrida che sono stati costretti a bere per non morire disidratati.
Chi riesce a raggiungere l’Italia comincia un percorso scolastico: i bambini frequentano l’asilo dopo un regolare processo burocratico, proseguendo poi al normale percorso didattico, mentre alle madri che hanno un livello di scolarizzazione molto basso, viene insegnato a scrivere inizialmente il proprio nome. Un tempo, con i registri firmati ogni giorno, vedevano come cambiava il loro nome, all’inizio era una linea, poi una X e a poco a poco si trasformava in lettere e infine in una firma.
Le donne che arrivano al Centro di accoglienza sono convinte di trovare finalmente la tranquillità e la stabilità da sempre desiderate e di avere raggiunto una sicurezza a lungo termine. In realtà, il progetto di accoglienza garantisce loro un aiuto iniziale, ma solo alcune riescono a comprendere che si tratta di una situazione momentanea. Una volta uscite dal programma, studiano per avere la possibilità di un’occupazione lavorativa mentre alcune di loro, avendo ancora i figli nel paese di origine, hanno urgenza di lavorare fin da subito per poter garantire loro un futuro e un sostegno economico.
Deborah ha avuto modo di parlare con alcune donne che sono arrivate in Italia per fuggire dal proprio paese, ma che non avevano come obiettivo iniziale quello di arrivare qui. Cercavano solo un posto dove poter restare in vita e rimanere al sicuro, lontano da gruppi ribelli e ai margini della società, che tengono sotto controllo le autorità e combattono per avere norme e leggi proprie.
Ci sono state donne sposate con uomini mafiosi che vivevano nel lusso, ma sentivano e vedevano cose inaccettabili e alla fine hanno trovato il coraggio di denunciare: «Con lui avevo gioielli, una bella casa e vestiti di classe. Tutto ciò che una donna desidera no? Ma vivere con un mafioso era come avere una cassa da morto davanti per tutto il tempo, perché quell’organizzazione può distruggere tuo marito, te e i tuoi figli».
Deborah Larocca nasce a Firenze nel 1992 e fin da bambina si interessa a tutto ciò che riguarda il mondo dell’arte, in particolare cinema e fotografia. Nell’ottobre 2016 entra a far parte della Scuola Internazionale di Fotografia e Narrazione Visiva APAB di Firenze, dove si diploma e ottiene la qualifica di Tecnico per la Produzione di Prodotti Fotografici, Audiovisivi, Grafico - Editoriali e Storytelling. Successivamente inizia a lavorare come fotografa per aziende e webzine per poi specializzarsi nel ritratto, ispirandosi alle particolarità espressive dei volti e cercando di coglierne ogni sfumatura e caratteristica. Nel novembre 2019 si iscrive alla Fondazione Studio Marangoni di Firenze dove consegue un Master in Ritratto.
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