Ahi ahi, G2A: adesso si compra la stampa | Rolling Stone Italia
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Ahi ahi, G2A: adesso si compra la stampa

Il famigerato sito di key reselling palleggia le polemiche con nonchalance. E si mette ancor più nei guai

Ahi ahi, G2A: adesso si compra la stampa

La petizione è partita dallo sviluppatore Mike Rose, autore del gioco di ciclismo estremo Descenders.

Abbiamo parlato proprio pochi giorni fa della nuova polemica che ha travolto G2A, il sito che permette agli utenti di rivendere le chiavi dei videogiochi, e della petizione lanciata da un gruppo di sviluppatori affinché la piattaforma tolga dalle sue pagine quelli indipendenti. Ma mentre l’iniziativa veleggia verso le 4000 firme (sulle 5000 indicate come obiettivo finale), G2A ha provato a correre i ripari riuscendo addirittura ad aggravare la propria posizione.

Per prima cosa ha postato una lunga risposta sul proprio sito dove da una parte accusa gli sviluppatori di aver lanciato la polemica solo per attirare l’attenzione dei media, dall’altra si impegna a ripagare dieci volte tanto il danno subito agli interessati a patto che dimostrino, passando per la valutazione imparziale di una società terza, che le chiavi vendute sul portale siano davvero state ottenute in maniera illegale.
Inutile dire che la proposta non ha convinto quasi nessuno, un po’ per l’effettiva difficoltà di dimostrare la provenienza fraudolenta delle chiavi ma soprattutto perché il vero danno economico per gli sviluppatori non è tanto sulle mancate vendite o sui rimborsi dovuti agli utenti vittime di frode, ma sulla perdita di quello che è il valore percepito del gioco: nessuno infatti è disposto a pagare a prezzo pieno sapendo che altrove lo stesso prodotto è acquistabile a meno della metà. E ora che G2A – che a quanto pare investe molto nella sponsorizzazione – è al primo posto nei risultati di ricerca su Google, scalzando addirittura i canali di vendita ufficiali dei giochi digitali, la portata del problema è abbastanza evidente.
Ma se la compagnia si fosse limitata solo a parlare in propria difesa, tutto sommato non ci sarebbe stato molto da ridire. Il caso vuole però che proprio negli stessi giorni in cui la shitstorm imperversava, abbia cominciato a girare un’e-mail diretta ad alcuni siti di videogiochi dove un rappresentante dell’azienda proponeva la pubblicazione di un articolo preconfezionato in cui si tessono le lodi del servizio. Nella richiesta, oltre a offrire il pagamento di un corrispettivo, si chiedeva ai destinatari di non specificare la collaborazione di G2A. In altre parole, si invitavano i siti a fare pubblicità occulta, una pratica che oltre a essere deontologicamente scorretta, in molti paesi (tra cui il nostro) è anche illegale.

Non appena la notizia ha cominciato a girare, G2A è di nuovo corsa ai ripari scusandosi e dichiarando che si trattava dell’iniziativa autonoma di un dipendente nei confronti del quale saranno presi seri provvedimenti. Autorizzata o meno, se lo scopo della trovata era quello di migliorare l’immagine dell’azienda, come si legge nell’e-mail, possiamo tranquillamente dire che è stato un bel boomerang.

Lo sviluppatore TinyBuild ha accusato G2A di aver venduto parecchie chiavi dei suoi giochi per un valore complessivo di circa 450 mila dollari.

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