Sui videogiochi, ha ragione Trump | Rolling Stone Italia
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Sui videogiochi, ha ragione Trump

Un tentativo per assurdo di dare ragione al Presidente americano. Riusciremo nel nostro intento?

Sui videogiochi, ha ragione Trump

Si scansino i fumetti, da decenni considerati un passatempo innocuo. Si allontani a testa bassa la musica heavy metal, ormai ampiamente sdoganata. Non si presentino neanche all’appello i film horror. Non c’è bisogno di loro, sono passatempi per giovincelli. È colpa dei videogiochi. È tutta colpa loro. Lo sospettavamo tutti, ma nessuno aveva mai trovato il coraggio di dirlo in maniera così netta e perentoria. Per fortuna è arrivato lui, Donald Trump. Ha parlato, e ci ha illuminato. In pochi secondi è riuscito a trovare la causa dei “mass shooting” che con drammatica frequenza si verificano negli Stati Uniti. Non c’è nessuna correlazione con la possibilità di acquistare liberamente qualunque tipo di arma. O con la possibilità di detenere in casa un (neanche troppo) piccolo arsenale. No, quelli non sono dei problemi. Il male assoluto è un altro.

Peace and Love

È presto per proporre Trump per il Nobel per la pace (e la sua pettinatura per il premio Pritzker). Già perché per ora ha solo individuato il problema. Ora deve trovare il modo di estirparlo alla radice. Come fare? Difficile da prevedere. Gli ostacoli che dovrà fronteggiare saranno numerosi, perché è risaputo che la lobby dei videogiochi è forte negli Stati Uniti. Non come quella delle armi. Si troverà a combattere una battaglia dura, solo contro tutti. Rischierà di perdere popolarità in una nazione che lo adora. Che ne apprezza il suo impegno civile, la sua disponibilità ad aiutare chi soffre, la sua indiscussa e indiscutibile raffinatezza. Potrebbe anche perdere punti importanti alle prossime elezioni presidenziali, ma questo è un rischio che deve correre. Quando c’è di mezzo un bene superiore, tutto il resto non conta. Non contano neanche le statistiche, mostrate per esempio da Reggie Fils-Aime (ex presidente di Nintendo America) in un post sul suo account Twitter.

Certo che non contano. Saranno state chiaramente taroccate. In fondo Reggie ha bazzicato nell’ambiente dei videogiochi fino all’altro ieri, quindi non è certo disinteressato. E non solo. Ha lavorato per Nintendo. Tutti conoscono Nintendo, diventata ricca e famosa grazie ad avventure in cui gli ingredienti chiave sono un idraulico, una principessa e dei funghetti dai poteri magici. Sembrano le basi di un porno di quarta categoria. Insomma, l’impero del male che non pone limite ai suoi sviluppatori, li lascia liberi di qualunque nefandezza e di qualunque violenza. Quindi, cancelliamo le statistiche disponibili fino ad ora, in attesa di confezionarne qualcuna ad hoc, e andiamo avanti.

In questi momenti il pensiero vola a Helen Lovejoy: «Perché nessuno pensa ai bambini?».

War Games

Più ci pensiamo, più ci accorgiamo che Trump ha ragione. Per esserne sicuri al 100%, facciamo una breve ricerca. Una cosa veloce, che richiede giusto qualche minuto di tempo. Non pretendiamo di raccogliere dati che abbiano un valore assoluto, ma vogliamo vedere se le nostre sensazioni sono giuste. Prendiamo come punto zero gli anni ’70, periodo in cui si sono affermati i primi videogiochi. E andiamo a ritroso. Visitiamo diversi siti. Da persone diversamente giovani, recuperiamo degli oggetti voluminosi conosciuti anche come libri e li consultiamo brevemente. Abbiamo una, due, tre conferme. Prima della nascita dei videogiochi, non esisteva la violenza. Non c’erano guerre. Non c’erano pericoli. C’erano invece le mezze stagioni, probabilmente sparite a causa dell’inquinamento causato da qualche malvagia software house. Il mondo era popolato da elfi, fate e unicorni. Sono serviti migliaia (milioni) di anni per fare in modo che ogni ingranaggio sulla terra funzionasse come in un meccanismo perfetto, poi è stata sufficiente la comparsa di un granello di sabbia di forma quadrata (la pallina di Pong) per far saltare tutto in aria. E per far nascere nuovi sentimenti, sensazioni inesplorate che sono sfociate in ogni genere di conflitto. Ma forse, grazie a Donald, possiamo farcela. In un mondo in cui ci chiediamo, per citare le immortali parole di Helen Lovejoy nei Simpson, «Perché nessuno pensa ai bambini?», lui potrebbe essere la nostra speranza.

Un pizzico di serietà

Mentre camminiamo freneticamente nel nostro studio in cerca di qualche suggerimento per Trump (e per tutti i politici che intendono seguirlo), inciampiamo e sbattiamo la testa. Pochi secondi, e ci sentiamo diversi. Siamo rinsaviti. Siamo tornati a ragionare lucidamente. E ci rendiamo conto di una cosa. Ci vuole coraggio per suggerire una stretta correlazione tra una qualunque strage e i videogiochi. Coraggio misto a ignoranza (nel senso più etimologico del termine) e incompetenza. Oppure in alternativa, bisogna avere la faccia che assomiglia tanto a una parte poco nobile del corpo umano. Scoregg… ehm, parlare, sorridere e sviare. Pescare una carta nel mazzo (composto dai sopracitati horror, heavy metal, fumetti…) e metterla in bella mostra. E, mentre tutti la guardano, muovere in maniera discreta il piedino per nascondere sotto il tappeto il vero problema…