La Top 10 delle console da dimenticare | Rolling Stone Italia
Gaming

La Top 10 delle console da dimenticare

10 console che probabilmente non avrete mai provato… e che noi non avremmo mai voluto provare.

La Top 10 delle console da dimenticare

Grandi e piccole, con uno schermo o una pistola, con cartucce o CD. Il campionario di fallimenti è vasto e decisamente vario.

1977. All’interno di un grande negozio di elettronica, un uomo osserva con attenzione due oggetti. Non si tratta di oggetti qualunque, ma degli ultimi ritrovati della tecnologia. Si chiamano videoregistratori, e funzionano a cassette. All’apparenza sono simili, ma nascondono al loro interno una enorme differenza. Uno è Betamax. L’altro è VHS. L’uomo ne scruta la forma, legge con moderata attenzione i depliant informativi, chiede qualche notizia extra all’addetto al reparto e poi decide. Si è convinto, ed è sicuro di aver fatto la scelta migliore. Betamax. È l’inizio di un fallimento, uno dei tanti(ssimi) della storia della tecnologia. Fallimenti che nel corso degli anni non hanno portato solo alla nascita (e alla morte) di nuovi formati audio e video, ma anche di tante, tantissime console. Queste sono le nostre “preferite”.

10. 3DO

Il 3DO è la perfetta dimostrazione di come un hardware potente da solo non basti a conquistare il mercato. Nata come una tecnologia ideata dalla 3DO Company e acquisita su licenza da case quali Panasonic, GoldStar e Sanyo, non è mai riuscita a entrare nel cuore degli appassionati (e ad attirare di conseguenza i loro portafogli). Perché? Semplice. Se è innegabile che i giochi 3DO erano più fighi da vedere, console come Mega Drive e Super Nintendo potevano contare su due vantaggi non da poco. Primo erano economiche, molto più economiche. Secondo, e probabilmente più importante, disponevano di un catalogo di titoli sterminato, tra cui figuravano numerosi capolavori. Forte del suo potenziale (inespresso) il progetto 3DO si è trascinato per qualche anno, con un quantitativo imbarazzante di pessimi film interattivi affiancato da giochi di fattura più che apprezzabile, con ottime conversioni da coin op e produzioni originali. Tra i nostri preferiti il primo capitolo in assoluto della saga di The Need For Speed, reso ancora più leggendario da una spettacolare citazione de Il Pianeta Delle Scimmie.

Gex è una delle esclusive più interessanti nel catalogo 3DO. Un platform game di ottima fattura.

9. Atari Jaguar

Al netto delle discussioni relative alla sua effettiva potenza (64 bit “camuffati”), il Jaguar è un perfetto esempio di totale incapacità di sfruttare le proprie potenzialità. La console Atari, che al tempo del lancio (tra il 1993 e il 1994 a seconda del mercato) doveva vedersela con Super Nintendo, Mega Drive e 3DO, aveva in teoria tutte le carte in tavola per giocarsela con la concorrenza. Ma ha fallito miseramente. Colpa di una strategia di marketing suicida, per non dire inesistente e di un supporto degli sviluppatori ridotto ai minimi termini. Il risultato? Pochi giochi di qualità, comunicati malissimo al pubblico. L’uscita del Sega Saturn e della prima PlayStation sono stati due veri e propri colpi di grazie, a cui Atari ha provato a rispondere con una mossa disperata: il Jaguar CD. Una periferica inutile, insensata e, tanto per cambiare, mal supportata, con una dozzina di giochi in totale. Lo stop alla produzione ci ha precluso (e, probabilmente, è un bene) l’ultimo tocco di classe, il Jaguar VR, periferica per la realtà virtuale presentata al CES del 1995 e mai andata oltre lo status di prototipo. Sparito dalla circolazione, il Jaguar sarà comunque ricordato per il suo joypad, uno dei più brutti (e scomodi) della storia. Insomma, più che un giaguaro, un gattino spaventato.

Alien Vs Predator è il punto più alto della storia del Jaguar. Tutto il resto è poco roba.

8. Philips CD-i

Siete in cucina. Avete davanti a voi una serie di ingredienti di grandissima qualità. Li guardate e pensate “siamo pronti a preparare un vero capolavoro culinario”. Mischiate il tutto, assaggiate e… sputate il più lontano possibile il risultato del vostro lavoro. È questo quello che è accaduto con il CD-i. Philips aveva per le mani un sistema di immagazzinamento dati più capiente rispetto alla concorrenza. Poteva contare su alcune licenze clamorose (Mario e Zelda). Disponeva di una vera e propria piattaforma multimediale (musica, foto, film con l’apposita cartuccia video) a cui si affiancavano giochi e programmi educativi. Eppure quello che ha ottenuto è stato un fragoroso fallimento. Colpa di un prezzo decisamente fuori mercato, affiancato da un catalogo software corposo numericamente, ma per la maggior parte dei casi costituito da titoli al limite dell’imbarazzante. Le stesse avventure di Mario, Link e Zelda, che avrebbero potuto (e dovuto) fungere da traino per le vendite, si sono rivelate delle inenarrabili schifezze.

Riuscire a fare danni con personaggi del calibro di Mario e Link è difficile. Il CD-i c’è riuscito alla grande.

7. Bandai Pippin

“Pippi(n), Pippi(n), Pippi(n) che nome, fa’ un po’ ridere, ma voi riderete per quello che farò”. Avete letto? Bene, ora due cosa. Primo, se avete colto la citazione musicale, siete vecchi. Non c’è speranza. Lo siete e basta. Secondo, Pippi è a tutti gli effetti un nome ridicolo. Così come lo è Pippin, nome dato da Apple a quella che, a tutti gli effetti, può essere considerata la sua creatura più fallimentare. Nato non come sistema multimediale a sé stante, ma come una tecnologia da offrire su licenza a produttori esterni, Pippin (che, per la cronaca, è un tipo di mela) può vantare un numero impressionante di licenziatari: DUE! Il primo, Bandai, ha lanciato la sua versione (il Bandai Pippin, alla faccia della fantasia) nel corso del 1996 negli Stati Uniti e in Giappone, ottenendo su entrambi i mercati il medesimo, drammatico risultato. Vendite prossime allo zero, supporto prossimo allo zero, prospettiva di vita prossime allo zero. È forse in questo momento che in Bandai hanno capito che era meglio dedicarsi a Gundam, Dragon Ball e compagnia. Il secondo licenziatario è Katz Media (niente facile umorismo sul nome), azienda norvegese decisa a invadere il mercato europeo e canadese. Purtroppo la sua versione non è mai arrivata nei negozi. Un vero peccato.

Il Pippin non è mai stato distribuito ufficialmente nei negozi europei. Scampato pericolo!

6. Ouya

Ouya è l’ultimo nato della nostra classifica. È il piccolino del gruppo, non solo per questioni meramente anagrafiche, ma anche per le sue ridottissime dimensioni. È arrivato nei negozi partendo da basi all’apparenza estremamente solide, ma si è inesorabilmente spento perdendo ogni spinta propulsiva nel breve volgere di un paio di anni. Figlio di una campagna su Kickstarter di notevole successo, finanziata con oltre otto milioni e mezzo di dollari, Ouya si proponeva come una macchina rivolta a un pubblico di casual gamer, con un catalogo di titoli semplici e immediati. Inoltre era caratterizzato da una struttura aperta, che permetteva (per non dire incentivava) la creazione di contenuti in totale libertà. Premesse interessanti, che non sono riuscite però a catturare l’attenzione dei potenziali acquirenti anche a causa di alcuni difetti. Un controller pessimo, qualche problema di connessione e l’incapacità di gestire titoli che funzionavano perfettamente su cellulare rendevano l’esperienza di gioco ben poco accattivante. La produzione è stata interrotta nel luglio 2015, mentre nel 2019 sono stati chiusi tutti i servizi online. Qualche lato positivo? Viste le dimensioni, non occupa molto spazio in cantina.

Tante promesse, tante speranze, una cocente delusione. Questa è, in sintesi, la storia di Ouya.

5. RCA Studio 2

Un tuffo nella “preistoria” con una console che pochi hanno avuto la (s)fortuna di provare. Basta dare un’occhiata all’RCA Studio 2 per accorgersi che chiunque si sia occupato di curarne l’estetica aveva seri problemi con il concetto di funzionalità. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione di integrare i controller nella console, creando un tutt’uno di rara scomodità. Se tutto questo non bastasse, i giochi disponibili erano composti da un ammasso di quadratini in bianco e nero che, anche nel 1977, avevano ben poco appeal. Brutti da vedere e molto spesso anche banali da giocare i titoli disponibili per RCA Studio 2 (cinque inclusi nella confezione, una decina venduti separatamente) dovevano anche fare i conti con una spietata concorrenza. Neanche il prezzo (149$), inferiore sia a quello del Fairchild Channel F (169$) che a quello dell’Atari 2600 (199$) poteva in qualche modo aumentarne il fascino e renderlo appetibile.

Il design dell’RCA Studio 2 andrebbe mostrato come esempio da evitare. Scomodo, anzi, scomodissimo.

4. Nokia N-Gage

Siete nel 2003 e volete qualcosa per giocare mentre vi spostate in treno e metropolitana per andare a scuola o al lavoro. Siete nel 2003 e volete qualcosa per ascoltare gli mp3 che avete appena scaricato mentre vi spostate in treno e metropolitana per andare a scuola o al lavoro. Siete nel 2003 e volete qualcosa per telefonare e inviare messaggi mentre vi spostate in treno e metropolitana per andare a scuola o al lavoro. La risposta alle vostre necessità è una sola: N-Gage. Il problema è che, guzzantianamente parlando, è la risposta sbagliata. Il tentativo di Nokia di combattere lo strapotere Nintendo nel settore videogiochi portatili prometteva tanto, ma è fallito miseramente a causa di una serie di errori da principianti. Tra prezzo folle, scarso supporto software e scomodità in ogni sua componente (tasti pessimi per il gaming, slot di inserimento cartucce in posizione delirante) c’era solo l’imbarazzo della scelta. Ribattezzato “taco” per la sua forma, l’N-Gage ha avuto anche un fratello minore (N-Gage QD) prima di svanire nel dimenticatoio dopo nemmeno cinque anni di vita.

Telefono, console portatile, lettore mp3. Tutto in uno. Tutto drammaticamente pessimo.

3. Virtual Boy

Sono trascorsi quasi venticinque anni dal lancio del Virtual Boy, e ancora nessuno è riuscito a capire cosa passasse in testa a Nintendo quando decise di lanciarsi nella produzione di una macchina del genere. Il Virtual Boy è il tonfo più fragoroso della “Grande N”, un errore su tutta la linea, che neanche il fan più sfegatato può arrivare a giustificare. Scomodo oltre ogni ragionevole dubbio, riusciva a essere improponibile anche per sessioni di breve durata. L’utilizzo di due soli colori quali il rosso e il nero, peraltro poco rilassanti alla vista, trasformavano ogni partita in un mezzo incubo, con somma gioia dell’associazione ottici e oculisti. Lo scarsissimo supporto, con un totale di ventidue (sì, avete letto bene, solo ventidue) giochi a catalogo ha contribuito al rapidissimo declino del Virtual Boy, uscito di produzione neanche un anno dopo il suo lancio. Presente spesso a eventi di retrogaming come curiosità, è divertente da provare per un tempo che varia tra gli otto e i dodici secondi.

Il più fragoroso flop della storia Nintendo è rimasto sul mercato per meno di un anno. Meglio dimenticarlo in fretta.

2. Gizmondo

Regola numero uno nel mondo della tecnologia: se qualche parente vuole farvi un regalo, mai e poi mai lasciargli libertà di scelta. Men che meno se si tratta di acquistare dell’hardware. Perché? Semplice, per evitare storie da incubo. Ad esempio, guardare con impazienza il pacchetto ricevuto per il vostro compleanno, aprirlo con il cuore pieno di emozione, attendersi al suo interno un fiammante Nintendo DS e trovare al suo posto un Gizmondo. Con il parente in questione che vi osserva con orgoglio mentre dice “è l’ultimo ritrovato della tecnologia, me lo ha consigliato il commesso”. Non sappiamo se una scena del genere sia accaduta veramente (ci auguriamo di no), certo è che Gizmondo è una delle console portatili più fallimentari della storia dei videogiochi. Presentata in pompa magna da un’azienda svedese (la Tiger Telematics) coinvolta in scandali di varia natura (su tutti il collegamento alla Uppsala Mafia), è rimasta in produzione per poco meno di un anno. Quattordici giochi all’attivo, una trentina cancellati e un posto di assoluto rilievo in questa classifica. Stando ai pochi dati disponibili, pare cha siano state in tutto circa 25.000 unità. A ben vedere, 25.000 di troppo.

Gizmondo, un nome che viene ricordato con terrore dai (per fortuna pochi) videogiocatori che si sono trovati questa “perla” tra le mani.

1. Action Max

Unica. Questo è il primo aggettivo che ci viene in mente per descrivere l’Action Max. Unica, per fortuna. Si tratta di una console studiata per un solo genere di giochi, gli sparatutto con light gun. Nulla di strano all’apparenza. In fondo sia Sega che Nintendo avevano già prodotto periferiche del genere. Con una sostanziale differenza. Per poter funzionare necessitava di un videoregistratore, ovviamente venduto separatamente. I giochi infatti erano su videocassetta. Un sensore posizionato in un angolo del televisore fungeva da rilevatore, e lampeggiava ogni volta che su schermo appariva qualcosa di colpibile. Una soluzione delirante, che era resa ancora meno appetibile da un catalogo composto solo da cinque titoli. Brevi come durata, con un banale sistema di punteggio, privi di alcuna opzione o variante e, soprattutto, mediocri nella fattura. Si trattava di pellicole di quarta categoria, più assimilabili a una sequenza di scene che si susseguono senza alcun tipo di logica che a un vero e proprio film.

SONon avete mai visto una console che funziona a videocassette? Ritenetevi fortunati.