Fare videogiochi è una cosa da uomini? | Rolling Stone Italia
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Fare videogiochi è una cosa da uomini?

Ne parliamo con Daniele Giardini, illustratore e sviluppatore, che ha provato a sollevare la questione del sessismo tra gli sviluppatori italiani

Fare videogiochi è una cosa da uomini?

Daniele Giardini è illustratore e sviluppatori. Ha da poco finito di lavorare all’ottimo Football Drama e ha in cantiere un gioco con la sua compagna Jelena.

Ciao Daniele, introduzione di rito: vuoi presentarti ai nostri lettori?

Sono un fumettista, vignettista e illustratore che ad un certo punto si è appassionato alla grafica ed alla programmazione. Da lì il passo ai videogiochi è stato breve, visto che sono un po’ l’unione di tutte queste mie passioni (questa del passo breve la dico perché suona bene ma è un po’ una boiata: c’è voluta una buona decina d’anni, quindi sarebbe un’affermazione corretta solo se io fossi un cipresso—e sono alto ma non così alto). Nel campo sono conosciuto come Demigiant e per campare lavoro da freelance e faccio tool per Unity, però dedico anche parecchio tempo a progetti personali, da solo o con amici. Poi ovviamente continuo a scrivere e disegnare fumetti, spesso con la mia compagna fumettista Jelena Đorđević—con cui stiamo anche portando avanti un videogioco. Al momento ho da poco finito Football Drama, di cui ho fatto le illustrazioni, e sto finendo Still There, di cui invece ho scritto storia e dialoghi.
Visto che in quest’intervista si parla di sessismo aggiungo che vengo da una famiglia di (quasi) sole donne, (quasi) tutte incazzate con gli uomini (e ci credo). Quindi è vero che parlo da una posizione privilegiata (ah, il paradosso maschile: la categoria più protetta in assoluto, ma anche quella che avrebbe meno bisogno di protezione), non avendo vissuto il sessismo sulla mia pelle, ma è anche vero che nel mio piccolo è un argomento che mi tocca—e a cui tengo—da sempre. Detto ciò resto un uomo quindi prendete tutto ciò che dico con le pinze: sull’argomento non conto un cazzo ed è giusto così.

Football Drama riesce a coniugare la simulazione calcistica con l’approccio narrativo: in fondo sul calcio sono stati scritti tanti ottimi romanzi.

Nei giorni scorsi mi aveva colpito un tuo tweet in cui raccontavi di aver denunciato anni fa il sessismo nell’ambiente dello sviluppo italiano, senza però ottenere reazioni. Puoi raccontarci la storia dietro quel tweet?

Non ricordo come iniziò la storia dietro al tweet in questione, ma non fu tanto una denuncia quanto una discussione accesa, avvenuta anni fa nel principale forum di sviluppatori di videogiochi italiani. E le reazioni ci furono eccome. Tutti (o quasi? ne è passato di tempo e la mia memoria non è il massimo, però direi tutti) i presenti al thread, che guarda caso erano tutti (aridaje con ‘sto tutti) maschi, si divisero in tre gruppi: A) quelli che mi davano addosso perché “il sessismo è una leggenda urbana” (parafraso), B) quelli che facevano gli ingenui tipo “cos’è questo sessismo di cui parli non ne ho mai sentito parlare mi spieghi?” e che alla fine erano solo una versione passivo-aggressiva del gruppo precedente, C) quelli che facevano finta di nulla però spesso dando pacche sulle spalle agli altri gruppi. Quando poi arrivò anche “lo sviluppatore famoso a cui tutti facevano la ola” capii che non c’era verso e abbandonai il forum—mea culpa, avrei dovuto insistere di più. E qui si evidenzia per l’ennesima volta il mio privilegio: in quanto maschio per chiudere la conversazione mi è bastato andarmene, una donna questa conversazione la vive ogni giorno indipendentemente da dove vada.

Come ti sei spiegato allora le reazioni alla tua denuncia?

Ho capito che in Italia gli sviluppatori di videogiochi non fanno parte di una qualche categoria più “illuminata” di altre. L’Italia è un paese sessista, si sa, e il mondo dei videogiochi non fa eccezione, nel bene e nel male—il che non vuol dire che non ci siano anche tante belle persone.
Poi ovviamente c’è il discorso della toxic masculinity (ho appena provato a trovarne una

traduzione in italiano via wikipedia ma non c’è neanche la pagina, emblematico direi) e degli infiniti stereotipi sia maschili che femminili. Del fatto, che troppo spesso, quando una donna si comporta male o semplicemente ferisce un uomo (cosa facile, siamo così fragili), diventa un simbolo di genere invece che restare una semplice persona. E altre mille cose di questo tipo, che conosciamo o dovremmo conoscere fin troppo bene e che pervadono ogni campo.

“[La scena dello sviluppo italiana è] complicata, a volte disperata, ma anche tanto bella. E mi capita continuamente di scoprire indie fantastici.”

Nel frattempo c’è stato il GamerGate che, nonostante il fiume di liquame vario che lo componeva, ha avuto l’effetto collaterale di mostrare apertamente la tossicità di alcune frange della community, ma anche dell’ambiente di sviluppo: è cambiato qualcosa da allora?

Di certo c’è più sensibilità sull’argomento. Ma si sono anche creati degli schieramenti più compatti. E se è vero che da un lato una porta si è socchiusa (ma va ancora spalancata, e poi una volta passata quella c’è un corridoio bello lungo con tante altre porte da aprire), dall’altro ci sono tanti uomini che si sono sentiti attaccati ed hanno deciso di formare una frangia forte ed a volte violenta. E non dimentichiamo che di questi uomini non fa solo parte chi pensa che il sessismo non esista e/o chi lo approva, ma anche chi pensava di non essere sessista, per poi vedere alcuni dei propri comportamenti etichettati come tali. Insomma c’è anche un problema di confusione d’identità, che in tanti non siamo pronti ad affrontare—ma dobbiamo, ormai è tempo.

Notavamo che in Italia il tema delle molestie è ancora difficile da trattare, anche sul piano giornalistico: pochi si arrischiano ad andare oltre i fatti aggiungendo delle opinioni, mentre i commenti beceri non tardano mai ad arrivare. Come si può cambiare una situazione simile?

Dal punto di vista del dibattito sociale, a mio avviso innanzitutto mantenendo la calma, ma è giusto un’opinione personale. A tutti è capitato di avere discussioni accese e di perdere la pazienza, ma è mai capitato che quelle discussioni cambiassero le opinioni di qualcuno? Al contrario non fanno che creare gruppi compatti di opinioni diverse, che poi non cercano neanche di capirsi. Invece serve parlarne, parlarne tanto. Però sia chiaro, questo lo dico dal punto di vista di un uomo. Le donne hanno tutto il diritto di incazzarsi. Dibattito sociale a parte, c’è poi tutto un problema di squilibri economici e di potere. Quante persone, quante società sfruttano impiegati, giovani, etc? Sessismo e abusi sessuali sul lavoro sono quasi sempre legati a situazioni simili: la mancanza di una rete di protezione per chi si vuole opporre. E qui torniamo all’Italia, che è piena di bellissime realtà indie (e magari anche AAA, ma del lato AAA non so quasi nulla), ma anche di squali, di amici di amici e via così.

D’altro canto, la reazione alle denunce è spesso quella dell’attivazione di una gogna mediatica prima che indagini e processi arrivino alla conclusione giudiziaria, facendo altrettanti danni: sei d’accordo?

A me le gogne di qualunque tipo preoccupano sempre. Quindi se da un lato è bello vedere una massa che si muove a supporto delle vittime, dall’altro trovo inquietante la massa opposta che vuole solo mettere al rogo gli accusati, spesso senza neanche dargli modo di difendersi. I diritti civili sono una cosa delicata che andrebbe tenuta in considerazione anche—e forse soprattutto, perché è lì che si mostra la loro universalità—quando si parla di possibili mostri: saltarli a piè pari rischia di creare un collasso opposto a quello voluto.
Ma però anche tenuto in considerazione che finora processi e indagini hanno tradito le vittime di violenze ed abusi sessuali fin troppo spesso. Creando un effetto a cascata per cui le vittime hanno smesso di rivolgersi alle autorità per evitare rappresaglie o ulteriori traumi, e invece hanno magari aspettato anni—cioè di trovarsi in una condizione di stabilità e sicurezza—per rivelare violenze e abusi subiti.

Per quale motivo, secondo te, la community videoludica appare così all’avanguardia per quanto riguarda tutta una serie di comportamenti tossici, poi assorbiti con successo da squadre di troll impegnati in altri ambiti della vita online?

Eh, che bel primato. Non ho una spiegazione, solo un’opinione legata a due parole: coinvolgimento e competitività.

I giocatori quando trovano un gioco che gli piace non lo giocano e basta: se ne appropriano, diventa una cosa loro. Perché è un media non-lineare: nel suo piccolo ogni giocatore vive quell’esperienza in modo diverso, personale. È il fascino dei videogiochi. Però poi sentono come cosa loro anche l’intera cultura videoludica—che in parte è anche giusto, ma non del tutto. Il che è bello, perché sanno poi dimostrare tanto affetto agli sviluppatori ed anche promuoverla questa cultura. Ma è un po’ come se ogni volta che tocchi la cultura videoludica gli stessi toccando il figlio, quindi le reazioni sono altrettanto esagerate. Ma sia chiaro, le reazioni sono uno specchio, e sottolineo specchio, esagerato: rappresentano sempre le persone stesse e la società in cui vivono. Con tutto il loro eventuale razzismo, sessismo, la loro omofobia e via così.
E poi c’è la competitività. Che è un’altra cosa che può essere bella, ma che tira anche fuori il peggio di noi. Il che è così banale che nemmeno perdo tempo ad approfondire.
Detto ciò, voglio però evidenziare che i giocatori tossici sono quelli che battono i tamburi e fanno più casino, quelli che anche quando sono in due sembrano in cento. La tossicità è una presenza reale, ma ci sono pure tantissimi videogiocatori d’altro tipo.

“Sono un fumettista, vignettista e illustratore che ad un certo punto si è appassionato alla grafica ed alla programmazione. Da lì il passo ai videogiochi è stato breve[…].”

Tu hai esperienze anche in altri settori, come l’illustrazione: lì le cose vanno meglio?

L’illustrazione ormai la faccio quasi solo per i videogiochi, quindi onestamente non saprei. Nel mondo del fumetto, che pure ho frequentato molto meno negli ultimi anni, le cose mi pare siano simili e Jelena conferma.

Negli ultimi anni, grazie anche al libro di Jason Schreier, l’altro grande tema è quello delle condizioni di sviluppo, che nelle scorse settimane abbiamo approfondito tramite una serie di interviste. Qual è la tua esperienza (in Italia e all’estero)?

Per quel che riguarda i videogiochi ho sempre lavorato da freelance, quindi non ho un quadro chiaro sull’argomento. Anche se posso dire che di squali ne abbiamo tanti, spesso mascherati da delfini (anche se poi i delfini sotto sotto sono un po’ stronzi o sbaglio?). Fortuna che poi abbiamo anche tante belle realtà.

Quale sarebbe, secondo la tua esperienza, l’intervento più urgente di cui necessiterebbe il settore dello sviluppo in Italia?

Se parliamo in generale, direi che un aiuto economico non sarebbe male, visto che l’Europa spinge per la promozione dei videogiochi con leggi a loro favore, ma la burocrazia italiana poi blocca tutto (sull’argomento AESVI ne sa molto più di me). Però gli aiuti economici devono essere accompagnati anche da controlli rigidi, altrimenti i soliti ignoti (che nel campo poi non sono così ignoti) se ne approfitterebbero alla grande come già fanno da tempo, a discapito delle realtà che ne avrebbero bisogno.

Com’è la scena dello sviluppo italiano vista dall’interno?

Complicata, a volte disperata, ma anche tanto bella. E mi capita continuamente di scoprire indie fantastici. Ci sarebbero intere pagine da scrivere sull’argomento, e persone che la conoscono molto meglio di me, quindi direi che basta questo incipit.

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