Via la gastro-police dal panettone | Rolling Stone Italia
il king del natale

Via la gastro-police dal panettone

Provate a dire che la carbonara si fa con il gruviera, e verrete minacciati di morte. Se un critico del The Times, invece, blasta il panettone, nessuno fiata. Per sopravvivere a questo strano stato di polizia, la strada è una: l'eresia

panettone

Credits: Emanuele Cremaschi via Getty

Noi italiani siamo, come noto, un popolo di santi, poeti e navigatori che sono tranquillamente disposti ad accettare, magari lamentandoci giusto un po’ sui social, salari tra i più bassi d’Europa a fronte di un caro vita vertiginoso, affitti da rapina, e il precariato come condizione di vita permanente. Se però qualcuno ci tocca la nostra tradizione culinaria, i nostri piatti tipici, le ricette della nonna, scendiamo in piazza con i forconi e la brama di sangue. Ogni volta che un ristoratore promuove un piatto tipico rivisitato o uno chef di Instagram pubblica un video in cui fa vedere la “sua carbonara” scatta invariabilmente l’intervento degli integralisti gastronomici ortodossi turboconservatori che invocano la nonna, la food police e sbandierano il manoscritto originale della ricetta su pergamena conservate in cassaforte alla Camera di Commercio.

 

Se volete far scoppiare la terza guerra mondiale vi basta fare come Luca Cesari, storico della gastronomia che il 7 dicembre ha deciso di pubblicare un reel in cui prepara “la Carbonara Originale”, ovvero la prima ricetta della carbonara mai pubblicata in Italia (su “la Cucina Italiana”, numero di agosto 1954), con pancetta, aglio, cipolla, gruviera e uova intere. Risultato: in meno di ventiquattr’ore è arrivata una pioggia di insulti, offese, minacce di morte di cui si è occupato persino il Times con un articolo dal titolo Carbonara Chef branded heretic for sprinkling of Swiss Cheese.

 

 

 
 
 
 
 
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Ma se la carbonara è ormai considerata monumento nazionale, simbolo dell’Italia culinaria del mondo, emblema di tradizione immutabile scolpita nella roccia, sorte diversa ha avuto il re delle tavole natalizie, il panettone. L’origine del dolce è antichissima e incerta, ma la ricetta “classica” la si deve ad Angelo Motta, titolare dell’omonima azienda dolciaria che nel 1919 formalizza un impasto con latte, acqua, sale, burro, uova, vaniglia, lievito, uvetta e frutta candita (in particolare arancia e cedro). Ed è proprio la presenza di canditi a suscitare nel corso degli anni un odio maggiore di quello provato per la margarina e l’olio di palma. Chi scrive ama la frutta candita (a dirla tutta ama quasi qualunque cosa sia commestibile) e ricorda quando, negli Anni ’80, trovarla nel panettone non era un trauma che avrebbe richiesto anni di analisi per essere superato.

 

Ma i gusti cambiano, la società evolve, tutto passa e, laddove l’uva sultanina non ha mai subito variazioni nel proprio gradimento, i canditi hanno oggi una reputazione peggiore di quella di Morgan e Fabrizio Corona messi insieme. Il mercato ha prontamente risposto alla crescente domanda di panettoni senza canditi, e oggi le varianti disponibili sopravanzano quasi quelle tradizionali. Nessuno in questo caso ha però intasato di commenti al vetriolo i social o ha mandato teste di cavallo recise come avvertimento ai produttori di panettoni “modificati”. Ci siamo solo un po’ scaldati quando il critico gastronomico del Times (sempre lui) Tony Turnbull ha recentemente tuonato contro il panettone, definendolo troppo dolce (evidentemente non ha mai assaggiato il pandoro), spesso pesante (la cucina inglese invece è nota per essere di una leggerezza impalpabile) ed eccessivamente cotto. Il tutto in favore del più tradizionale pudding, che oramai sembra aver perso il suo primato come dolce più amato dagli inglesi a scapito del lievitato milanese – secondo Waitrose, catena di supermercati upmarket britannica, le vendite di panettone nel Regno Unito sono aumentate del 40% sul 2022, staccando di misura quelle del pudding.

 

 

 
 
 
 
 
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Insomma: difendere a oltranza la tradizione enogastronomica italiana sì, ma solo su certi specifici prodotti (o forse, ricette). Tant’è che oggi esistono più varianti del panettone che dell’influenza, e per giunta in ogni parte del pianeta (basti pensare che tra i maggiori competitor internazionali in ambito panettone l’Italia annovera Brasile e Perù). Senza la minima pretesa di esaustività, abbiamo dunque pensato di raccogliere qui un breve elenco di quelli meno ortodossi, per chi vuole una ventata di novità senza incorrere in terribili rappresaglie da parte della gastro-police e lontani dalla sterile e trita diatriba canditi sì, canditi no.

 

Lo ‘Ndujattone è la devastante creazione del pasticciere Marco Macrì che, come suggerisce il nome, rende anche a Natale il giusto tributo all’insaccato calabrese, morbido e impietosamente piccante. Un impasto leggero e impalpabile zavorrato da gocce di ‘Nduja di Spilinga, ideale per passare un Natale on fire.

 

 

 
 
 
 
 
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Le feste sono spesso sinonimo di disinvoltura alcoolica, giustamente: è già abbastanza difficile uscire più o meno indenni così dalla corsa all’ultimo regalo, e poi le cene e i pranzi infiniti, il carosello dei parenti più o meno noti con le loro domande inappropriate, figuriamoci da sobri. Ecco dunque che la pasticceria Scarpato di Verona arriva con il Panettone Gin Lemon, per quegli eroi che preferiscono rinunciare alla lucidità anche al momento del dolce: cubetti al limone candito (non vi piacciono? Dopo due fette vi dimenticherete che ci sono), impasto a lievitazione naturale con una farcitura bagnata nel dry gin. Cin-cin!

 

 

 
 
 
 
 
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Nato dall’instancabile creatività dello spregiudicato e talentuoso Eustachio Sapone (autore del recente ma già famigerato Pugliettone, un panettone che racchiude tutti i sapori e la magia del “pacco da giù”) ha voluto rendere omaggio all’eccellenza gastronomica del suo piccolo paese d’origine, Acquaviva delle Fonti, ovvero la cipolla rossa: qui, candita, arricchisce una farcia con cioccolato bianco, scorza di limone, finocchietto selvatico e bacca di vaniglia.

 

 

 
 
 
 
 
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Guido Nardi è un pizzaiolo tanto abile quanto ambizioso: dopo anni di apprendistato, successi e premi, ha deciso di andare oltre al classico street food napoletano per proporre panettoni che rispecchino le sue personalissime ossessioni, come quella per le olive (è di Ascoli, bisogna capirlo). L’Ascolano ha un peculiarissimo colore verde (ma il pistacchio non c’entra nulla: si tratta dell’alga spirulina) e vanta anice di Castignano, cioccolato fondente, glassa di amaretto e ovviamente olive candite bio.

 

 

 
 
 
 
 
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Amate il panetùn ma anche il Giappone? Non rinunciate al dolce a patto che sia accompagnato da qualcosa di alcolico? Siete fortunati: RisoSake, la prima Sake Brewery italiana, ha da qualche tempo celebrato il matrimonio apparentemente impossibile tra il vino di riso giapponese e il lievitato meneghino, creando un gioiello che sembra arrivare dal paese del Sol Lievitante: 36 ore di lievitazione con lievito madre e lievito da sakè, gocce di cioccolato, yuzu candito, pere semi-candite reidratate nel sakè nigori. Sayonara a te e famiglia.

 

 

 
 
 
 
 
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Si, lo capisco: anni di glassa al balsamico spruzzata un po’ a caso su ogni pietanza (e la pubblicità con Ricky Tognazzi) vi ha fatto odiare il balsamico oltre ogni dire. Qui, però, stiamo parlando di uno storico produttore di aceto delle colline modenesi. Il loro panettone farcito alla crema al balsamico è un miracoloso equilibrio tra dolce e acido, è tutto un equilibrio sopra la follia. La follia dei pranzi di Natale, ovviamente.

 

 

 
 
 
 
 
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Forno Brisa è un collettivo di giovani panificatori hip, alfieri della pasta madre, già un’istituzione nella grassa Bologna. Il loro Panettonissimo celebra le colonne portanti dell’imperitura tradizione gastronomica emiliana: tocchi di mortadella artigianale e pepite di parmigiano reggiano impreziosiscono un impasto tanto sapido quanto leggero. Il mio l’ho finito da solo in una giornata.

 

 

 
 
 
 
 
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