Tutto quello che abbiamo visto (e assaggiato) a Ein Prosit, dove la cucina esce dagli schemi | Rolling Stone Italia
10 portate per 10 emozioni

Tutto quello che abbiamo visto (e assaggiato) a Ein Prosit, dove la cucina esce dagli schemi

Unire contesti, luoghi, stili e cibi solo all’apparenza distanti è stata la cifra stilistica più distintiva del festival diffuso di alta cucina di Udine

Tutto quello che abbiamo visto (e assaggiato) a Ein Prosit, dove la cucina esce dagli schemi

Foto: Fabrice Gallina

Sapessi come è strano partecipare a un festival gastronomico a Udine. E ritrovarti a fare il pranzo della vita, cucinato e servito Dabid Muñoz, ex enfant prodige della nouvelle vague gastronomica spagnola, oggi una certezza con le sue tre splendenti, purissime stelle. Succede a Ein Prosit – appena concluso: l’evento, anzi, gli eventi che non ti aspetti. Nella “splendida cornice” (mi scuso per il tόpos, ma il capoluogo friulano lo è davvero) di una cittadina di provincia sono affluiti a decine cuochi e brigate, con bagagli e casse carichi di materie prime e attrezzature (gli autisti NCC ne hanno avute di storie da raccontare!). Giunti qui letteralmente da ogni dove. Si è favoleggiato di qualcuno che si era portato dall’altra parte del mondo 160 bottiglie di vino. Per dire.

Nomina un posto dove ti hanno raccontato che si mangia da dio ed era rappresentato. Dalle Alpi alla Sicilia, cita uno dei nostri grandi (Cracco, Crippa, Niederkofler, Assenza, Romito, Alajmo, Berton, Sultano…) ed erano tutti lì, insieme a tanti altri. A fare splendidi assoli, ritmati duetti, sinfonie corali a sei, otto e più mani con colleghi italiani o volati in Friuli da Spagna (appunto), Giappone, Perù, Messico, Hong Kong, Londra, Brasile, Francia, Slovenia, Georgia, Svezia, Argentina, Olanda. È virtualmente impossibile citare tutti i nomi e i luoghi di provenienza dei partecipanti allo sterminato programma.

Tra i locali del centro storico e i ristoranti fuori Udine, sono andate in scena 10 e più cene a sera, per 4 sere consecutive e per la gioia di centinaia (migliaia?) di appassionati. Ma, soprattutto, si è sentito il polso vibrante dell’alta cucina che, mai come in questa occasione, ha abbandonato l’impostazione pettinata per vestire panni pop, rock, finanche punk.

A far da contorno a questo bengodi mangereccio il top del beverage – anche in questo caso – mondiale. Coordinati da Domenico Carella, hanno miscelato cocktail dal tramonto all’alba i bartender dei migliori locali internazionali. Qualche nome, per farti capire il livello: Salomon Espino e Odett Cruz dell’Handshake Speakeasy di Città del Messico e Gianluca Basso del Paradiso a Barcellona, rispettivamente #3 e #4 The World’s 50 Best Bars. Tra i “nostri”, Elena Stucchi di Bulgari Niko Romito, Martina Bonci di Gucci Giardino 25 by Massimo Bottura, Alessandro Mengoni di Locale, Emanuele Cosi del 1930.

Anche il pubblico delle cene non poteva essere più eterogeneo. Compagnie di goderecci di mezza età, giovani coppie alla scoperta del fine dining, gourmand seriali, influencer o aspiranti tali col cellulare al collo, per immortalare al volo piatti e chef. A loro si sono aggiunti i professionisti del settore: tanti produttori grandi e piccoli, restaurant e bar manager, addetti stampa, giornalisti internazionali e penne di casa nostra. Tutti, amatori e pro, mescolati a grandi tavoli conviviali dove la sciura in paillettes finiva per discettare di sentori e consistenze con il foodie costellato di piercing, l’industrialotto con l’ex concorrente di talent di cucina, la stimata dottoressa con la groupie di questo o quello chef, tra match improbabili, scambi social, libagioni che rendono tutti amici e, chissà, qualche scappatella, che quel che succede a Ein Prosit rimane a Ein Prosit.

Alla cena Milano-Palermo di Cesare Battisti (sempre una certezza) e Tiziana Francoforte (giovane e bravissima), che si è svolta da Mamm, eravamo seduti con Dejan, che fa comunicazione per Hisa Franko (il ristorante 3 stelle di Ana Roš), Bili, che lavora nell’alta hotellerie, Argot, giornalista scandinava che vive a Los Angeles, il suo amico Nicolai Tram, chef stellato a Rydöbruk, villaggetto di meno di 400 anime nel centro sud della Svezia, che il giorno dopo avrebbe cucinato su un falò insieme a Diego Rossi. Per dire le coincidenze imprevedibili. Del resto già il Mamm di Roberto Notarnicola è un concept inusuale. Ciclofocacceria, si definisce, perché mette insieme ruote diverse: di bici, passione del patron, e di focaccia pugliese. Oltre a sfornare il pane fragrante servito negli eventi diffusi e i primi panettoni, in vista del Natale.

Altro giro, altra corsa, altre portate: alla Fiesta Mexicana si sono celebrati i tacos, ma in versione haute cuisine, in un gemellaggio tra Centro America ed Europa. Ana Roš ha offerto la sua idea slovena ai semi ed erbe spontanee, Santiago Lastra da Londra la versione vegetariana di sedano rapa, Tekuna Gachechiladze da Tiblisi si è detta convinta che, se pieghi a metà una cartina del mondo, la Georgia si sovrappone al Messico e insomma, i sapori sono gli stessi. Maiale, frattaglie, cozze, pesce fermentato, coriandolo, aglio, lime hanno farcito tortillas e tostadas di Jorge Vallejo, Paco Mendez e Tomás Bermúdez, mentre il pastry chef Andrea Tortora ha fatto diventare taco il maritozzo lievitato e pannoso.

Unire contesti, luoghi, stili e cibi solo all’apparenza distanti è stata la cifra stilistica più interessante di Ein Prosit. Per questo nel fitto calendario di “eventi nell’evento” (degustazioni, laboratori, masterclass), il più inatteso degli incontri è stato quello che ha visto parlare di Amazzonia Virgilio Martinez da Lima e Alessandro Mannarino da Roma, saliti sullo stesso palco in una chiesa sconsacrata (San Francesco).

Lo chef peruviano del Central, il ristorante numero uno per The World’s 50 Best Restaurants, ha raccontato la biodiversità del polmone verde più esteso del Pianeta attraverso i suoi frutti, accompagnando gli spettatori in un percorso tra tavole botaniche, braci fumanti per cuocere tuberi e radici, mais, fave di cacao, fibre vegetali, pelli croccanti, tessuti dipinti a mano, succhi all’argilla. Una miscellanea di tradizioni e nutrimenti ancestrali per rappresentare un ecosistema che mette al centro della natura l’uomo. Perché l’antropologia viene prima del cibo.

A far da contraltare il cantautore romano, appassionato viaggiatore, che ha ricordato il suo primo incontro ravvicinato con l’Amazzonia: «Sono arrivato con le mie ciabatte di gomma, il mio kway di plastica, la mia sigaretta in bocca. La foresta non era d’accordo e ha cercato di espellermi: sono stato febbricitante per giorni». Da frequentatore del festival, ha voluto omaggiare chi stava faticando dietro le quinte, i ragazzi e le ragazze nelle cucine: insieme al percussionista indiano Trilok Gurtu, altro aficionado, e alla violinista Lucy Passante Spaccapietra, Mannarino ha eseguito per la prima volta nella sua vita (e probabilmente ultima: quel che succede a Ein Prosit…) un brano composto da ragazzino, Il ballo delle pentole (sic!), accompagnato dai virtuosismi di Gurtu con una batteria composta da tegami veri.

Tutto ha concorso a far uscire dagli schemi la cucina, che si è riversata tra i vicoli e le piazze di Udine: un calice e una tartina al Cappello, osteria campo base per cuochi e addetti ai lavori, una passeggiata sotto i portici, mille soste a salutare questo e quello, i fan in cerca di selfie (e anche i più famosi non si negano), i drink e i brindisi all’After Party, ogni notte al De Room, tutti stretti in una stradina che diventava il cuore pulsante (e danzante) di questo variopinto circo del food.

Così, è capitato persino che sulla soglia del locale, tra gente che ballava sulle note dei Dj set, mi sia imbattuta in Muñoz, che mi è venuto incontro, mi ha abbracciata, mi ha ringraziata (lui!) per aver preso posto alla sua tavola. Io avevo ancora negli occhi, e al palato, la meraviglia provata davanti ai piatti che ha scelto di servire per raccontare le tappe della sua storia: Diverxo («Avant garde or die»), Ravioxo (pasta bar), Streetxo («A roller coaster all around the world») e Goxo, il delivery fine dining («Comida casera imaginativa», fantasiosa cucina casalinga).

10 portate per 10 emozioni. Difficile raccontarle tutte. Menzione d’onore per Anarchy (piatto del 2019): gazpacho di jalapeño, scampi crudi con le loro ovine blu, ricci e polvere di granita, definito dal mio vicino di tavolo «commovente». Pura sorpresa per Spanish Icons (2023), sandwich di coda con angulas (avannotti di anguilla) e un brodo denso di sapore, servito all’intero di un corno di toro da succhiare fino all’ultima goccia. Dallo street food, insuperabili le croquette con capasanta, caviale, tonno e il chili di granchio e astice con panini-churros. Dal mondo pasta, i ravioli Basque Farmhouse con tartufo bianco e insalata liquida. Dal delivery, l’Octopus Tako e lo strepitoso green curry di guancia di manzo. A chiudere con un runny cake dal cuore di crema e una chiocciola di churros deliziosamente fritta.

Quel che succede a Ein Prosit rimane a Ein Prosit. Purtroppo. Ma ci si potrà sempre tornare.

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