Può un calice di vino essere large? | Rolling Stone Italia
In loving memory of Big Joe

Può un calice di vino essere large?

Se a Milano le quantità sono spesso stitiche e implicano un dubbio amletico che c'assale sempre quand'è troppo tardi («Avremmo forse dovuto ordinare una bottiglia?»), in Gran Bretagna sono misurabili grazie a comode tacchette. Il dilemma però rimane: quando si parla di bicchieri di vino, le dimensioni contano?

Può un calice di vino essere large?

Jules (Courteney Cox) e Grayson (Josh Hopkins) in 'Cougar Town'

Foto: ABC

In un primo momento pensavo di aver capito male io. È vero che avevo studiato inglese dalle medie, è vero che avevo in tasca il First Certificate di Cambridge, è vero che ascoltavo musica inglese da sempre e guardavo film in lingua originale, ma essere a Londra, in un bar pieno di gente, con musica a palla, la sera di Halloween, ecco quella era tutta un’altra storia. Senza contare che la pronuncia della biondina che mi scrutava al di là del bancone tradiva le sue origini gallesi, zona dell’isola famosa per un inglese di difficile comprensione alle orecchie straniere. Avevo solo chiesto un bicchiere di vino, mica una Coca-Cola o una maglietta. Eppure. Eppure, lei stava aspettando una risposta: «Do you want it small, medium or large?», mi ripeteva. Finii con chiederle «How small is the small one?», mentre la mia testa urlava alla trappola entrando in quella conversazione che aveva del surreale, e allontanarmi con il mio calice di vino small, ma non riuscivo a elaborare fino in fondo la sua richiesta che a lei sembrava così ovvia. Avevo appena scoperto che nel Regno Unito (anche) il vino ha delle quantità. Ben precise, con le tacchette disegnate sui bicchieri, che a occhio altrimenti si sbaglia. Paese che vai, usanze che trovi. Mai stato più vero.

Ora, lungi dal preferire le quantità (spesso decisamente ridicole) di vino che ormai le enoteche milanesi bio, radical, hipster, ma anche un po’ alternative, considerano il nuovo standard mettendole a listino a 7 euro o di più. Quelle che finisci in due sorsi, quelle per cui non fai in tempo a chiederti come stai che il calice è vuoto e ti si presenta subito il dubbio amletico della serata: avremmo dovuto ordinare una bottiglia, vero? E ma ormai non conviene più. Lungi da me. Però, tra un bicchiere di due sorsi e la proposta di un Big Joe c’è tutta la poesia del vino che vale la pena valutare. Il Big Joe, per chi se lo fosse perso nella deliziosa serie Cougar Town con protagonista Courteney Cox, la Monica di Friends, era un gigantesco e amatissimo bicchiere che conteneva un’intera bottiglia di vino. A lui ne sono seguiti molti altri, ma questa è un’altra storia.

In Loving Memory - Big Joe 2007-2010

Dicevamo, valutare tutta la poesia del vino. Vino rosso o vino bianco. Bollicine. Che ogni tipologia chiami un bicchiere diverso lo sappiamo tutti, ma attenzione perché chiama anche quantità leggermente diverse. Questo succede per ragioni che corrono indietro nei secoli, ragioni che parlano di alchimia e terra, di profumi e sole, di abitudini e usanze e del perfezionamento della suddetta poesia. Sì perché il vino è storia e scienza allo stesso tempo, soprattutto in Italia e in Francia, ed è in questa meravigliosa dicotomia che risiede la sua bellezza. Ora, per godere appieno di questa storia e questa scienza esiste un metodo, un metro di misura. Ci sono voluti secoli per perfezionarlo: non può essere ribaltato, allungato, cambiato per rispondere a logiche di mercato temporanee. Qui il motivo del corto circuito. Più che un metro di misura è un trucco, e come tale è invisibile: la parte più larga della coppa corrisponde spesso a circa 120-150 ml (5 once per gli anglosassoni), considerata per lo più la dose perfetta per assaporare il  vino in questione, lasciarlo respirare, mantenere la temperatura giusta… insomma, non è una scelta casuale. Di conseguenza, a seconda della tipologia che si sta per bere si dovrà scegliere di adottare il trucco dei 2/3 del bicchiere (alla metà della pancia del calice), o 1/3 (cioè appena prima) per un rosso molto profumato e d’annata. Le bollicine viaggiano a parte, sui 100 ml. Conoscenza quasi intrinseca per noi Italiani, in qualche modo par coeur per i cugini al di là delle Alpi.

La domanda sorge spontanea: cos’è successo in Inghilterra? Qualche anno fa, il Guardian ha pubblicato una ricerca fatta dall’Università di Cambridge che aveva scoperto che la capacità dei bicchieri da vino era aumentata di quasi sette volte negli ultimi trecento anni, con un incremento maggiore negli ultimi due decenni. Per arrivare a queste conclusioni gli esperti avevano esaminato bicchieri del XVIII secolo, i bicchieri usati a Buckingham Palace e quelli più recenti di John Lewis, la Rinascente locale. L’evidenza era chiara: i bicchieri più recenti erano più grandi. Tra i vari fattori alla base di tale aumento – il prezzo, la tecnologia, la ricchezza sociale e un maggiore apprezzamento del vino da parte del pubblico – ce n’è uno che sconfina nella psicologia del bevitore: calici più grandi (e più pieni) prolungano il piacere di bere vino, accrescendo il desiderio di berne di più.

Come sottolinea uno studio condotto dal British Medical Journal, i gestori britannici di bar e ristoranti non hanno potuto non notare che bicchieri più grandi e più pieni portavano in generale un aumento delle vendite pari circa al 10%, e hanno di conseguenza riadattato le proprie misure. Nel Regno Unito quindi, a differenza dell’Europa continentale, il vino viene sempre servito in dosi da 250 ml e le dimensioni medium (da 175 ml) e small (da 125 ml) sono spesso assenti dalle liste o dai menu, nonostante un requisito normativo introdotto nel 2010 imponga ai licenziatari di informare i clienti circa la presenza di alternative più umane. Morale: la biondina davanti a me non poteva (forse) immaginare che nel propormi una quantità di 250 ml invece che i miei soliti 125 ml stava mandando in corto circuito il mio cervello: per lei era la nuova norma, un trend, niente di più. Per me ragione di scompenso.

E poi ho capito: preparare un cocktail è come fare un dolce. C’è la ricetta, ci sono le dosi, e queste vanno seguite pedissequamente pena la morte. Lasciamo perdere che per fare uno spritz in casa ci illudiamo che sia “solo” una questione di raggiungere il giusto tono di rosso e il gioco è fatto, in un cocktail bar che si rispetti anche un gin tonic richiede la stessa attenzione di un margarita. Versare un calice di vino, per noi, è questione di cuore, come quando si cucina. QB. Quanto basta. Quanto basta per scaldare una serata, per dimenticare una giornata tremenda al lavoro, per sciogliere i muscoli contratti dal freddo invernale. Quanto basta per gustarne il sapore. Se un cocktail chiede che i suoi ingredienti vengano miscelati in quantità precise, il vino no. Vuol dire sminuirlo a bevanda, quando bevanda non è. Storia, mito e leggenda. Natura, scienza e cultura. Si va indietro fino a Dioniso o Bacco, ma forse ancora di più, fino al dio egizio Osiride. E allora, cari anglosassoni, non chiedeteci di confinare il nettare degli dei in small, medium, large, ma lasciateci insegnarvi la sua storia e la sua forza, che noi abbiamo la fortuna di conoscere da sempre.