Non c’è Bari senza spaghetti all’assassina: come il piatto storico della cucina locale è diventato un cult | Rolling Stone Italia
Cena con delitto

Non c’è Bari senza spaghetti all’assassina: come il piatto storico della cucina locale è diventato un cult

Può una ricetta nata alla fine degli anni ‘60 vivere un momento di riscoperta e poi addirittura una seconda giovinezza? Spoiler: ebbene sì, al punto da insidiare il trono delle orecchiette con le cime di rapa

Non c’è Bari senza spaghetti all’assassina: come il piatto storico della cucina locale è diventato un cult

Gli spaghetti all'assassina di Ghiotto

Foto: Simone Boccuzzi

Tracciare un percorso a ritroso nella storia, segnando un confine netto tra leggenda e realtà, è difficile se non impossibile. L’unica certezza rimane sempre lui, lo spaghetto all’assassina, piatto immancabile nella “dieta” di un barese nonché tappa imprescindibile di ogni tour gastronomico della città. Prima di tutto le basi, ossia cosa definisce perfetto questo piatto solo in apparenza semplice. Gli spaghetti all’assassina sono spaghetti risottati, cotti in una padella di ferro (oggi va bene anche una in alluminio antiaderente) con salsa di pomodoro, aglio, peperoncino, olio e sale. Quando il piatto è ben preparato, gli spaghetti sono morbidi dentro e bruciati fuori, con una crosticina nera croccante tutta intorno. In base ai gusti e alla pesantezza della mano, la piccantezza può variare, da una media a una più decisa, solo per palati forti e allenati. La regola d’oro recita: se non sono piccanti, non state mangiando un’assassina.

Foto: Simone Boccuzzi

A Bari l’assassina è un fatto serio, e lo testimonia l’esistenza dell’Accademia dell’Assassina, fondata nel 2013. Uno dei massimi esperti in materia ne è il presidente Massimo Dell’Erba, che di giorno fa il consulente d’impresa e il martedì sera si trasforma in assaggiatore professionale d’assassina. «L’Accademia è nata una sera a cena. Ci eravamo trovati con 5 amici nei pressi del ristorante 111 e decidemmo di cenare insieme» racconta. «Durante la serata, chiedemmo allo chef un piatto fuori menù: lo spaghetto all’assassina. All’epoca lo avevano in carta forse solo quattro ristoranti. Controvoglia, il piatto ce lo fece. La mattina seguente ebbi l’idea di creare un gruppo Facebook denominato Accademia dell’Assassina: ogni quindici giorni ci saremmo incontrati per assaggiare l’assassina in un posto diverso. Da lì siamo arrivati prima a cinquecento persone, e ora siamo mille, incontrandoci fino a trenta alla volta.»

L’Accademia è goliardica, ma ha comunque le sue regole: «abbiamo definito la ricetta e le schede di valutazione dell’assassina e del ristorante. Ogni martedì c’incontravamo e davamo i voti», spiega. «All’inizio eravamo solo uomini, tanto che poi è persino nata una Contro Accademia di sole donne. Insieme a loro abbiamo organizzato anche eventi benefici e provato tantissime assassine nel tempo. Oggi, anche se formalmente divise, le due Accademie condividono lo stesso gruppo Facebook e, dopo uno stop imposto dalla pandemia, torneranno a riunirsi con maggiore frequenza da settembre.»

Per ripercorrere la storia dell’assassina, Massimo suggerisce di affidarsi a quella dello storico Felice Giovine, direttore dell’Archivio Storico delle Tradizioni Popolari Baresi. Si parte da via Bozzi 79-81, lì dove sorgeva la prima sede de Al Sorso Preferito. Ai tempi, il Sorso era una trattoria spartana gestita da Enzo Francavilla, chef foggiano trapiantato a Bari, che l’aveva rilevata nel 1967 dalla famiglia andriese Fusaro per trecentomila lire dopo aver lavorato per diversi ristoranti e hotel della città. Una sera del ‘67, Francavilla avrebbe accolto due signori del Nord Italia vogliosi di mangiare un piatto sostanzioso e gustoso. Francavilla avrebbe raccontato di aver avuto pochi ingredienti in cucina e di aver scaldato un piatto di spaghetti all’arrabbiata preparati con salsa di pomodoro e peperoncino diavolicchio, dimenticandoli sul fuoco e bruciandoli. Li avrebbe comunque serviti al tavolo, ricevendo gli apprezzamenti dei due avventori che poi lo avrebbero anche apostrofato come “assassino”, riferendosi alla piccantezza del piatto. Da lì, il nome. «Questa è una leggenda alla quale ci piace credere» racconta il presidente dell’Accademia «ma è ovviamente impossibile provare che sia davvero andata così.» Altre fonti popolari, invece, la ritengono una traduzione meno colorita degli spaghetti alla chitemmurt, bruciatissimi, preparati a Barivecchia. Difficile dire quale sia la verità.

Pierino Lonigro, proprietario de Al Sorso Preferito; foto: Simone Boccuzzi

Nel 1972, la sede del Sorso si spostò in quella attuale, al 40 di via Nicola de Nicolò. Qualche anno dopo, tutta l’attività fu rilevata da Nanuccio e Pierino Lonigro, Giuseppe Saracino e Mimì de Cosmo. Oggi, Pierino Lonigro è il proprietario del Sorso e colui che ricevette la ricetta in eredità da Francavilla, che intanto l’aveva messa stabilmente in menu. «Sì, l’assassina è nata per gioco» conferma Pierino in barese stretto. Vincenzo, chef de Al Sorso Preferito dal 1974 (l’anno prossimo farà cinquant’anni nelle cucine del Sorso), avvalora la tesi che la storia “leggendaria” sarebbe in parte vera: infatti, gli spaghetti all’arrabbiata bruciati sarebbero davvero esistiti, ma gustati in cucina, e non dagli avventori del nord. A questo punto, solo Francavilla potrebbe confermare o smentire la storia. Mentre Vincenzo racconta la sua versione, lo zio Pierino tira fuori la sua batteria di pentole in ferro acquistate all’epoca e mai dismesse, perché «così non se ne trovano più». Non è un dettaglio da poco: proprio l’uso delle padelle in ferro (sartàscene, in dialetto barese) avrebbe favorito la reazione di Maillard che crea la tipica crosticina di questi spaghetti. Piccola digressione: molti non sanno che Pierino è anche l’inventore di un dolce ancora poco conosciuto fuori dai confini baresi. Ci riferiamo agli “sporcamùsse”, dolci di pasta sfoglia ripieni con crema pasticciera, serviti rigorosamente caldi, così chiamati perché mangiandoli è quasi impossibile non sporcarsi la bocca. Da provare.

La ricetta attuale dell’assassina, che prevede di risottare la pasta e “stringere” il condimento fino a farlo bruciare, sarebbe arrivata nel tempo, perfezionando il procedimento e rendendolo sempre più scientifico e meno amatoriale. Rispetto alla ricetta più comunemente attribuita all’originale, Vincenzo sbollenta leggermente gli spaghetti, fino a quando si piegano, perché «altrimenti si brucerebbero e non cuocerebbero», girandoli ogni tanto per farli bruciare in modo uniforme. La storia è sicuramente un po’ romanzata, ma se così non fosse sarebbe certamente più noiosa. Viene comunque smentita una delle vulgate popolari più frequentemente associate all’assassina: che sia un piatto di recupero fatto con la pasta del giorno prima, anche se spesso nella cucina barese e meridionale ci si arrangia con gli ingredienti disponibili in cucina e non si butta via niente. No, lo spaghetto all’assassina si fa con spaghetti nuovi di pacca. Quindici minuti dopo, il piatto è pronto. Al Sorso Preferito l’assassina è quella classica, con una piccantezza moderata. Ed è disponibile anche senza glutine. Se la ordinerete, è probabile che la padella di ferro venga portata direttamente al tavolo e l’assassina sia impiattata al momento. È tutto così perfettamente nostalgico: il ristorante trasuda passato in ogni suo dettaglio e gli avventori sono principalmente local che lo frequentano abitualmente.

Foto: Simone Boccuzzi

 Quindi, com’è che quest’assassina è diventata famosa e, diciamocelo, un po’ un’ossessione? Oltre ai “pionieri” dell’Accademia, il merito è sicuramente da attribuire a romanzi e serie TV che hanno citato il piatto negli ultimi anni: il romanzo del 2014 La casa nel bosco di Gianrico Carofiglio; la serie di libri Le indagini della commissaria Lolita Lobosco – diventata fiction Rai nel 2021 – di Gabriella Genisi, che addirittura gli ha intitolato un libro; e poi, il finalista di MasterChef Almo Bibolotti che, nel 2018, lo ha presentato come piatto per conquistare i tre giudici (Joe Bastianich lo definì “extraterrestriale”). Poi è arrivata la ribalta internazionale, con il piatto preparato per Stanley Tucci. Ultimo, in ordine temporale, il tristellato Mauro Uliassi che li ha presi come ispirazione per dei fusilloni all’arrabbiata, con peperone, paprika, ‘nduja, cristalli di aglio, pesto di prezzemolo e olio di ajutan. È così che lo spaghetto all’assassina si è diffuso a macchia d’olio a Bari e provincia, e sono nati anche box per prepararlo a casa, nuove versioni e procedimenti (anche borderline, come la pre-cottura per gestire un maggior numero di coperti).

Questo successo ha portato gli spaghetti all’assassina a finire in quasi ogni menu della città, anche in versioni “creative”. Per provarla nel prossimo viaggio a Bari, è utile tenere a mente la raccomandazione del presidente dell’Accademia: di ordinarla in poche persone «perché quando viene preparata per un gruppo, l’assassina scuoce», che poi chiosa sulle reinterpretazioni: «l’assassina è diventata come l’opera aperta di Umberto Eco: ognuno ha creato la sua, ma ricordiamoci che l’originale è sempre la stessa». Amen.

La Battigia, lungomare Araldo di Crollalanza 1

Foto: Simone Boccuzzi

Proprio sul lungomare, a due passi dal Sorso Preferito, questo elegante ristorante di pesce propone un’assassina ben eseguita e fedele all’originale, croccante e non eccessivamente piccante. Frequentato sia da turisti che da avventori locali, è una buona scelta se volete abbinare due icone di Bari: l’assassina e il crudo di mare. Lo scontrino è medio/alto come in ogni ristorante di pesce, mentre l’assassina costa 11 euro.

Chez Jo, via Luigi Einaudi 79

Foto: Simone Boccuzzi

A Poggiofranco, fuori dal centro, questo ristorante propone un’assassina classica «da quando non era ancora tornata di moda», come racconta il proprietario Carlo Ficarella. Questo ristorante dall’’allure anni ‘90 vi darà uno spaccato sulla borghesia che abita questo quartiere della Bari bene.

Ghiotto, viale Papa Pio XII 43

Foto: Simone Boccuzzi

Sempre a Poggiofranco, in questo locale informale e local-only consigliato dall’amico @baffettofood, l’assassina viene proposta in versione fusion e brevettata con le cime di rapa (vegana, perché senza acciuga). Lucida follia o semplicemente follia? Il nostro responso è: bis, per favore. Consiglio: chiedetela piccante.

Urban - Assassineria urbana, via Domenico Nicolai 10

Foto: Simone Boccuzzi

Dopo il Covid, quello che era un bistrot urbano frequentato in pausa pranzo, forse seguendo il trend si è convertito in un locale dedicato al culto di questo piatto (ma non completamente: del resto, non si può mangiare assassina tutti i giorni). In questo spazio dal sapore industrial, sono disponibili nove versioni (anche senza glutine). Noi abbiamo provato l’assassina alla San Juannidde, con pomodori, capperi e crema di acciughe. L’accostamento è decisamente sapido: mescolate bene per far amalgamare gli ingredienti e provatela solo dopo aver assaggiato quella tradizionale.

 

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