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Ghiaccio gourmet, ossia l’ossessione di cui non c’era bisogno ma che è già nei nostri bicchieri

Dai cubetti personalizzati o marchiati con il nome del bar, passando per quelli “di lusso” che inglobano frutta, fiori e olive per Martini cocktail, fino agli ice influencer e ice nerd su TikTok: viaggio nell’ultima moda del beverage che sta trasformando il ghiaccio in opera d’arte e i freezer nelle nuove casseforti

Foto: Disco Cubes, The Ice Designer, Leslie Kirchhoff via Instagram

Se mai una volta vi siete accomodati in un diner in una qualsiasi città d’America, avrete notato che ancora prima di ordinare, qualcuno si sarà avvicinato al tavolo per riempirvi un bicchiere colmo di acqua e ghiaccio. Poco importa il fatto che vi trovaste nel pieno inverno di New York con la neve sui marciapiedi, o in un avamposto sulla strada verso il deserto che circonda Palm Springs: l’ossessione americana per il ghiaccio non conosce temperature.

Svetonio, nell’opera storiografica Vite dei Cesari, descrisse la decocta neronis – la cui invenzione si attribuisce a Nerone – che viene comunemente considerata la prima bevanda ghiacciata della storia: acqua bollita che veniva messa a rinfrescare prima in un vaso e poi trasferita in una ciotola colma di ghiaccio. La pratica di combinare cubetti tritati, miele e fiori va attribuita agli arabi, che diedero poi spunto ai siciliani per creare la granita. Nell’epoca precedente al diciannovesimo secolo, il lusso delle bevande ghiacciate e delle vivande refrigerate era concesso solo ai ricchi che possedevano le “icehouse”, ossia le antenate del frigorifero: costruzioni di pietra costruite sottoterra dove veniva assemblato il ghiaccio e conservato il cibo. È l’americano di Boston Frederic Tudor a scommettere sul business del ghiaccio, passando alla storia come The ice king e siglando la prima esportazione di enormi blocchi trasparenti nel 1806 – a ventitré anni – da Charleston verso le isole Martinique nelle Indie Orientali.

Il ghiaccio in America è considerato un bene di prima necessità: le ice machine sono ovunque, in qualsiasi stazione di servizio e al piano intermedio anche dei motel più infimi del Paese.

La scrittrice ed esperta di American Studies, Amy Brady ha iniziato a fare ricerca sulla sua storia e di quanto il suo utilizzo fosse intrecciato con la società statunitense, fino a decidere di pubblicare un libro, in uscita a giugno. «Con mio grande stupore, non ero riuscita a trovare una storia esaustiva sulla storia del ghiaccio che non fosse tecnico ma per il pubblico», scrive Brady, che per completare il testo ha visitato gli archivi di tutto il Paese, intervistato esperti e letto tutto ciò che si poteva trovare sull’argomento. «In nessuna parte del mondo c’è una industria così estesa come quella del ghiaccio negli Stati Uniti. Thomas Jefferson ha costruito uno delle più grandi ghiacciaie in campagna a Monticello, in Virginia. In una lettera al suo manager Jefferson scrisse che il suo collaboratore dovesse avere i carri pronti ad “arrivare in un attimo” per timore che la ghiacciaia non fosse mai vuota. E quando l’inglese Charles Dickens venne in visita, rimase a bocca aperta davanti alle “ghiacciaie americane [riempite] fino all’orlo” e “i cumuli di ghiaccio” che gli americani consumavano nella stagione calda».

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Dalla Tutor Ice Company ai cocktail bar newyorkesi contemporanei, la sete di ghiaccio non è diminuita. Nei locali un po’ più sofisticati, da qualche tempo, i cocktail vengono serviti con cubetti personalizzati o marchiati con il nome del bar. Complice la pandemia, il trend ha iniziato a superare la misura: su TikTok e Instagram sono nati gli “ice influencer” o, nelle categoria ancora più specifica, gli “ice nerd”: bartender casalinghi, mixologist professionisti, o amatori che si compiacciono a riempire il freezer creando cubetti di ghiaccio di ogni forma, dimensione, “ripieni” o aromatizzati.

Nel pianeta del ghiaccio di lusso, una prima distinzione è necessaria: per un’esperienza di cocktail eccellente, sia dal punto di vista estetico che di gusto, i cubetti casalinghi di ghiaccio “opaco” sono banditi. I mixologist hanno capito e iniziato a sperimentare il clear ice, che persegue un concetto simile all’uso del burro chiarificato in cucina. Il ghiaccio trasparente è ghiaccio puro, privo di impurità esterne e si ottiene tramite un macchinario capace di filtrare l’acqua fino a sette volte, producendo cubetti cristallini che hanno il magico potere di sciogliersi più lentamente. Semplicemente, il cocktail non si annacqua subito e ha un sapore e aspetto più gradevole. Tra New York e la California esistono decine di aziende che producono “ghiaccio di lusso” per bar e ristoranti, e consegnano porta a porta.

Un orpello? Dopo aver speso un po’ di tempo con un ice nerd, anche la mia visione è cambiata. Il giornalista ed esperto di cocktail Camper English ha un libro in uscita il 23 maggio sull’argomento, intitolato The ice book. Risponde dal suo appartamento sulla Mission, a San Francisco, e spiega che l’uso del ghiaccio puro sta ai bartender come un kit di coltelli a uno chef professionista: in entrambi i  casi si tratta di dettagli che trasmettono eleganza. «Siamo tutti d’accordo che uno champagne ha un sapore eccelso se bevuto in un flûte di cristallo. Desideriamo la versione migliore delle nostre cose che amiamo, per piccole che siano. Il ghiaccio trasparente, di qualità, è qualcosa che va messo in un piano intermedio tra il cibo e uno strumento di ricerca. Esteticamente il ghiaccio puro è drasticamente superiore a quello comune, ed eleva l’esperienza del cocktail». 

English ha brevettato un metodo per ottimizzare la produzione di un ghiaccio casalingo con un procedimento che ha chiamato directional freezing, una tecnica per “guidare” la formazione dei cubetti. Nel freezer di casa il ghiaccio si forma dall’esterno verso l’interno, inglobando l’aria che trattiene le impurità. Il metodo per ottenere clear ice permette di eliminare la parte del torbida del blocco di ghiaccio attraverso una ghiacciaia casalinga – senza coperchio – e infilata nel congelatore.

Leslie Kirchhoff è una deejay e fotografa con base a Los Angeles. Quando metteva i dischi durante eventi importanti, ha iniziato a notare quanto l’elemento ghiaccio fosse trascurato. «Un piccolo dettaglio che poteva essere fonte di grande creatività», racconta. In poco tempo ha aperto uno studio/laboratorio dove crea cubetti di ghiaccio che sono piccole opere d’arte. La compagnia si chiama Disco Cube  e i suoi cubetti inglobano frutta, fiori, e naturalmente olive per Martini cocktail. L’azienda consegna in tutta Los Angeles e collabora con brand sofisticati, da Gucci alla linea hip di make-up americana Glossier. Il suo è un processo creativo. «Lavorare con il ghiaccio mi ha permesso di mettere insieme arte, il cibo e la terra. Ho creato un piccolo giardino e orto da cui attingo erbe e prodotti stagionali con cui sperimento abbinamenti e colori. È come avere una tela bianca davanti ogni giorno».

Sentivamo il bisogno del luxury ice? C’è chi in questo nuovo trend vede il futuro nella cultura del bere: come Tudor aveva previsto – nonostante agli albori della sua carriera nessuno credesse alla sua visione – quando il ghiaccio arrivò a New Orleans a metà del 1800, «i baristi della città iniziavano a sperimentare la forma e le dimensioni per scoprire come alterava il gusto e la consistenza delle loro creazioni», spiega ancora Amy Brady. «Nel giro di un paio di decenni, gli audaci barman di New Orleans hanno inventato alcuni dei cocktail più famosi d’America, tra cui il Sazerac, a base di assenzio, considerato il drink signature della città».

E nonostante noi italiani non siamo esattamente dei fanatici dei cubetti, le prime avvisaglie di una moda in arriva iniziano a farsi sentire.  A Brescia esiste una azienda, Iceland, che produce ghiaccio purissimo e trasparente dalla fonte alpina Maliva, mentre il bartender campione italiano Giorgio Chiarello è brand ambassador di Scotsman, azienda che propone ghiaccio gourmet «cristallino, puro, duro e di lunga durata». Per Matteo Zed, bar manager del The Court a Roma e voce internazionale nel panorama dei mixologist, chi produce il ghiaccio più interessante si trova in Sicilia: «si chiama Ice Cube e sfrutta le acque preziose che scorrono tra il mare e l’Etna. Sono stati i primi in assoluto nella penisola a seguire le tendenze giapponesi e americane, nonché i precursori in questa attività. Ancora prima dell’emergenza Covid, grazie a questi imprenditori è stato possibile acquistare ghiaccio puro al supermarket e poter godere di una miscelazione casalinga». Non si tratta solo di estetica e di gusto: Zed parla di un vero e proprio fenomeno che rispetta «un concetto insieme igienico e tecnico».

I freezer paiono insomma destinati a diventare le nuove casseforti: preparatevi a fare spazio a cubetti trasparenti, puri e di design – ebbene sì, alla stregua di diamanti.

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