Diego Cusumano: «il vino, oggi, deve saper raccontare una storia» | Rolling Stone Italia
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Diego Cusumano: «il vino, oggi, deve saper raccontare una storia»

Il figlio di Francesco, patriarca nonché fondatore dell'omonima azienda vinicola siciliana, ammette che il settore è in fermento e che questo ha portato con sé diversi cambiamenti, ma ciò che ricerca il consumatore in una buona bottiglia non muta: «è sempre ed esclusivamente il piacere»

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Cantina Cusumano

Quella di Cusumano, in particolare, incomincia col patriarca Francesco, il primo ad addentrarsi nei meandri del settore vinicolo, nonché il primo ad approfondire le particolarità della produzione del vino in Sicilia e le caratteristiche delle zone diverse della regione. Il nuovo progetto prende il via nel 2000, a Partinico, vicino a Palermo, dove già era presente la cantina di famiglia 

La prima tenuta acquistata è stata la tenuta Ficuzza, a Piana degli Albanesi, da lì poi è arrivata Butera, dove oggi c’è la Tenuta San Giacomo, infine Presti e Pegni, a Monreale, di nuovo vicino a Palermo, e Monte Pietroso. Una storia di successo, insomma, che continua tenendo saldamente a mente un principio guida: utilizzare soltanto l’uva dei vigneti di proprietà, dedicandoci il tempo di cui ha bisogno, senza fretta alcuna. Per Diego Cusumano, alla guida dell’azienda insieme al fratello Alberto, molte cose sono cambiate dall’inizio di questa avventura, tranne ciò che ricerca il consumatore in un buon vino: «sempre ed esclusivamente il piacere».

«Si è passati dal consumo di vini strutturati, potenti a vini capaci di esprimere un nuovo concetto di eleganza e finezza. Il pubblico ricerca vini che raccontano una storia, che sono il frutto di un binomio imprescindibile: il vitigno giusto nel luogo giusto. Per quanto ci riguarda sono esemplari vini come Salealto che risponde alla domanda “Come poteva essere il vino del Re?” Mi riferisco a Re Ferdinando IV che a Ficuzza aveva fatto costruire la “casina di caccia”, una vera e propria reggia, e che incaricò l’esperto Felice Lioy, intendente della palermitana Commenda della Magione, di migliorare la qualità dei vini siciliani. Mancano i documenti e allora abbiamo immaginato: uve indigene, un unico territorio, maturazione sulle fecce fini sino alla vendemmia successiva (in quanto le botti sarebbero servite per la nuova annata). Così, dopo qualche anno di sperimentazione è nato Salealto, un “vin du Terroir” di Ficuzza, ottenuto da Inzolia, Grillo e Zibibbo in parti uguali, vinificati separatamente poi affinati insieme».

Quali sono le varietà che riscontrano un riscontro più favorevole da parte del pubblico? «Indubbiamente i vini dell’Etna dove siamo presenti dal 2013 con Alta Mora e i vini che si producono con autoctoni in condizioni uniche che sfruttano le grandi escursioni meteorologiche come il nostro Grillo Shamaris che alleviamo a Monte Pietroso a quattrocento metri sul livello del mare o il Nero d’Avola che in zone particolari come la tenuta di Butera esprimono la loro eleganza assoluta. Penso a Sàgana frutto di vigne di oltre trent’anni o al più giovane Disueri».

Ovviamente anche il vino ha un suo vocabolario, che occorre saper padroneggiare in qualsiasi conversazione per non apparire dei completi incompetenti passibili di un’onta a livello sociale. «Si parla di terroir, ovvero la conoscenza del territorio, della vocazione di un luogo specifico; di vitigno, che possiamo suddividere in autoctoni e internazionali; di barrique/acciaio, ovvero i diversi affinamenti; di metodo classico – che noi utilizziamo soltanto nella tenuta di Ficuzza dove produciamo il 700 slm che esplicita già in etichetta la peculiarità di questa bottiglia: l’altitudine».

Per concludere, quali tipologie rappresentano una scommessa vincente per il futuro? «Senz’ombra di dubbio i vitigni autoctoni siciliani, in parte già citati: Grillo, Insolia, Zibibbo, Nero d’Avola e, sull’Etna, Carricante e Nerello Mascalese. Ma anche i cosiddetti internazionali in Sicilia sanno esprimere carattere ed eleganza. Il segreto sta nella scelta del terreno giusto e nella cura dedicate. Il resto lo fa il Padre eterno, nostro socio di maggioranza!».

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