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Ho pagato per avere la compagnia e l’attenzione incondizionata di un uomo per una sera (e forse lo rifarei)

Cinquecento uomini in fila, una ragazza punta il dito e ne sceglie dieci con nonchalance: benvenuti negli host bar di Bangkok, club riservati solo alle donne in cui si paga l’illusione di essere catapultate in una serie romantica a lieto fine

Ho trascorso gli ultimi tre mesi della mia vita in Thailandia, in fuga dalla Cina zero-Covid policy, e benché tornare a respirare e ricominciare a vivere fossero le mie priorità, dopo qualche giorno dal mio arrivo una domanda ha cominciato a ronzarmi nel cervello. La Thailandia sta vivendo un momento paradossale: da un lato c’è la vita reale, con le strade piene di giovani prostitute locali inseguite da anziani stranieri, dall’altro c’è la vita a metà tra il reale e la tv, ovvero giovani thailandesi che stanno diventando dei veri e propri sex symbol in tutto il mondo grazie ai Boy Love Drama e donne che sono pazze di loro. Orde di turiste arrivano ogni settimana per vedere questi ragazzi in concerto, ai fan meeting, per esplorare le location dove sono state girate le serie e comprare qualunque tipo di memorabilia.

Queste due immagini antitetiche della Thailandia riescono a convivere? Ebbene sì, dato che alla base di entrambe c’è il denominatore comune più antico di sempre: i soldi. Le due situazioni coesistono perfettamente perché portano guadagni grossi e facili: ecco quindi che, così come esistono i Go Go Bar per gli uomini, più recentemente sono nati anche gli host bar per donne. Sono meno pubblicizzati e presenti in numero significativamente inferiore rispetto ai primi, tuttavia – alla luce delle recenti tendenze televisive (e della necessità della Thailandia di batter cassa) – non sarei sorpresa se aumentassero rapidamente nel prossimo anno, proprio come è accaduto per i negozi di cannabis che ora si trovano praticamente ovunque.

Decido di provare l’esperienza, spinta dalla curiosità: dopo una serie infinita di difficoltà riesco a contattare due host bar e a parlare con i loro manager. Le risposte sui costi e le spese minime sono vaghe e confuse. Prenoto comunque. Per l’occasione chiedo alla mia amica Greta di accompagnarmi; siamo ancora a cena quando ricevo una trentina di messaggi in dieci minuti dai manager dei locali. Uno di loro addirittura telefona. «Ciao, hai capito dove si trova il posto? Quando arrivate?». Saliamo sul taxi e ci avviamo verso il primo bar, che manco riusciamo a raggiungere: ferme nel parcheggio, i colori, i suoni e l’atmosfera ci portano dentro a un qualunque film di Scream. Lì ci aspetta un uomo che, con il supporto di Google Translate e una calcolatrice, spende venti minuti a spiegarci come funziona e a contrattare il prezzo. Se vogliamo accedere al servizio host, anche solo per un’ora, dobbiamo pagare minimo centosettanta euro. «Dentro comunque non ci sono clienti, quindi è meglio che ve ne andiate», puntualizza. L’aria si è fatta pesante, leviamo le tende.

Mentre siamo in taxi per raggiungere l’altro club penso che avevo un’immagine completamente diversa di questa serata, e non sono nemmeno più convinta di voler continuare. Mentre sto riflettendo se chiedere al tassista di portarci in hotel ci troviamo davanti al locale: sembra un posto legittimo, con tanto di buttafuori all’ingresso. Quando entriamo ci troviamo davanti alla tipica discoteca asiatica, con il dancefloor pieno di tavoli e senza pista per ballare. La maggior parte delle clienti sono thailandesi e cinesi e hanno meno di cinquant’anni. Sono giovani, belle e vestite bene, ma che ci fanno qui? «È la possibilità di passare una serata senza impegno in compagnia di bei ragazzi» – mi ha spiega un’amica cinese, “esperta” di queste realtà thailandesi – «senza conseguenze e senza avere paura di essere rifiutate».

Foto: Ambra Schillirò

Il manager ci accompagna e ci spiega come funziona: dobbiamo offrire cinque drink al ragazzo e pagare il tavolo. Costo totale: circa novantacinque euro. La spesa è comunque più alta di un Go Go Bar dove il cliente non è costretto ad acquistare un minimo di bevande per la escort. «Se l’accompagnatrice donna» – chiarisce il proprietario di un ristorante a Bangkok – «finisce il drink che le viene offerto, si alza e se ne va, mentre l’accompagnatore uomo di solito rimane. Non c’è alcuna spesa minima nei Go Go Bar perché non avrebbe senso, il cliente continua a comprare cocktail per la ragazza pur di farla restare». Nel frattempo noi ci sistemiamo al tavolo e il manager mi indica i ragazzi all’ingresso: «Vai là, scegli quello che vuoi e te lo prendi».

La mia faccia diventa color cremisi, mi sento una quattordicenne che si è appena dichiarata alla prima cotta. «C’è un modo alternativo di scegliere?». Il manager ci sarà abituato perché semplicemente annuisce e fa cenno con la luce di una torcia al primo ragazzo all’ingresso. Comincia una sfilata di ragazzi sotto i trent’anni davanti al nostro tavolo. Sembrano usciti da una serie tv. Si fermano in quattro-cinque davanti a noi, il manager punta la torcia addosso a ognuno di loro per farceli vedere meglio e ci chiede se siamo interessate. Se diciamo di no tocca al prossimo gruppo. Mentre io, imbarazzata, discuto con Greta su chi scegliere, al tavolo accanto una ragazza cinese si alza e in meno di venti secondi punta il dito e prende una decina di ragazzi. Rispetto. Alla fine scegliamo A., ventiquattro anni, metà thailandese e metà americano.

Scopre che sono italiana ed è subito amore e pizza margherita. «Ho studiato come chef di cucina italiana, mi piace la pasta alla carbonara anche se la mia specialità è la pizza». Vorrei chiedergli se nella carbonara ci mette la panna o meno, ma preferisco evitare una conversazioni che è già motivo di litigio tra me e gli amici. «Perché lavori qui?». «Soldi facili. Un amico mi ha portato in questo locale qualche mese fa e per ora non voglio fare altro. Bevo gratis e guadagno un sacco di soldi senza sforzarmi, perché dovrei fare altro? Siamo in cinquecento a lavorare qua dentro. Vengono un sacco di ragazze e talvolta anche ragazzi, c’è lavoro per tutti». Il ragionamento non fa una piega. I suoi genitori non sanno che fa l’escort e lui mi spiega che se non vieni scelto non guadagni. «Vengo sempre selezionato, anche in giornate in cui ci sono poche clienti». Di certo è sicuro di sé stesso. Ci sta anche questo.

Foto: Ambra Schillirò

Dopo qualche minuto con lui capisco il perché di tanta arroganza. Ci sa decisamente fare: mi versa i drink, mi accompagna fuori quando ho voglia di una boccata d’aria, avvicina suadente la frutta alla mia bocca, mi chiede se voglio andare a ballare, mi pulisce le labbra con il tovagliolo dopo che ho bevuto, mi accarezza delicatamente la mano, si sincera in continuazione che io stia bene e non abbia bevuto troppo. Sto vivendo la serata che ogni amante di teen-comedy desidera. È un mix tra un primo appuntamento romantico e una puntata di un K-drama.

«Fate dei corsi per imparare a comportarvi?». «No, ci spiegano più o meno cosa fare e poi io prendo ispirazione dalle serie romantiche coreane». Vostro onore, I rest my case. Nel resto del bar anche gli altri escort e le clienti si stanno divertendo. «Dopo il club vai sempre a casa solo?». «Si, non vado in hotel con le clienti, non accetto nemmeno il loro contatto su Line (applicazione di messaggistica, Nda) se me lo chiedono, però alcuni ragazzi penso lo facciano. Dipende dal ragazzo, dal tipo di richiesta, da tante cose. Nel locale in cui sei stata all’inizio» – e mi fissa con un sorriso malizioso – «invece è diverso». Quest’ultima mezza affermazione mi fa comprendere tutta la farsa al parcheggio dell’altro locale.

Mentre continuano le nostre chiacchiere ad alto tasso alcolico, vedo una ragazza portata via in braccio, ubriaca e addormentata. È quella che aveva scelto con nonchalance dieci ragazzi tutti insieme, mi è crolla un mito. Assistendo a questa scena mi è però chiaro il motivo dell’obbligo di acquistare almeno cinque drink per l’escort: poiché in media la donna beve meno dell’uomo, anche se dovesse ubriacarsi, il pagamento minimo sarebbe comunque garantito. Io non sono ubriaca ma devo andare in bagno: entro, ed è un paradiso. Più guardo questa discoteca e più mi rendo conto che ogni cosa è studiata nei minimi dettagli per offrire alla donna ciò che il locale promette: un film, un paradiso di attenzioni, toilette dove – accanto al lavabo – ci sono mobili pieni di trucchi e profumi e un’inserviente che ti dà fazzoletti, crema per le mani e caramelle.

Foto: Ambra Schillirò

Quando torno al tavolo il sogno si spezza: arriva il conto: centosettanta euro. Ci spiegano che il totale include anche il cameriere che ci ha servito e il manager che ci ha venduto il tavolo. Non provo nemmeno a insistere perché so che non otterrò nulla. Ormai ho imparato come funziona in questo Paese: se i prezzi non sono chiari fin dall’inizio, è quasi certo che alla fine pagherai di più di quanto ti è stato comunicato originariamente. Prima di andare via A. si avvicina al mio orecchio: «Posso avere il tuo contatto di Line?». Mi accompagna alla macchina e quando torno in hotel trovo un suo messaggio. Mi manda una gif di un gattino e mi chiede se può continuare a scrivermi anche quando torno in Cina.

Mi sdraio a letto e ammetto di essere in preda a emozioni contrastanti. Ne è valsa la pena? Si, ma. Abito in Asia da tanti anni e ho un’immagine diversa del primo appuntamento e degli uomini del posto rispetto a chi l’Asia l’ha vista solo nei drama. Il 99% di quello che si vede nelle serie televisive asiatiche, ahimè, non esiste. L’host bar è un’esperienza da film: è come essere catapultati in una serie romantica, in cui il protagonista porta a cavalcioni la sua amata, e la protagonista si addormenta sull’autobus appoggiata alla spalla di colui che diventerà il suo principe azzurro. A differenza dei Go Go Bar non paghi per una notte di sesso, paghi per “un’esperienza”. La serata può concludersi in hotel? Non è poi così scontato. L’host bar è la rappresentazione perfetta di come la Thailandia sia in grado di seguire i trend del momento: negli ultimi anni, l’uomo orientale ha conquistato il ruolo di sex symbol che un tempo era territorio del macho latino. Gli host bar, semplicemente, guadagnano cavalcando tale tendenza.

A fine serata ho trovato l’equilibrio perfetto tra un ego gonfiato come quello di un politico e un portafoglio svuotato come quello di un contribuente. Non posso negare che l’esperienza sia stata divertente e mi abbia fatto riflettere sulle difficoltà che noi donne incontriamo nel trovare l’amore oggi: troppa ansia da prestazione, troppe foto filtrate, troppa paura di essere rifiutate. Questi posti sono come una coperta di Linus per chi teme di mettersi in gioco, di essere giudicata o è troppo impegnata per trovare il tempo di incontrare la persona giusta: in un certo senso, rappresentano il perfetto contraltare delle dating app, dove niente urla “non sei abbastanza” come un match mancato. Lo rifarei? Magari, con un gruppo di amiche, prendendola a ridere. O forse ne dovrei aprire uno io. In fondo, sai come si dice, «se non puoi batterli, unisciti a loro».

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