I social hanno parlato: è tempo per un autunno tutto dedicato alla pasta, liscia o rigata che sia. Pasta Girl Fall – quando le ragazze si siedono di fronte a un piatto di pasta – è tra gli ultimi trend del “food” online, tra cornucopie di spaghetti, forme di formaggio da mantecatura, e sughi… be’, a volte un po’ americani, e discutibili. Ma questa è solo moda, e come tale, effimera. Quello che ci ricorda, però, è che la pasta non passa davvero mai. Che è sempre stata con noi. E, soprattutto, che un maccherone con i fiocchi si distingue al primo assaggio.
Lo sa bene Barilla, che sulle certezze ha costruito il passato e il presente dell’amore italiano per farfalle, mezze maniche, conchiglie e penne (sì, pure le penne). La lista potrebbe continuare: sono 103 i formati prodotti oggi da Barilla. Di alcuni, pensati per l’estero e non commercializzati in Italia (sono circa 30), non sospettiamo l’esistenza. D’altronde non è facile, schiodare l’amore incondizionato per lo spaghetto n.5, tipo di pasta maggiormente venduto sul mercato nostrano. Ma la preferenza per la pasta accussì o cosà non è l’unica cosa che differenzia il Belpaese dal resto del mondo. Avete presente il grano duro, materia prima della pasta per antonomasia? Ecco, in Sud America lo vogliono tenero.
Inaudito? Alla fine, de gustibus non disputandum. Anche perché, in fatto di pasta, non è che siamo tutti santi, dalle nostre parti. Un esempio? Alzi la mano chi non ha mai, ma proprio mai manipolato il tempo di cottura indicato sulla confezione (e che sulle blue box Barilla, dal 2022 ridisegnate eliminando la finestrella di plastica a favor di sostenibilità, è posto proprio in bella vista). Da Academia Barilla il messaggio è chiaro: «Qualcuno potrebbe pensare che “al dente” voglia dire scolare prima del tempo di cottura indicato. Al contrario: è proprio terminando la cottura fino ai dieci, nove, otto minuti indicati che si otterrà un dente classico, ottimale». Oppure: ma perché lo spaghetto è “n.5”? «Quando si parla di indicare uno spessore, come nel caso degli spaghetti, man mano che crescono i numeri aumenta il diametro, anche se non c’è correlazione diretta tra numero e spessore. Per gli altri formati, spesso sono denominazioni date all’origine e mantenute per affetto e riconoscibilità».
Insomma: sulla pasta, anche gli italiani hanno tanto da imparare. E Barilla, la cui storia inizia con una piccola bottega di pane e pasta nel centro di Parma a fine Ottocento, lo sa perfettamente.
Il viaggio vero, però, comincia sul campo. Perché, se per il vino resiste l’annosa diatriba, ma si fa in vigna o in cantina?, per la pasta non ci sono dubbi: il lavoro sul campo è importante quanto quello in mulino. Il primo perché selezionare le giuste varietà di grano, e coltivarlo con le tecniche giuste, è fondamentale. Emilio Ferrari, Responsabile Acquisti grano duro di Gruppo Barilla, sottolinea: «Oggi collaboriamo con oltre 5.500 agricoltori (numero totale di aziende agricole che nel 2022 hanno usato granoduro.net), con cui abbiamo prodotto, nell’ultimo anno, oltre 443.000 tonnellate di grano duro. Siamo presenti su tredici regioni prevalentemente del Sud e della costa adriatica, area in cui possiamo rimediare, entro un certo limite, alle condizioni climatiche avverse o variabili. In questo ci aiutano strumenti di ultima generazione che mappano e monitorano il campo a distanza. Non è tutto: il lavoro nel campo consiste anche nel selezionare le varietà di grano, tenendo sempre a mente una buona resa proteica, data dal glutine, e il colore, che dev’essere giallo ambrato per dare un ottimo colore alla pasta».
Lasciato il campo, il grano è immagazzinato e conservato fino a un massimo di un anno. Poi, quando è ora che il chicco raggiunga lo stabilimento produttivo di Barilla a Pedrignano (PR), il pastificio più grande del mondo, lo si fa salire in treno merci, dove ogni carro può contenere la quantità di grano trasportata da due camion. Il treno viene messo in moto un paio di volte la settimana.
A questo punto, è il mugnaio a occuparsi dell’ultimo passaggio, miscelando i grani a sua disposizione per ottenere il blend – o cocktail, se vogliamo – perfetto. Figura curiosa, quella del mugnaio. Quello di Barilla, Tommaso Pellegrino, è per metà artista, per metà scienziato. Il risultato del blend dev’essere impeccabile, riproducibile. L’occhio, allenato, per supervisionare sulle operazioni che avvicineranno sempre più la spiga allo spaghetto.
Prima di essere macinato, impastato con acqua, estruso ed essiccato, il grano duro va pulito e decorticato, eliminando impurità, chicchi difettati o sottodimensionati. Si otterrà così un chicco con circa il 15% di massa in meno. Macinandolo, si ottiene la semola di grano duro, dorata e profumata. Gli scarti di lavorazione, chiamati farinaccio e tritello, vengono avviati verso altre filiere di lavorazione.
Non c’è trend social che tenga: la pasta, fatta così, non è una moda, ma un’istituzione. La credenza di casa, ripiena di blu Barilla, l’ha sempre saputo. In fondo-in fondo, anche noi. Solo che a volte ci perdiamo dietro quisquiglie come “chi fa la carbonara più gonza”, e ci dimentichiamo di quello che il nostro palato intuisce: un grano duro (italiano) così non si trova tutti i giorni. E non finiremo mai di conoscerlo abbastanza.