Non c’è merenda senza il Signature Cappuccino di Lavazza. Sì, anche dopo le 12:00 | Rolling Stone Italia
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Non c’è merenda senza il Signature Cappuccino di Lavazza. Sì, anche dopo le 12:00

Il Signature Cappuccino di Lavazza porta in tavola il gusto della bevanda che unisce tutta Italia, in una veste nuova. Per colazioni liffe ma anche, qui lo diciamo, merende goduriose. Sì, dopo le 12:00

Credits: Lavazza

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Il 24 maggio 2023, Roma ha tremato. La creator dell’account Instagram @romeitalytravel ha alzato un cartello in una Città Eterna gremita di turisti di tutte le età, intimandoli a non bere cappuccino dopo le 12:00. L’appello leggeva: Please, no cappuccino after 12pm. Frase con cui, sicuramente, la mamma che è in tutti noi concorderebbe senza pensarci due volte. “Ma cosa bevi il cappuccino dopo pranzo? Ti rimane sullo stomaco!” O, per dirla con le parole di Nadia Caterina Munno, in arte @the_pastaqueen, bere cappuccino oltre la mattina (le 11:00, secondo lei) è, semplicemente, “maleducato”.

Noi, però, caliamo la maschera: siamo di un’altra filosofia. Il cappuccino è, prima di tutto, un genere di conforto, lusso e coccola a qualsiasi ora del giorno (non venite a dirci che “ne avete proprio bisogno la mattina”, dài). E come tale dev’essere celebrato. Specie ora che la stagione delle feste si avvicina, e le merende di metà pomeriggio riscaldano corpo e anima. Magari fermandosi al Flagship Store Lavazza, in Piazza San Fedele a Milano, per gustare il nuovo Signature Cappuccino. Ma come, “nuovo”? Come si può innovare con una bevanda che è in giro, come dicono, da quando Berta filava?

La risposta può sembrare retorica, ma naturalmente una strada c’è. Si tratta di un gioco d’astuzia, impostato sulle proporzioni della bevanda. Classicamente, infatti, il cappuccino si regge sulla “regola dei quinti”: un quinto di caffè, due quinti di latte caldo, due quinti di crema di latte caldo – dunque non chiamatela “schiuma”, perché qui si parla di una texture setosa, con alveoli di aria microscopici e ben compatti. Ma a sparigliare le carte ci aveva già pensato la Latte Art: per farvi capire, i disegni da fotografia sulla “calotta” del cappuccino. Il primo “artista del latte” pare essere stato, nei tardi ’70, il barista veronese Pierangelo Merlo. La pratica si diffuse però grazie a David Schomer, barista di Seattle, solo un decennio più tardi (per vederlo in azione e imparare tips&tricks, qui). Il primo segreto, però, ve lo sveliamo noi: per riuscire a disegnare per bene, la percentuale di latte del cappuccino deve aumentare. Avremo così un quinto di caffè, tre quinti di latte caldo, un quinto di crema di latte caldo.

Credits: Lavazza

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Entra il Signature Cappuccino di Lavazza, che sterza nuovamente verso la tradizione e verso il piacere del tagliare il proprio caffè con latte dolce e setoso. Per fare ciò si torna, ancora una volta, alle proporzioni: un quinto di caffè, un quinto di latte caldo, tre quinti di crema di latte caldo. Infine, per creare un caratteristico “tuppo”, un cucchiaio di crema di latte. Per presentare il Signature Cappuccino in tutta la sua gloria cambia anche la tazza, dove la classica ceramica è sostituita da una vetro camera trasparente, per un totale di 240ml di capienza. Ogni strato è perfettamente visibile, e il colore del caffè trasformato in cappuccino, che fa capolino attraverso la tazza, riporta alle origini stesse della bevanda. Che, ahinoi, no, non è nata in Italia.

La leggenda è bizzarra come tutte le coincidenze felici e involontarie che hanno cambiato la storia della cucina. Pensate alla crema ganache o alla crêpe suzette, nate per errori e trasformatesi in certezze. Per il cappuccino, il momento topico fu l’entrata di padre Marco d’Aviano in una caffetteria di Vienna. L’anno è attorno al 1683, e il padre, evidentemente pratico di peccati di gola, chiese qualcosa per addolcire il proprio caffè. Gli fu servito del latte. Mischiandolo alla bevanda scura, si ottenne un colore simile a quello indossato dall’ordine dei frati Cappuccini. Osservando la scena, il proprietario non seppe trattenersi: guardò il padre ed esclamò, Kapuziner!(che in tedesco significa, appunto, Cappuccino).

Il resto è la storia di un gusto che, dalle nostre parti, si è fatta abitudine nazionale. E che Lavazza, che di caffè se ne intende giusto un po’, ha voluto reinventare. Non finisce qui: il Signature Cappuccino è disponibile infatti anche in due varianti aromatizzate, arancia o pistacchio. Perfette per la stagione festiva che si avvicina (diteci che non state contando i giorni a Natale, se volete, ma faremo fatica a credervi). Ma anche per chi vorrà gustarlo au naturel, gli aromi non mancheranno. Questo è possibile grazie all’attenta selezione di Lavazza, sia sui blend che sui caffè monorigine. Ce lo racconta Stefania Zecchi, Coffelier Lavazza del Flagship Store di Milano.

Credits: Lavazza

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«Volendo semplificare, il Coffelier è un sommelier del caffè. Nella pratica siamo professionisti specializzati sul caffè, pronti a seguire e consigliare il cliente sulla base dei suoi gusti, indirizzandolo verso questo o quel tipo di caffè. In Lavazza è un ruolo fondamentale per la grande offerta di Specialty Coffee, ovvero caffè di specie Arabica che hanno ottenuto un punteggio di almeno 80 su 100 calcolato sul verde in base a gusto, aspetto visivo e olfattivo, da parte di un comitato di assaggiatori professionisti».

Non basta, però, ad assicurare l’ottima qualità del prodotto finale. Continua Zecchi: «la filiera del caffè è complessa e articolata. A maggior ragione quando si tratta di caffè specialty, è importante che ognuno degli operatori coinvolti, dalla coltivazione alla tostatura, fino a dietro il bancone del bar, lavori per mantenere alta la qualità del prodotto. I Coffelier sono formati anche in questo senso».

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