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Lasciate perdere TikTok: la rivoluzione, a Napoli, parte da cicoli e ricotta

Galeotta fu Salumeria Malinconico, dove Alessio Malinconico, quarta generazione di una conduzione famigliare che dura dal 1890, ha deciso di non seguire le orme di tanti "paninari napoletani". Dimostrando che la tradizione intelligente - complice anche la focaccia di mamma Amelia - vince sempre
salumeria malinconico

Credits: Florian Domergue

Corso Vittorio Emanuele II, civico 453. Napoli. Quando si varca la soglia della Salumeria Malinconico, non si entra solo in un banco  con alimentari, ma in un microcosmo di relazioni intimamente legate al quartiere e alla famiglia Malinconico — cognome, ossimorico rispetto alla verve della famiglia, e non uno di quegli aggettivi che vanno di moda oggi quando si dà il nome a un locale.

Siamo a qualche centinaia di metri dalla fermata della metro Salvator Rosa, a poche curve dal Museo Archeologico. Scendendo le scale di Sant’Antonio ai Monti, passando per un quartiere che ancora resiste alla gentrificazione, si arriva nel cuore della Pignasecca, a pochi passi da alcuni fenomeni social che con la salumeria condividono solo la categoria merceologica, e poco altro.

Napoli non è solo “con o senza mollica”, non è solo soap su TikTok, ma è anche storia, ed è sempre bene ricordarlo. Quella della Salumeria Malinconico inizia nel 1890, come ci racconta Alessio Malinconico, quarta generazione alla guida di questa impresa che oggi, anche grazie a un uso intelligente e naturale dei social, è diventata un punto di riferimento ben al di fuori del proprio quartiere.

«La storia inizia con Carlo Malinconico, mio bisnonno, che da Palma Campania fu mandato dai propri genitori verso la grande Napoli. Giovanissimo, andò a lavorare in una salumeria di conoscenti, imparando così il mestiere e arrivando, proprio nel 1890, ad aprire la propria insegna, in quella che è tuttora la nostra sede». Mentre parla, negli occhi di Alessio si percepisce non solo l’ammirazione e la fascinazione per una persona che non ha mai conosciuto, ma che è centrale nella sua vita, ma soprattutto il profondo rispetto per il passato. Non è cosa da poco: in tante imprese a conduzione famigliare, spesso le nuove generazioni arrivano a scombussolare i piani di chi è arrivato prima, con un po’ di incoscienza (che ci vuole sempre) ma anche, a volte, poco rispetto per ciò che è stato.

Non è evidentemente il caso di Alessio, 37 anni, che in salumeria c’è da quando è nato. «Ho sempre vissuto il negozio come il prolungamento della mia casa. I compiti di scuola si facevano vicino alla cassa. Se volevo vedere mia madre Amelia e mio padre Antonio ero obbligato a scendere al piano di sotto [la famiglia abita nello stesso palazzo da decenni, ndr], perché passavano più tempo in salumeria che a casa. Così mi sono abituato anche io a stare lì, accorciando questa distanza e trovando una soluzione per condividere il senso di “famiglia”. In questo modo, gli spazi, i clienti e i dipendenti sono sempre stati parte della mia vita e della mia crescita, fino a essere anche io protagonista di questa commedia». In senso balzachiano, naturalmente. Eppure, il passaggio non è stato immediato. «Prima di tornare in salumeria, ho lavorato come montatore tv per sette anni. Ricordo i turni all’alba, quando era difficile rimanere sveglio», ridacchia. La decisione di tornare in salumeria, spiega, è arrivata nel 2013. «Avevo percepito che fra mio padre e mio zio ci fossero divergenze sul futuro della salumeria, e che fosse necessario l’intervento di una terza persona per preservare l’identità originaria che si stava perdendo in favore del classico supermarket».

Il panino cicoli e ricotta di Salumeria Malinconico. Credits: Florian Domergue

Questo è il punto: Alessio è rientrato in salumeria in punta di piedi, ma consapevole di dover prendere in mano le redini dell’attività. Ha tenuto vivo quel microcosmo di relazioni e ha iniziato a raccontarlo sui social, in modo autentico e unfiltered. I suoi clienti sono diventati i protagonisti di un racconto che dice tanto di una città, Napoli, di un luogo, una salumeria con alimentari, e di un certo modo di fare le cose che sembrava essere spacciato, o quanto meno fuori moda, rispetto ai brand che devono scalare e diventare catena.

Salumeria Malinconico è orgogliosamente piccola, limitata nei suoi spazi che ti costringono quasi a interagire con gli altri clienti. E, come vuole lo slogan scritto sul merchandising e sulla saracinesca, è aperta “giovedì mezza giornata”, perché è giusto ritagliarsi del tempo libero per godersi la propria vita. «La nostra filosofia è la stessa da anni: mantenere vivo il rapporto tra noi e il cliente, storico o nuovo che sia, favorire il dialogo e il supporto nella scelta dei prodotti, facendo da filtro tra il produttore e il consumatore finale. Quello che vendiamo lo abbiamo selezionato e pensato per il cliente, quindi abbiamo voglia di spiegarlo e proporlo oggi anche con nuove iniziative come le collaborazioni, le degustazioni, gli appuntamenti in posti anche al di fuori della salumeria». 

Qui ci arriveremo fra poco. Prima, parliamo di prodotto: “Antico come un tempo, moderno come domani”. Così recita la campagna che il grafico artigiano Loris Lillo ha creato, insieme ad Alessio e alla sua compagna Fabiana, per rilanciare il panino cicoli e ricotta, signature della Salumeria Malinconico. Un panino che rappresenta perfettamente questa filosofia: «Sono cresciuto con panini farciti in tutti i modi. Ho cominciato con quello al prosciutto cotto, poi al salame, solo dopo scoprii la bontà del prosciutto crudo. Ma uno in particolare era lì, vicino a essere dimenticato: la rosetta con i cicoli di maiale e la ricotta. In famiglia i cicoli non si consumavano molto, se non per farcire le pizze fritte fatte in casa», ci dice Alessio, mentre ritorna con gli occhi alla sua infanzia.

Breve inciso, trattandosi di una nicchia: i cicoli sono realizzati con la pancetta del maiale, che, separata dalla cotenna e fatta a dadini, viene cotta a fuoco lento per almeno tre ore fino all’ebollizione, facendo evaporare l’acqua e scolare la sugna. Il risultato è un salume che ricorda le tipiche venature di un marmo di Carrara, e che Alessio taglia con delicatezza rigorosamente a punta di coltello.

Ora possiamo continuare: «Nonna Rita [altro personaggio iconico della salumeria, ndr] chiedeva questo salume con un po’ di ricotta, da mangiare con le mani sul foglio oleato del salumiere mentre aspettava che la pasta si cuocesse. Ricordo anche qualche muratore che entrava e sceglieva un bel pezzo di pane cafone, chiedendo di farcirlo così e aggiungendo anche sale e pepe». Da questi ricordi, è scattata la scintilla: «Con l’aiuto di Enrico, il nostro storico banconista, e forse il mio primo mentore sulla cultura del panino, abbiamo ripreso questa ricetta, scegliendo un pane più adatto e decidendo di servirlo caldo». Perché, secondo Alessio, il panino con cicoli e ricotta perfetto ha il pane «che resta croccante fuori e umido dentro, bagnato dal grasso che suda dal cicolo e la ricotta che si fa crema. Il sale e pepe chiudono il cerchio. L’ata pruà, non c’è altro modo per capire».

Credits: Florian Domergue

Oltre il cicolo e la ricotta, però, c’è altra vita: tra cui il panino con parmigiana di melanzane o quello con le tradizionali papaccelle, adatto anche a chi non mangia carne. Oltre, ça va sans dire, a un banco gastronomia sempre ricco, con la ricercatissima focaccia di Amelia, il casatiello, la parigina alla genovese, e diverse tipologie di formaggi locali, come il fiordilatte e la provola di Vico Equense. Non ancora soddisfatti? Allora assemblatevi il vostro panino, come d’altronde si è sempre fatto in salumeria. Il che, per chi sta dietro al banco,  comporta esporsi a richieste creative, che vanno tenute a bada con piglio esperto: «Una volta una cliente mi ha chiesto se fossi disposto a realizzare quello che aveva sognato la sera prima. Un panino un po’ hard, non vado oltre nei dettagli». O, anche, sì, il panino con pesto di pistacchio. Ma questo, con proverbiale gentilezza, si rifiuterebbe di farlo.

Ma cambiamo discorso, ché forse è meglio, e arriviamo alle collaborazioni. Non è raro, ormai, trovare Alessio regolarmente in giro per l’Italia, con la sua valigia letteralmente piena di cicoli. Le collab sono sicuramente uno dei format più diffusi oggi nel mondo della ristorazione. Quelle di Alessio nascono dall’incontro umano, dalla sintonia  con le diverse realtà ma anche, naturalmente, dalla voglia di andare fuori dal seminato.

«Le collaborazioni sono nate dal desiderio di comunicare l’incontro tra filosofie e colleghi, meglio ancora se amici, mettendo però sempre al primo posto il prodotto e l’esperienza di chi mangia», racconta. «La più particolare in assoluto resta quella con Bop Dumpling, ravioleria aperta al Vomero da Luca Affattato, con alle spalle una carriera anche da DJ: lì ho capito che la gente ci stava dando una fiducia immensa e non potevamo deluderla. Quando ho visto la fila fuori dalla salumeria, mi sono detto “‘Sti pazzi davvero sono venuti a provare dei ravioli con dentro la farcitura di un panino!”, così ci siamo messi a testa bassa e ne abbiamo serviti 1.200 in tre ore». 

E poi la prima collaborazione, che non si scorda mai: «Con i ragazzi di Latteria Itri, il loro menu servito su dei banconi di un freezer fu un momento romantico. Ma non posso non citare il viaggio in California, quella con Giuseppe Iannotti da Luminist, o quella con i colleghi della Tripperia Pollini di Firenze, mi ha emozionato tantissimo. Infine il weekend a Londra con la bakery italiana Forno e Rolling Grapes».

Ed è di nuovo proprio verso gli Stati Uniti che porta il sogno nel cassetto: «In un deli italo-americano, abbinando due salumi in un panino e reinterpretando all’italiana il sandwich americano». Alessio, insomma, guarda sempre al futuro, ma con i piedi saldamente dietro al banco e con gli ingredienti di sempre: «La pazienza di Amelia che sorride in cassa, Antonio ed Enrico dietro al banco pronti ad accontentare il cliente, coerenza, semplicità, rispetto per le generazioni che hanno reso possibile questa storia e verso chi, ogni giorno, ci fa sentire la propria fiducia». Sembra facile, ma non lo è per niente. La prova è sempre lì: in Corso Vittorio Emanuele II, civico 453. Napoli.

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