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seconda stella a destra

La Bassa, il formaggio, zero hype: è la repubblica illuminata di Cascina Lago Scuro

Dove la pianura cremonese si avvicina al Po, Luca Grasselli e famiglia hanno costruito "l'isola che c'è". Non un agriturismo ma una casa generosa, con due regole fondamentali: non si fa agricoltura per lucrarci; la FOMO dei social è categoricamente da ignorare

Cascina Lago Scuro

Cascina Lago Scuro

Foto: JAGUARES Studio

«Le vedi quelle galline? Loro stanno al top». In effetti, gli animali di Luca Grasselli, in Cascina Lago Scuro, se la spassano contenti, impegnati in un déjeuner sur l’erbe che, dalle parti della Bassa cremonese, sembra non finire mai. Sono quaranta o poco più (gli animali), tra mucche razza bruno alpina, suddette galline, un gallo padovano con un ciuffo giallo che sembra «Rod Stewart, o Tina Turner» e colonie di tartarughe insediate nel lago che dà il nome alla tenuta. Qui una volta non era tutta campagna, ma poco ci manca. Nel 1300 vi si insediarono i frati Olivetani (congregazione dell’Ordine di San Benedetto), bonificarono le paludi vicino al Po, buttarono le letterali fondamenta di quelli che oggi sono 40 ettari di terreno tra campi, pascoli, orto, bosco, coltivazioni a foraggio e cereali. E ovviamente lui, corpo centrale della Cascina, costruito principalmente attorno al 1700 dagli antenati di Grasselli con le sue torrette, piccole guglie, e il sapore di un disegno tracciato da un fan di Cime tempestose.

«La mia famiglia faceva parte della nobiltà cremonese, avevano un palazzo in centro, Palazzo Grasselli, e Lago Scuro era la loro residenza estiva. Arrivati alla generazione di mio padre, il palazzo è stato donato al Comune, mentre la Cascina l’abbiamo acquistata da un parente e l’abbiamo trasformata in ciò che è oggi. Che per noi vuol dire, in primis, casa nostra».

Cascina Lago Scuro

Foto: JAGUARES Studio

Non lasciatevi dunque abbindolare da ciò che potreste aver visto sui social seguendo questo o quell’influencer di “Milano & dintorni”: Cascina Lago Scuro non è l’ennesimo “posto sincero” a cui accorrere per fugare lo spleen cittadino. Cioè, potrebbe esserlo. Ma le prenotazioni per il pranzo e la cena sono regolate dalla disponibilità di Luca e della sua famiglia, non del cliente (fatevi un giro sul sito web per crederci). Perché il primo lavoro, da queste parti, è svegliarsi la mattina, girare per la Cascina, e scegliere che cosa mangiare per pranzo.

Il secondo è lavorare la terra, ricominciare dalla sua fertilità, rovinata dall’intensività applicata all’agricoltura e agli allevamenti. «Cercare profitto nell’agricoltura è un controsenso», dice Grasselli. «La logica del guadagno si scontra con i ritmi della natura, che noi invece vogliamo preservare. Poi c’è un’altra cosa che vogliamo conservare: la sanità mentale. Quindi non ti dico che non mi viene tutti i giorni da pensare che dovrei espandermi, investire di più, andare dalle banche a chiedere prestiti, eccetera. Fatto trenta potrei fare trentuno, mettere alberi da frutto, diventare più sistematico nell’attività alberghiera, fare il resort ecco. Ma ti dico che tutti i giorni penso esattamente queste cose, anche nell’ottica di lasciare qualcosa di solido in mano ai miei figli, ma la risposta è sempre: no, questo lavoro non deve diventare una prigione».

Cascina Lago Scuro

Foto: JAGUARES Studio

Non per nulla qui è #MakeTheBassaGreatAgain, ricominciare da terre bistrattate ma generose, proprio come le persone che le bazzicano. «Rimanendo piccoli possiamo portare avanti il lato umano di tutto. La terra, per me, è un veicolo per cucire relazioni». C’è da dire, l’impatto con Cascina Lago Scuro tutto è fuorché “piccolo”. Oltre ai citati ettari, si parla di un’ampia corte esterna, una chiesa sconsacrata («ora è la sala dell’arrampicata per i figli», e questa affermazione rimarrà così, nel mistero), stanze sufficienti per essere la casa della famiglia Grasselli e averne d’avanzo per fungere da piccolo bed and breakfast all’occorrenza, una cucina da ristorante, ampie sale per ampi banchetti, giardino per la bella stagione, un’orangerie riconvertita a workshop di ceramica, e un ex nido rurale («lo abbiamo avuto per dieci anni, mia moglie è educatrice, poi dopo il Covid-19 abbiamo voluto prendere un attimo di respiro. Ora è la stanza dei giochi di mio figlio minore»). E poi una cantina dove passano quelli di zona per scambiare o comprare bottiglie perlopiù francesi, un microcaseificio (letteralmente una stanza), un’intera stalla da rimettere a nuovo, e lo spazio per affinare i formaggi.

Pare un’isola che non c’è, seconda stella a destra, il salto in un’altra dimensione – non fosse per le industrie di mangimi a un tiro di schioppo sulla strada, che sottolineano ancora di più la necessità di arcipelaghi come quello di Lago Scuro. Oppure un luogo di culto, o, perlomeno, sede in cui potrebbe nascere una religione New Age, lontano dagli occhi del mondo. In un certo modo, tornando agli influencer di cui sopra, sta pure avvenendo. Luca però, stoico, non molla la presa, le regole di Lago Scuro non cambiano. Nonostante ciò, la sua agenda rimane decisamente più fitta della vostra.

Cascina Lago Scuro

Foto: JAGUARES Studio

«Tutti gli anni organizziamo una residenza artistica internazionale. Ospitiamo gli artisti per alcuni giorni e diamo loro mano libera sulla Cascina. La vedi questa?» Indica una colonna con capitello finto-ionico. «Questa l’hanno messa qui nel 1400 circa. Ora guarda qui», e indica un’altra colonna: ci campeggia sopra un ideogramma tracciato a pennello. «Questo l’ha fatto un artista vietnamita. Ha sparso caratteri in giro e ha portato il mondo, e la sua storia, in un edificio che esiste da secoli».

Tracce di passaggi, e di amicizia, che fanno vivere anche altri luoghi della Cascina. Sulla porta della stalla, per esempio, sono stati dipinti gli ingredienti di un dolce. Un altro ideogramma campeggia su un alto, alto silos. E sui ripiani delle cantine riposano barattoli di fermentati senza nome: «Questi li hanno fatti tempo fa due ragazzi israeliani che avevano lavorato al Noma. Son passati di qua, hanno fatto i loro esperimenti, e li hanno lasciati in vasetto. Non mi sognerò mai di aprirli».

Cascina Lago Scuro

Foto: JAGUARES Studio

A quest’altezza, la domanda potrebbe sorgere spontanea: ma com’è che si passa, quindi, in Cascina? Devo per forza saper stringere un pennello tra le dita? Forse no, anche se accodarsi a un matrimonio sarebbe gradito, quindi convincetevi o convincete amici e parenti. «Prendiamo le prenotazioni per i ricevimenti un anno per l’altro. Anzi, aspetta, non è corretto: ci chiamano un anno per l’altro, a noi pare fantascienza. Anche perché alcuni di quelli che vogliono organizzare il rinfresco di nozze da noi non sono mai passati prima, prenotano alla cieca. Poi ci sono quegli altri, quelli che cominciano a mettere troppi puntini su troppe vocali, e questa cosa lo voglio così, ma non è che il tavolo si può apparecchiare così, vorrei queste sedie, e così via. Ecco, loro non ci hanno capito, non hanno inteso quello che facciamo qui. Ci dispiace, ma la Cascina non fa per loro».

She is a hard mistress, scriveva Bruce Chatwin della Patagonia, aggrovigliando l’incanto disarmante e la mancanza di compromessi di quell’angolo di universo. Anche in Cascina, in un certo modo, bisogna giocare alle regole di Luca, o meglio, lasciarsi travolgere dal suo mondo. Che potrà non prevedere galoppate o fiumi da guadare, ma sbrodolate a suon di mozzarelle mangiate con le mani, oh sì, questo sì.

Cascina Lago Scuro

Foto: JAGUARES Studio

«Mio padre, che è poi quello che ha fatto nascere tutto il progetto della Cascina, a un certo punto si è appassionato di paste filate. A Cremona abbiamo la DOP del Provolone Valpadana, ma poi è andato oltre, è andato a imparare come si fa la mozzarella, e da lì siamo passati prima dalle classiche forme tonde, poi anche alle trecce. Io le preferisco, rimangono più croccanti. E poi con le vendite in città spingono di più, noi partecipiamo a un mercato alla Fabbrica del Vapore a Milano e ad alcuni a Cremona, e vanno fuori in un attimo. Poi produciamo cagliate lattiche, un tipo Camembert, un formaggio fresco a pasta morbida che si chiama Bianco del Lago, e anche lo yogurt, per dirne alcuni». Che vi ricordi un film di Paolo Sorrentino o no, fidatevi di Luca, azzannate quel bianco sugoso, e tutto andrà bene.

Anche perché la tavola è una cosa seria, a Cascina Lago Scuro, e quando si comincia a imbandire non c’è via di scampo: se ne vorrà ancora, e ancora. Forse perché la squadra di cucina, composta da Matteo Ferrari e Leonardo De Pietri, sa il fatto proprio, specie in materia di panificazioni e lievitati sfogliati, rigorosamente da accompagnare con lardo da far sciogliere, se salati, o con crema chantilly, pasticcera, inglese se dolci.

Cascina Lago Scuro

Foto: JAGUARES Studio

Sarà che tutto ricorda i bei sogni di Francia, sperduti in una campagna, a parlare di lettere, cibo e buon vino. Sarà che chi ama il bel pensare ama il ben mangiare, e allora non è un caso che Luca abbia studiato Filosofia e che, di questi dettami alla crescita del capitalismo, non sappia che farsene. «Anche perché, ti sfido a tenere i maiali ora con tutto il problema di peste suina [virus portato dai cinghiali e contro la cui incidenza molti allevatori chiedono da tempo lo stato di emergenza nazionale, ndr], o anche ad aumentare la quantità di polli, per dire. Fino all’anno scorso ci sono stati casi pesanti di aviaria, e le regolamentazioni della grande industria si applicano anche ai piccoli allevatori. Si parla che, da 50 polli in su, devi tenere gli standard dell’industria anche a livello di pratiche di allevamento. No, non fa proprio per noi».

Una decrescita felice? Oddio, non esageriamo. Però, nella repubblica illuminata di Lago Scuro, coniugare bellezza e approccio umanistico non sembra un’utopia. Non vi resta che andare a caccia, se vorrete, dei prodotti targati Grasselli (a Milano li trovate da Erba Brusca e Bar Paradiso, per esempio), per iniziare. E non prendetevela se al venerdì non vi fanno fare aperitivo in questa nicchia felice, con trecce di mozzarella appena pescate dal siero, pan brioche caldo e panorama mozzafiato. No, mettetevela proprio via: perché la Bassa potrà anche essere una nuova America, terra accogliente e altrusita. Ma del vostro hype, dove digrada verso il fiume, non sanno davvero che farsene.

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