I nostri sogni hanno la forma dei funghi | Rolling Stone Italia
VOYAGE DANS LA LUNE

I nostri sogni hanno la forma dei funghi

Non solo 'The Last Of Us': la relazione tra i funghi e la nostra immaginazione va decisamente più indietro. Intrecciandosi con la nascita del cinema

I nostri sogni hanno la forma dei funghi

Pedro Pascal e Bella Ramsey in 'The Last of Us'

Foto: HBO/Sky

Il cinema nasce da un fungo, il cinema di genere – ma che poi non è il cinema in generale? – nasce da un fungo. È il 1902, Georges Méliès inventa la fantascienza e in Voyage dans la Lune, che è un po’ il capostipite di tutto, porta i suoi avventurieri in redingote e cilindro appunto sulla Luna, e lì c’è una grotta dove crescono funghi alti come loro, anche di più. Gli schizzi preparatori per il film, a loro volta capostipiti degli storyboard, sembrano il futuro come ce lo immaginiamo ancora adesso: rocce extraterrestri con le stalattiti sopra e queste amanite giganti che premono da sotto; in mezzo, l’uomo destinato a restare schiacciato da entrambe le forze più grandi di lui.

Chissà il perché, ma viene certamente da lì questa fascinazione del cinema per i funghi, di questo vederli come esseri appunto alieni, fantascientifici, inintelligibili, corpi silenziosi che ci seducono e ci uccidono, ci raccontano il futuro e però sono lì da prima di noi, da prima di tutto. Nel suo ultimo tour Björk, feticista appassionata e dichiarata dell’universo fungino, canta sopra una pedana che è la cappella umbrellata di un fungo immaginario. Anche quello sembra un film del futuro, e però, insieme, il tableau di uno stato di natura primigenio, ancora vergine – che, si legge tra le righe dell’eco-messaggio del concerto, è stato l’uomo a corrompere anzi stuprare, con il risultato che poi quegli esseri si ribelleranno.

L’ultimo fungo del cinema, in senso ampio e lato come lo s’intende oggi, è il cordyceps di The Last of Us. Esiste davvero, su Reddit e affini ci si è chiesto per mesi cosa potrebbe farci davvero: si può mangiare (il nostro modo di pensare di farcelo amico: e già spiegherebbe guerre future) o invece ci trasformerà in mostri come succede nel videogioco diventato serie HBO? Per ora, ci si incontra a metà strada: è una componente di moltissimi medicinali e prodotti naturali, compreso lo smoothie di Goop by Gwyneth Paltrow (che il futuro, per molti versi, l’aveva già previsto benissimo: tutto torna). Certo è che, se distruzione dell’umanità dev’essere, allora sarà una distruzione bellissima: ci trasformeremo tutti in body art. Le creature di The Last of Us sono spaventosamente meravigliose, sospese tra un tuttifrutti di Arcimboldo e un incubo cronenberghiano. Poteva andarci esteticamente peggio.

I funghi disneyani di Alice nel paese delle meraviglie sono gli antesignani della psichedelia cinematografica, peraltro a misura di bambino: mangiane un pezzo e vedrai il futuro (che poi avrebbero trovato, parlando dei ragazzini di qualche decennio più tardi fino a quelli di oggi, nei funghi di Super Mario Bros). Il fungo è alla base dell’orrore: le amanite che crescono villane nella suburbia canadese di Amanita Pestilens, era il 1963; gli effetti che smostrano le facce, in stile cordyceps, di Matango di Ishirō Honda, stesso anno; fino agli orrori di oggi (Shrooms, In the Earth) che profetizzano un mondo, alterato, in tutti i sensi, da contaminazioni tra funghi, piante, esseri umani – gli ultimi, inevitabilmente, hanno sempre la peggio.

Il fungo al cinema è pure quello atomico, parimenti seduttore e distruttore. Era “Hiroshima”, sì, ma “mon amour” quella di Alain Resnais, anno 1959, instant movie o quasi che, sulle rovine del bombardamento atomico, faceva però scoppiare (pardon) l’amore tra la francese Emmanuelle Riva e il giapponese Eiji Okada. È un fungo, che però resta invisibile, quello di Oppenheimer, che nella visione nolaniana è, nell’istante stesso della detonazione, tutto il bello dell’uomo (l’infinito della mente, le possibilità della scienza, la capacità prometeica di riplasmare l’universo) e, lo sappiamo, tutto il brutto.

In Annihilation (Annientamento) di Alex Garland, dal romanzo di Jeff VanderMeer, un gruppo di biologhe guidato da Natalie Portman esplora una zona in quarantena, sconvolta dal “Bagliore”, un fenomeno che ha sconvolto il nostro ecosistema portando la natura a riprendersi tutto, anche noi. L’incontro più bello – si permetta l’aggettivo – è con il corpo di un soldato divorato da un fungo: è diventato, anche lui, una sorta di installazione, un quadro mostruoso e magnifico che quelle donne osservano sconvolte e incantante come se fossero in un padiglione della Biennale degli orrori. Quel film usciva nel 2018, ma sembrava di essere tornati al 1902. Era la Terra, ma pareva un altro Voyage dans la Lune. Là dove erano tutti uomini, qui invece erano tutte donne. Il cinema è cambiato, i funghi che lo infestano sono ancora lì, ci staranno per sempre.

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