Dai Caraibi a una Crêuza de mä: lungo la corrente del rum in compagnia d’un pirata | Rolling Stone Italia
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Dai Caraibi a una Crêuza de mä: lungo la corrente del rum in compagnia d’un pirata

Una chiacchierata senza filtri con Luca Gargano, patron dell’azienda che ha fatto conoscere agli italiani i piaceri del rum: gli anni Settanta, la politica, il primo viaggio nei Caraibi e quel famoso no a Berlusconi che gli ha cambiato la vita

Dai Caraibi a una Crêuza de mä: lungo la corrente del rum in compagnia d’un pirata

Luca Gargano ad Haiti

«Quindici uomini, quindici uomini…», sulla cassa del morto e una bottiglia di rum. La storia di Edward Teach – in arte Barbanera – narrava di un pirata che a un certo punto della propria onorata carriera pensò bene di abbandonare trenta uomini della sua ciurma, responsabili di ammutinamento, su un isolotto delle Isole Vergini noto come Dead Man’s Chest per la particolare morfologia. Come generi di conforto lasciò loro una bottiglia di rum a testa. E basta. Li tornò a prendere un mese dopo, ne erano rimasti solo quindici. Buoni per farci una canzone, che avrebbe poi preso in prestito Robert Louis Stevenson e messo ne L’isola del tesoro, facendola cantare agli uomini di Long John Silver. Ma la domanda più pressante è un’altra: da dove veniva quel rum? Teach imperversò nei mari dei Caraibi tra il 1716 e il 1718, quindi non poteva essere il giamaicano Appleton Hearts, che iniziò a essere prodotto solo nel 1749. C’è la possibilità che fosse un Bally della Martinica, dato che già nel 1670 il barone Jean-Baptiste de Lajous aveva impiantato una distilleria per ricavare un liquore dalla canna da zucchero nella sua piantagione. Potremmo andare avanti per ore nelle ricerche, sfogliando le pagine del sito di Velier e grazie ai racconti di un pirata e signore – come avrebbe detto Julio Iglesias – di natali genovesi, che come un suo concittadino di qualche anno prima, un giorno è partito e ha scoperto le isole a ovest del mare.

Foto: Mike Tamasco

Luca Gargano è ancora un ragazzino con la voglia di spaccare il mondo, ma con abbastanza anni in tasca, per dirla alla Truffaut, per sapere che bisogna anche usare quella saggezza che l’esperienza e il tempo ti hanno concesso. Genovese, Gargano è a capo di un’azienda, la Velier appunto, che compie quarant’anni e che ha fatto conoscere agli italiani la meraviglia (senza “Open to”) di centinaia di distillati e liquori provenienti da qualunque parte del mondo. Il rum in particolare, che è stato il suo primo amore e con cui ha ancora una relazione privilegiata, come mi ha raccontato durante la nostra conversazione, io a Londra e Luca seduto nel suo ufficio nel quartiere di Quarto al Mare, in Villa Nuovo Paradisetto, da tre anni il quartier generale di Velier.

«Avevo diciotto, diciannove anni, erano gli anni Settanta, facevo l’università, dove avevo avuto anche qualche problema con la politica, e il vecchio proprietario della Spirit, Vittorio Salengo, che all’epoca era il più grande importatore e distributore di champagne e distillati in Italia, mi prese a lavorare con lui, contro la volontà di mio padre, che era il suo amministratore delegato, ma che non voleva entrassi a lavorare lì. Salengo era un uomo piccolo, un metro e sessantacinque, capelli rossi, e la prima cosa che mi disse, con il suo accento genovese, è che gli olandesi da anni stavano mettendo da parte grandi riserve di rum. “Un giorno diventerà famoso, quindi, oltre a scaricare casse in magazzino, così sai quanto pesano, ti interessi del rum Saint James”. E allora incomincio a studiare questa cosa che arriva dalla Martinica e mi invento un concorso di vendita, i migliori agenti li portiamo a fare un viaggio lì. Quelli erano tempi in cui andavano altre cose, lo champagne, si iniziano a fare i primi viaggi in Scozia per il whisky, ma il Saint James passa da 13.559 bottiglie a 26.040, ancora me lo ricordo. E allora partiamo, io e altri otto agenti della Spirit, per i Caraibi, avevo diciannove anni e quando sono arrivato lì mi sono innamorato di tutto».

E come dargli torto. È una bella storia, e d’altronde dietro ogni successo c’è una storia e Luca Gargano ne potrebbe raccontare tante, ma non come quelle che girano oggi. «Purtroppo viviamo in un mondo digitale in cui si raccontano cose che non hanno connessione con la realtà. Io sono uno della Old Generation, profondamente anarchico, e voglio che pensieri, parole e opere corrispondano. È una piccola missione, prima di essere un produttore sono un mercante e devo mantenere le promesse nei confronti delle persone che ho davanti. Oggi il finto marketing usa le debolezze degli esseri umani. Il mio marketing è la verità, voglio essere coerente, l’ho sempre fatto nella vita».

Foto: Mike Tamasco

È questa la filosofia di Luca Gargano, e di conseguenza quella di Velier, un’azienda distributrice di centinaia di etichette da tutto il mondo, dal rum al whisky al gin, passando per tequila e mezcal, fino al vino, rigorosamente naturale e selezionato secondo un protocollo creato proprio da Velier. Ma Velier non è un mondo solo liquido, ci sono pure le paste di Giovanni Fabbri e di Emilio Pepe «le uniche essiccate sotto i 37 gradi, temperatura a cui restano vivi il glutine e gli amidi». O le conserve de La Lupa, l’azienda di Jonathan Nossiter, che prima o poi andremo a trovare e che con Gargano condivide una visione precisa dell’etica enogastronomica e agroalimentare.

E infine Velier è anche un potente veicolo di divulgazione, attraverso un giornale, all’interno del sito istituzionale dell’azienda, che racconta di piaceri carnali, quelli del bere, del mangiare, del viaggiare, con il gusto, il corpo e la mente. Quarant’anni sotto la guida di Luca Gargano, e sarebbe potuta andare molto diversamente. «La Velier esisteva già dal 1947. Era una piccolissima azienda che aveva la sede in un piccolo deposito del porto di Genova. All’epoca fatturava 600 milioni di lire l’anno, 300.000 euro, praticamente inesistente. Avevo ventisei anni ed ero diventato il direttore marketing della Spirit. Silvio Berlusconi aveva già avviato il suo impero e nel 1982 mi chiede di andare a ricoprire lo stesso ruolo nella sua azienda. Quando sono uscito da questo appuntamento in via Rovani mi sono fatto la domanda che mi dovevo fare: cosa voglio fare da grande? Se entro in quest’azienda quale sarà il mio futuro, al massimo diventerò direttore generale, se mi va bene, e comunque ero un tipo scomodo, libero. E lì ho pensato: devo fare l’imprenditore. Ed è venuta l’idea di entrare in Velier. Poi, usando le mie conoscenze informatiche e di marketing, piano piano, copeco dopo copeco, dracma dopo dracma, rupia dopo rupia, ho costruito questa cosa. Erano tempi diversi, lavorando in una grande azienda avevo capito molte cose, per cui ho creato una nuova carriera su due principi: coltivare i contatti umani e mantenere le promesse. Per questo abbiamo creato dei protocolli, come ad esempio le Triple A e il Presidio Slowfood del Clairin traditionalle (il rum haitiano) e un sistema di classificazione dei rum, che spiegassero a chiunque che cosa hanno davanti nel momento dell’acquisto».

Foto: Mike Tamasco

Triple A sta per “Agricoltori Artigiani Artisti”, un vero e proprio manifesto con un suo decalogo, un po’ come il Dogma di Lars Von Trier. Nato nel 2001, il protocollo tenta di definire cosa è un vino vero, autentico, naturale, con quali criteri nel dettaglio lo trovate su Velier, un oggetto digitale che nasce dalla terra, con cui ci si può sporcare le mani per tirarne fuori qualcosa che ha un valore reale. «Ho più bisogno dell’agricoltura che di un telefonino, che non ho mai avuto. Il posto dove lavoriamo è dentro Genova, a cinquanta metri dal mare, ho avuto un gran culo, ci siamo trasferiti qui l’8 Marzo 2020, abbiamo anche ventiquattro galline. Ogni ufficio ha un orto, mangiamo quello che è prodotto da noi». Leggere e comprare su Velier è un training per il consumo consapevole, una cosa rara al giorno d’oggi in cui si acquista senza pensare solo perché è facile farlo. E così ci si versa un bicchiere di quel vino comprato su internet senza concedersi il tempo per capirlo. Non per assaporarlo, per capirlo. È una delle regole di Gargano: la vita è fatta di piaceri. «Lo scopo di ogni essere umano è la felicità. La felicità la raggiungi solo con dei gesti positivi. Il mio mestiere è mettere in risonanza un prodotto con il potenziale consumatore». E sì, parla proprio dell’esperimento di Huygens, il fisico olandese che affiancò due pendoli e scoprì che per qualche ragione il loro movimento oscillatorio a un certo punto si sintonizzava. E non solo, produceva energia.

Foto: Mike Tamasco

Energia che oltre che nel lavoro Luca profonde anche nel piacere, che per lui è sinonimo di rum. Bisogna spostarsi di qualche chilometro, lasciare Paradisetto per andare in un magazzino di circa 7.000 mq dove sono stoccate le bottiglie commercializzate da Velier e dove sono conservate anche le 48.000 della collezione personale di rum di Luca. Una malattia (perché il collezionismo è una patologia bellissima e ossessiva) nata relativamente da poco, meno di quindici anni, ma alimentata con la stessa voracità con cui quest’uomo ha affrontato la vita, talvolta con dei colpi di fortuna, altre con rimpianto, per quella bottiglia che si è lasciato sfuggire o qualche occasione non colta, che detta così sembra di parlare del Suonatore Jones cantato da un altro genovese che dalla vita ha chiesto tutto quello che poteva. È una collezione preziosissima quella di Luca, con bottiglie vecchie anche più di due secoli e su cui servirebbe non un articolo a parte, ma probabilmente una serie a puntate in più stagioni. Sarebbe bello raccontare la storia di una bottiglia diversa in ogni episodio, altro che serie Marvel, la meraviglia vera è questa qui.

Foto: Mike Tamasco

«Chissà, potrei essere un esempio in fondo» mi dice. «Ho creato un’azienda abbastanza grande, l’anno scorso abbiamo fatto 143 milioni di fatturato con Velier, e 166 milioni di gruppo. Ma la cosa importante è che è un’azienda umana, vera». “Io faccio il mercante”, mi ha ripetuto spesso Luca nel corso della nostra conversazione. E vuoi vedere che a cinquant’anni e passa mi è capitato pure di conoscere un oste a cui non devo chiedere com’è il vino perché me lo dice lui per davvero?

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