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ChatGPT non sa che esistono delle bottiglie di vermouth disegnate da Dalí

Nessuno si ricorda più delle particolari bottiglie blu disegnate dall'artista catalano per il Rosso Antico della Distilleria G. Buton & C. In parte è colpa della mancata "riproducibilità tecnica dell'opera d'arte", vietata quando furono distrutti gli stampi degli esemplari
Salvador Dalí

Credits: Shepard Sherbell/Corbis via Getty

«Questi oggetti d’arte d’avanguardia vi sono oggi proposti dalla ROSSO ANTICO S.p.A. in una serie completa di confezioni contenenti le famose bottiglie illustrate da Salvador Dalí. La produzione di queste bottiglie avrà durata limitata. Il giorno 30 giugno 1972 verranno distrutti gli stampi. Immediatamente la serie completa acquisterà un valore crescente». Avremmo potuto trovare queste parole nella forma in geroglifici, sulla porta della tomba di un faraone, a promettere vita eterna. Invece sono state stampate su un packaging di cartone. Su una serie di tre scatole, per la precisione, contenenti altrettante, e bizzarre, bottiglie blu. La cui memoria, come per i nomi dei grandi Re d’Egitto, si è persa per secoli, così tanto affondata nelle sabbie del tempo che è difficile trovarne tracce perfino ul web.

Cercate “Rosso Antico” insieme a “Salvador Dalí” e la pagina vi tornerà indietro bianca. Persino ChatGPT sembra non saperne niente, o fa il finto tonto: «Salvador Dalí è noto per la sua straordinaria creatività e originalità in molte discipline artistiche, tra cui la pittura, la scultura, la fotografia e il design. Tuttavia, al momento della mia ultima conoscenza, non esistono registrazioni o documentazioni che collegano Dalí alla produzione di bottiglie specifiche di Rosso Antico».

Eppure, questa grandiosa connessione tra il mondo dell’arte e la liquoristica italiana è esistita. Noi lo sappiamo, in barba all’internet, e siamo qui per raccontarla, così che il suo ricordo non sparisca e non sia affidato agli annunci di vendita di chi ancora possiede queste bottiglie mitologiche (spesso spaiate, praticamente sempre vuote), o che le propone nei mercatini a prezzi che forse non rendono onore né all’artista, né all’imprenditore che in lui credette. Ma cominciamo dal principio.

Salvador Dalí e il marketing
Dalí è forse l’emblema stesso dell’artista nel XX secolo. Non tanto (o non solo) per la grandiosità della sua arte, ma anche per il rapporto che essa ha instaurato con la società e i suoi vari aspetti. Paradossale, esagerato in tutto (anche nelle sue debolezze). Valori spirituali fortissimi, ma sempre pronto a mettere la propria arte a servizio dell’industria e del commercio. La scelta di stare nel “nuovo”, per l’artista catalano, fu solo naturale, e per questo, nella seconda metà degli Anni Trenta, si trasferì negli Stati Uniti. Lì, Dalí venne in contatto con un altro lato della contemporaneità, ovvero il marketing, e intuì fin da subito che il dialogo con questo mondo poteva e doveva essere costante.

Credits: Weegee(Arthur Fellig)/International Center of Photography/Getty

Se, in maniera romantica, potremmo pensare che questa decisione fosse figlia del fatto che volesse rendere popolare e accessibile il proprio lavoro, o ancora che potesse pensare che il bello potesse scaturire anche da un semplice packaging, la realtà è un po’ diversa. Come scrisse lo scrittore e poeta André Breton, Dalí era estremamente interessato al denaro (dicono i magnanimi, per l’influsso della sua compagna), tanto da guadagnarsi il soprannome-sberleffo di “Avida Dollars” anagramma del suo nome che significa chiaramente avido di dollari.

In quel periodo Dalí divenne un personaggio ancora più pubblico, protagonista, per esempio, di spot televisivi, tra cui quello per il cioccolato francese Lanvin, per Alka Seltzer e per lo spagnolo Veterano Brandy. La sua collaborazione più celebre, però, fu senza dubbio quella che lo portò a creare il logo della Chupa Chups nel 1969, lo stesso che è ancora in uso oggi e che vediamo ogni volta che scartiamo una sfera lecca-lecca.

L’incredibile storia della famiglia Bouton
Il secondo protagonista della nostra storia è la famiglia Bouton, il cui capostipite Jean si era trasferito a Bologna dalla Francia nel 1820. Qui aveva fondato la Distilleria G. Buton & C., scegliendo di italianizzare un poco il proprio nome. Unendo la tradizione della sua terra nella distillazione del Cognac alle varietà di uve locali aveva creato il primo brandy italiano, denominato Cognac Buton, rimasto in commercio con questo nome fino all’entrata in vigore dell’accordo di Madrid del 1939, il quale determinò l’impossibilità di utilizzare il termine Cognac fuori dalla regione di provenienza. Il divieto portò alla decisione di  rinominare il distillato con un nome che tutti conosciamo molto bene: Vecchia Romagna Buton Brandy.

Tra gli altri prodotti che produceva l’azienda romagnola, oltre al bizzarro liquore a base di foglie di coca, Coca Buton – l’unico che tutt’oggi può utilizzare questo ingrediente ancora oggi nel nostro paese per ragioni storiche (sotto l’attenta supervisione delle autorità) – c’è anche il vermouth Rosso Antico. Ed è proprio all’interno del processo di valorizzazione di quel marchio che l’azienda decise di contattare Dalí e commissionargli una (diremmo oggi) limited edition. Tre bottiglie in serie (da replicare per un certo numero di volte), di forma, colore e disegni diversi, che potessero non solo diventare emblematiche ma anche da collezione. Tre bottiglie destinate a restare un unicum, perché come, detto all’inizio, lo stampo sarebbe stato distrutto rendendo irripetibile l’operazione e quindi le bottiglie.

Perché nessuno le ricorda?
I presupposti per l’immortalità c’erano tutti, eppure nessuno oggi pare ricordarsi di questo progetto. La domanda sorge spontanea: perché? Le risposte sono molteplici: in parte si può supporre che il declino della Distilleria Buton (poi acquisita dal gruppo Montenegro) abbia reso meno continuativa la narrazione con il passare dei decenni. In parallelo possiamo pensare che, in alcuni casi, a rendere iconico un oggetto sia la sua ripetizione, come ad esempio è successo con la meravigliosa bottiglietta del Campari Soda di Fortunato Depero, oggi a disposizione degli occhi di tutti in un qualsiasi bar per essere ammirata e apprezzata – anche se, ovviamente, singolarmente nessuna dei milioni di bottigliette create dal 1932 a oggi ha il valore della singola opera. Più recentemente, anche Cattelan ha firmato una propria bottiglia (in realtà del progetto è anche socio) per Sgrappa.

Forse, a dire il vero, la risposta è ancora più semplice: in un progetto così ambizioso, a farla da padrona è il principio di scarsità, e nonostante il numero limitato di pezzi messi all’epoca sul mercato si parla comunque di decine di migliaia di bottiglie. Insomma, come con le criptovalute molti piccoli collezionisti amatoriali hanno invaso il mercato del collezionismo sperando di spendere poco e guadagnare molto, ma non vedendone il valore aumentare nei decenni, con il passare del tempo si sono limitati a venderle o a buttarle, rendendole paradossalmente via via ancora più rare.

Insomma, non è da escludersi che un giorno queste prendano valore e tornino a essere apprezzate per quello che sono: piccoli oggetti usciti dalla mente geniale di un artista, limited edition di Dalí da tenere in casa e da mostrare con orgoglio.

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