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Breve guida ai listening bar, dove non conta come ti vesti ma come ascolti

Sono nati in Giappone, vogliono togliere il karaoke dalla piazza, spuntano come funghi. Diamo il benvenuto anche sulla piazza italiana ai listening bar, che ci fanno cambiare idea su come fare serata
casa bonay libertine

Credits: Stefania Zanetti e Matteo Bellomo

Nelle grandi città si sta affacciando una nuova tendenza, calma e raffinata, che probabilmente non ne scombussolerà la nightlife, ma forse non ha nemmeno intenzione di farlo: date il benvenuto ai listening bar, contro il logorio della vita metropolitana, tra la proposta ipertrofica di eventi, l’immancabile FOMO che ne deriva, e la velocità che rende schiave le agende. Lenti e intimi, i listening bar vogliono offrire uno spazio diverso e protetto, dove dimenticarsi dell’orologio e concentrarsi su due sole cose: una buona bevuta, dell’ottima musica.

Ma cominciamo dal principio. L’idea alla base dei listening bar è semplice: costruire una sorta di oasi musicale attraverso un ottimo impianto acustico, una ricercata selezione di vinili (avete presente quando si dice che nei locali la selecta musicale fa pena? Ecco, scordatevelo), un ambiente elegante ma accogliente e – infine – una drink list di rispetto. Tutto ciò a servizio dell’ascolto attivo della musica, volto a captare tutta la bellezza e la complessità del suono in uno spazio ovattato. In sostanza, la musica passa dall’essere sottofondo da bar a esserne protagonista. E gli avventori – senza l’obbligo di doversi barcamenare tra questa e l’altra occasione intellò per mettersi ad ascoltare musica di corpo – è una rivoluzione copernicana dell’uscire la sera.

Credits: Stefania Zanetti e Matteo Bellomo

Il concept dei listening bar nasce curiosamente in Giappone. Curiosamente, diciamo, perché è divertente pensare che lo stesso paese che ha dato i natali al karaoke abbia ideato un luogo (e un’esperienza) diametralmente opposto come quello dei listening bar. A ogni modo, l’idea viene dai Jazz Kissa (o jazu kissa), ovvero bar nati tra gli anni Cinquanta e Sessanta a Tokyo e che seppero distinguersi come raduno di appassionati di musica jazz. Il nome – a dire il vero – deriva da kissaten, negozi di tè che si svilupparono nei primi anni del Novecento e si specializzarono nel servire caffè e alcolici. Come si stava dunque in questi jazz kissa? Be’, circondati da un’atmosfera esclusiva e intima grazie alla presenza di divani comodi e spaziosi, luci soffuse e musica in vinile. Questi spazi erano vissuti come un’evasione dai piccoli e stretti appartamenti di Tokyo, dove era impossibile permettersi dei buoni impianti hi-fi, e divennero così un riferimento per la vita sociale e culturale della città nel dopoguerra.

Libertine, Barcellona. Credits: Stefania Zanetti e Matteo Bellomo

Negli ultimi anni, l’influenza dei jazz kissa ha scavalcato i confini, attraversato l’oceano, ed è arrivata praticamente ovunque, tant’è che oggi si possono incontrare listening bar iconici anche fuori dal Giappone. Negli Stati Uniti, capofila di questa adozione, il fenomeno ha cominciato a farsi notare a partire dal 2017, con Tokyo Record Bar & Tokyo Listening Room (a New York, e dove se no?) come ideale capostipite (la presentazione è quite telling: «an underground listening room dedicated to Quality & obsession through music, food & booze»). Oggi nella Grande Mela primeggiano nomi come Eavesdrop, Bar Orai e Mr. Melo, senza dimenticare il Public Records, che ha anche una specifica sound room per un’esperienza ultra-immersiva. A Miami, come ulteriore esempio, si incontra il Dante’s HiFi, gioiello di una cinquantina di posti diventato subito un riferimento per gli appassionati.

Libertine, Barcellona. Credits: Stefania Zanetti e Matteo Bellomo

Ma veniamo all’Europa e all’Italia. Ecco nomi sparsi se state facendo un interrail o avete trovato un’offerta last minute per il weekend: Rhinoçéros a Berlino, un posto semplice ed essenziale con una con grande scelta musicale soprattutto jazz; il Curtis, il Salvadiscos e l’Oblicuo a Barcellona (i primi due informali, il secondo più esclusivo), ma anche il Nica, spazio legato all’hotel Casa Bonay che alterna le proprie attività nello spazio del Libertine (ufficialmente il cocktail bar di Casa Bonay) con DJ set e belle selezioni musicali. O ancora il Bambino o il Montezuma Cafè a Parigi (entrambi hanno un’ottima carta di vini naturali) e lo Spiritland a Londra, uno dei precursori del Vecchio Continente visto che ha aperto nel 2016.

Libertine, Barcellona. Credits: Stefania Zanetti e Matteo Bellomo

E in Italia invece? A Milano troviamo il Ronin a Chinatown, palazzo interamente dedicato a cucina e cultura giapponese, e naturalmente al piano terra non poteva mancare un listening bar, dove anche i cocktail sono ispirati al Sol Levante e l’impianto Hi-Fi è firmato Klipsch, tra i leader mondiali degli impianti stereo domestici. Oppure Gesto, zona Porta Venezia, rinovato recentemente nelle sue vesti (compresa la nuova aggiunta del listening bar “Disco Malinconia”) e che vede dietro al bancone la brava Alessia Bellafante, prima in forza ad Unseen (sempre a Milano).

Section80 e Futura sono invece gli ultimi arrivati sulla scena, e si sono fatti notare per essere nati “al contrario” rispetto alle classiche dinamiche della ristorazione: non un ristoratore che aggiunge musica al suo locale, ma la musica che aggiunge la drinking experience (Section80, per esempio, nasce da una casa di produzione multimediale). Il primo presenta un impianto HI-Fi custom creato da H.A.N.D. HiFi e un sistema di diffusione immerso Dolby Atmos – avrete capito che spazio per farsi nerd di soluzione audio, ce n’è.

Nella zona grigia del “non proprio” listening bar, ma con selezione di spicco, sono invece Solchi (rigorosamente solo musica in vinile) e Bene Bene, che conta tra i soci Giorgio Di Salvo (alcuni lo ricorderanno dagli anni del King Kong), designer, direttore creativo e DJ che ne ha anche creato l’impianto Hi-Fi. Da notare che il capoluogo lombardo non era estraneo alle sperimentazioni con questo formato: già nel 2019 vedeva la luce il progetto Soul Math Society – A temporary listening bar a opera dei ragazzi dell’ex-Osservatorio Astronomico e dell’ex-Talea (team Pinch, per intenderci).

Libertine, Barcellona. Credits: Stefania Zanetti e Matteo Bellomo

Scendendo lungo la penisola, a Napoli (San Giorgio a Cremano per la precisione) c’è invece l’Audioteca, impianto acustico super (che ve lo diciamo a fare, custom, e con un mixer analogico Condesa, marchio australiano specializzato nel produrre a mano strumentazioni sonore) e belle vibe. Poi il Frissón a Roma, primo listening bar della capitale, progetto non solo musicale ma anche artistico: uno spazio dedicato all’ascolto di vinili affiancati da mostre, proiezioni e incontri (anche qui, impianto stereo custom made). A ogni modo, la scena dei listening bar è in costante evoluzione, e c’è da aspettarsi qualche nuova apertura in tempi ristretti, giusto per far scoppiare la famosa bolla, e passare, se ci sarà, al prossimo trend.

Oppure, i listening bar potrebbero essere una manifestazione dell’epoca in cui la listening experience sta prendendo il sopravvento, come testimoniato dagli ultimi “happening” di Kanye West. A Milano, Bologna e Parigi Kanye non ha cantato, ma ha fatto ascoltare la sua musica al pubblico in uno spettacolo di luci, danzando mascherato in compagnia di Ty Dolla Sign e altri ospiti in un ultimate display of power – e ci metteremo ancora un po’ a capire se si sta parlando del suo potere personale, o di quello della musica. Che sia una trovata di marketing o un voler privilegiare l’esperienza acustica, che vi piaccia o no, uno spartiacque è stato alzato.

Libertine, Barcellona. Credits: Stefania Zanetti e Matteo Bellomo

Ora che li abbiamo capiti un po’ di più, resta soltanto da chiedersi una cosa: ma chi è che ci va, nei listening bar? La clientela è molto variegata, ma c’è un fil rouge che, per quanto sottile, lega queste persone. Innanzitutto è facile trovare, com’è ovvio che sia, gli appassionati di musica (di tutte le età, non vi stupite se vedrete un sessantenne a tarda sera con una serie di bicchieri vuoti sul tavolo), che almeno una volta alla settimana rovistano spasmodicamente i mercatini vintage o negozi selezionati in cerca di affari a quarantacinque giri e vanno in fibrillazione quando trovano un pezzo unico a pochi euro. La sera si rintanano nei listening bar per continuare il loro studio e conoscere altri appassionati in un ambiente ristretto (meglio di una dating app, dite?).

Libertine, Barcellona. Credits: Stefania Zanetti e Matteo Bellomo

Non è raro trovare anche DJ, in cerca di nuove ispirazioni e ritmi da riproporre poi in console, sicuri di stare in uno spazio di sperimentazione dove poter dissetare la propria curiosità e farsi ispirare. Ci sono anche degli urban explorers sempre sul pezzo sull’ultima tendenza che nasce in città, da poter poi raccontare agli amici con un po’ di vanto per aver scoperto il locale in questione prima che diventi di moda. Tutti sono accomunati dalla voglia di conoscere un posto nuovo, dove evadere dalla movida metropolitana e incontrare persone con le stesse esigenze. La musica è protagonista ma anche pretesto per scambiare opinioni e rompere il ghiaccio. La qualità del suono è sempre elevata, ma il volume è moderato (raramente nei listening bar si balla) e quindi questa combo facilita la conversazione.

Libertine, Barcellona. Credits: Stefania Zanetti e Matteo Bellomo

Per quanto riguarda il cibo invece, sappiate che non si va nei listening bar per mangiare “cibo da listening bar”. Non c’è un codice rigido e universale a riguardo, ma il concetto originale non prevede un menu, dando invece priorità assoluta alla musica e al bere. Non è raro trovare però un listening bar dove si possa anche mangiare qualcosa, o meglio sgranocchiare qualcosa, tendenzialmente di veloce e facile esecuzione. Come for the music, stay for the night? Se può esistere una forma di convivialità riuscita che parta non dal cibo (pensato come ideale momento di condivisione massima), ma da una diversa sollecitazione dei sensi, allora che il listening bar ci faccia da guida. Abbiamo l’impressione che, nel mare dell’ascolto digitale governato da algoritmi e piattaforme, non ce ne dispiacerà.

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