Bentornato whiskey (irlandese, “con la e”), ci sei mancato | Rolling Stone Italia
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Bentornato whiskey (irlandese, “con la e”), ci sei mancato

Si scrive con quella vocale in più, è più antico del cugino scozzese, e sta vivendo una rinascita guidata da nuove distillerie agricole. Tutto sull'Irish Whiskey, lo spirit più dinamico e divertente in circolazione

Waterford Whiskey

Foto: press

Ci sono feste alimentari autarchiche, come il panettone natalizio e la colomba pasquale. Poi ci sono quelle d’importazione, provenienti da altri paesi del mondo, come il Capodanno cinese o il sempre criticatissimo Halloween, colpevole nell’immaginario generale di aver cariato i denti a una generazione (nello specifico, quella di chi scrive), abituata a mangiare ben più salubre carbone di zucchero nero per l’italica Befana. Chi, invece, è nato Millennial (no, non chi scrive) ha saggiamente preferito al dolce l’amaro del luppolo, sacrificando un po’ di fegato pur di salvarsi i denti. Il passaggio intermedio perfetto tra i due sapori è stata l’adolescenza alcolica della birra Guinness, consumata in sabati sera di provincia nel locale-emblema degli anni Dieci, l’Irish Pub.

La sacra triade delle insegne d’Italia, d’altronde, parla chiaro: kebab, rosticceria cinese, Irish Pub, tutti membri di quella prima ondata di ristorazione etnica su larga scala che spianò la strada alle catene di sushi o di cucina bavarese. A differenza delle prime due, però, l’Irish Pub aveva dietro imprenditori italiani e multinazionali solide come quelle della birra, ben contente di creare iniziative pubblicitarie per attrarre un pubblico di bevitori sempre più vasto.

irish whiskey

Tra queste, una su tutte si è consolidata nell’immaginario generale: 17 marzo, St. Patrick’s Day, festa del patrono d’Irlanda, che nel nostro paese (anche per la presenza di molti statunitensi nel nostro paese, ma su questa connessione torneremo tra poco) ha trovato grande successo e diffusione, diventando occasione socialmente accettata per eccedere con le pinte e vestirsi di verde. Oggi, però, festa di San Patrizio 2024, non siamo qui per parlare di birra, bensì di…

Quello con la “E”
L’associazione tra Irlanda e birra è indiscutibile. Un altro tesoro irlandese, però, le sta rubando la scena, protagonista di una rinascita che comincia da una lettera dell’alfabeto: “E”. Parliamo infatti del whiskey e non di whisky, il motivo è molto semplice e riguarda la diversa traslitterazione rispetto al celeberrimo cugino-rivale scozzese che, invece, non vuole la vocale suppletiva.

Lettera a cui bisogna prestare attenzione: il whiskey è a tutti gli effetti originario dell’Irlanda, e per secoli lo stato insulare è stato il più grande mercato di alcolici nel Regno Unito, con Dublino che vantava le cinque distillerie più grandi del Paese fino al 1823.

Come ci racconta Claudio Riva, fondatore di Whisky Club Italia e organizzatore delle Whisky Week: «La distillazione del whisky è nata in Irlanda, oltre un secolo prima che in Scozia. La modernità, che ha portato alla produzione di un distillato sempre più industriale, è stata però disprezzata dagli irlandesi, che hanno pagato duramente la loro scelta. Da dominatore sui mercati globali a fine 1800, l’Irish Whiskey ha perso velocemente quote, sino ad arrivare alla quasi scomparsa negli anni Settanta».

irish whiskey

Foto: press

Un successo che inizia a declinare all’inizio del XX secolo, anche a causa della Guerra d’Indipendenza irlandese e della guerra civile, unite al proibizionismo negli Stati Uniti. Questi fattori hanno causato una flessione nel mercato, permettendo alla Scozia di superare l’Irlanda in termini produttivi. Negli anni Sessanta, molte distillerie chiudono i battenti. Qualcosa torna a smuoversi nel decennio seguente, quando le ultime tre distillerie decidono di coalizzarsi. Nel 1972 nasce il gruppo degli Irish Distillers, e arriva l’intuizione: i loro prodotti possono conquistare soprattutto l’altro lato dell’Oceano, dove i discendenti dell’Isola di Smeraldo sono talmente tanti e talmente legati a questa appartenenza da far sì che negli USA il distillato sia tutt’oggi scritto esattamente come a Dublino, ovvero “con la e”.

Tuttavia, è solo negli ultimi anni che l’Irlanda ha riconquistato il suo status di terra di distillazione, con una proliferazione di microdistillerie. Ancora Claudio Riva: «Oggi il numero di produttori di Irish Whiskey è prossimo alle 60 unità, con una miriade di nuovi distillatori artigianali che stanno interpretando l’arte della distillazione con coraggio e fantasia. Le previsioni dipingono un futuro roseo: nel principale mercato di consumo di whisky, quello statunitense, è previsto entro il 2030 lo storico sorpasso sullo Scotch».

I nuovi Irish Whiskey
Se dovessimo individuare la scintilla che ha dato il via alla rinascita del whiskey irlandese, troveremmo sicuramente Teeling. Una famiglia con una lunga tradizione nella distillazione, costretta a chiudere nel 1782 a causa della crisi economica. Tuttavia, il marchio è tornato alla ribalta con la nuova distilleria nel Golden Triangle di Dublino (storico epicentro delle attività di distillazione della capitale irlandese), fondata nel 2015. Teeling ha abbracciato l’innovazione, sperimentando con invecchiamenti diversi, come dimostrato dai loro eccellenti Teeling Single Grain e Teeling Single Malt. La fama della distilleria è cresciuta ulteriormente quando il Vintage Reserve 24 Yo Single Malt è stato nominato il miglior Single Malt al mondo ai World Whiskies Awards 2019, superando persino i temibili scozzesi. Una curiosità italiana si annida in questa storia di successo, poiché i nuovi alambicchi di Teeling provengono da Frilli, un’azienda storica di Monteriggioni.

 

 
 
 
 
 
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Da questo caso di successo in poi le distillerie hanno cominciato a moltiplicarsi, tanto in città quanto nelle campagne, dove comincia a prendere piede anche un’altra tipologia di aziende, chiamate “farm distillery”, che provano cioè a integrare anche i passaggi agricoli della produzione, abbandonando il binomio tra conferitori di materia prima e distillatori per selezionare il miglior cereale per il miglior prodotto.

In tal senso è interessante citare la Renegade Spirits: aperta nel 2014 e guidata da Mark Reynier, Renegade ha trasformato un sito dedicato alla produzione della birra Guinness nella rinomata Waterford Distillery. Qui, la produzione di whiskey è iniziata nel 2015, distinguendosi per l’attenzione maniacale per l’orzo ottenuto da 86 fattorie e coltivato su 19 tipi di terreno differenti. Ogni lotto di cereali è lavorato secondo un preciso calendario, e ogni passaggio è tracciato e tracciabile attraverso i codici presenti sulla singola bottiglia, rendendo così ripercorribile l’origine di ogni goccia di liquido.

Sulla stessa direzione si sta muovendo anche la Tipperary Boutique Distillery Limited, fondata nel 2014 da Jennifer Nickerson, Stuart Nickerson e Liam Ahearn. Tipperary si è dedicata alla produzione indipendente di whiskey irlandese single malt utilizzando orzo coltivato in loco, e grazie alle diverse competenze dei tre soci riesce a creare uno scambio proficuo tra distillazione e coltivazione, necessario per integrare i vari passaggi della filiera.

 

 
 
 
 
 
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Che cosa distingue oggi i Whiskey irlandesi?
Non solo i produttori, però, oggi anche gli esperti stanno lentamente virando verso l’Irlanda. Ne abbiamo parlato con Daniele Cancellara, bar manager del cocktail bar Rasputin di Firenze. Cancellara è anche divulgatore del mondo del whisky (con la e o senza), vedasi la serie di video documentari Whisky For Breakfast, girati spesso proprio in giro per le distillerie del mondo, dalla Scozia all’Irlanda, dal Giappone alla Francia (sì, avete letto bene, ma questa è un’altra storia). Per lui, tra le ragioni di questo successo sia anche dovuto alla versatilità in miscelazione di questi nuovi prodotti, oltre all’approccio meno dogmatico che porta a sperimentare di più sulle botti d’invecchiamento.

Daniele Cancellara

Courtesy of Daniele Cancellara

«Sicuramente questa rinascita, anzi questa New Wave, come mi piace chiamarla, dell’Irish Whiskey sta portando a un nuovo scenario. Innanzitutto, la ricerca su tutte le vecchie ricette precedenti alla Guerra Civile, che ha portato all’utilizzo di diverse varietà di cereali (e non solo orzo e mais), ma anche all’utilizzo di botti diverse da quelle utilizzate negli ultimi anni. Infatti, l’Irlanda era un passaggio commerciale molto più forte della Scozia, e a fine XIX secolo circolavano tantissime botti diverse. Avremo quindi una varietà di Whiskey molto diversi da poter utilizzare anche in miscelazione». E, certo, parlando di whiskey e mixology non si può non citare quelcocktail: «Pensiamo all’Irish Whiskey: nei suoi momenti d’oro (e anche tutt’oggi) ha come primo mercato gli Stati Uniti, patria della miscelazione, dove ancora cocktail come questo hanno grande diffusione e diventano l’icona di cocktail bar molto importanti».

Daniele Cancellara

Courtesy of Daniele Cancellara

Insomma, tra ritorno alla terra, giovani imprenditori, invecchiamenti insoliti e miscelazione, l’Irish Whiskey oggi è dinamico e divertente, lontano dall’essere seduto nei salotti, ma pronto per essere capito e raccontato alle nuove generazioni di appassionati, che ancora magari si fanno intimorire dal blasone dello Scotch. E non è proprio questa leggerezza lo spirito stesso di San Patrizio? Noi crediamo di sì, ma la risposta la saprete soltanto voi, quando questa sera vi siederete al bancone del vostro pub o cocktail bar di fiducia e chiederete un whiskey per festeggiare. Rigorosamente con la e, grazie.