Nick Cave ricorda il figlio Arthur: «Il dolore resta, ma cambia col tempo» | Rolling Stone Italia
2015-2025

Nick Cave ricorda il figlio Arthur: «Il dolore resta, ma cambia col tempo»

A 10 anni dalla morte del ragazzo, il musicista spiega che «man mano che impariamo ad arrenderci ad esso, il lutto non sembra più un’offesa personale, ma una qualità poetica dell’esistenza»

Nick Cave ricorda il figlio Arthur: «Il dolore resta, ma cambia col tempo»

Nick Cave

Foto: Roma Summer Fest

Sono passati poco più di dieci anni dalla morte di Arthur, il figlio di Nick Cave e della moglie Susie Bick precipitato il 14 luglio 2015 da una scogliera vicino a Brighton. Il musicista è tornato a parlarne nei suoi Red Hand Files, sollecitato dalle due domande di due fan, un brasiliano e una australiana.

«Il dolore resta, ma ho scoperto che col tempo cambia», scrive Cave. «Il lutto si sviluppa e man mano che si impara ad arrendersi ad esso lo si vive sempre meno come un’offesa personale o un tradimento cosmico e sempre più come una qualità poetica dell’esistenza. Di fronte all’intollerabile ingiustizia della morte, scopriamo che ciò che sembra insopportabile finisce per rivelarsi in fondo non così insopportabile. Il dolore si fa più ricco, profondo, pieno di sfumature. Assume una dimensione più interessante, creativa, persino affascinante».

Con sua grande sorpresa, continua il musicista, ha scoperto di essere parte di una storia umana comune. «Ho iniziato a riconoscere l’immenso valore e il potenziale della nostra umanità, pur riconoscendo, nel profondo, il nostro stato tanto fragile quanto spaventoso. Ho imparato che moriamo tutti. Ho capito che, sebbene ognuno di noi sia speciale e unico, il nostro dolore e il nostra sentirci spezzati non lo sono. Col tempo, Susie e io siamo arrivati a capire che il mondo non è indifferente o crudele, ma prezioso e pieno d’amore – anzi, incantevole – e tende sempre verso il bene».

«Ho scoperto che il trauma iniziale della morte di Arthur era il cifrario attraverso cui Dio parlava, e che Dio ha a che fare meno con la fede o con il credere e più con un modo di vedere il mondo. Ho compreso che Dio è una forma di percezione, un modo per restare vigili e cogliere la poesia dell’esistenza. Ho trovato Dio in ogni cosa, persino nei mali più grandi e nella nostra disperazione più profonda. A volte sento il mondo pulsare di un’energia ricca e poetica, altre volte lo percepisco piatto, vuoto e malevolo. Ho capito che Dio è presente in entrambe le esperienze».

Oggi, continua Cave, non è né diffidente, né sospettoso verso il mondo, non è disperato, depresso e nemmeno amareggiato. È invece convinto che il dolore straziante sia «la risposta più proporzionata allo stato del mondo – dire ti amo significa dire il mio cuore si spezza per te, e questo sentimento risuona in ogni cosa. Il dolore diventa un modo di vivere, in parte risate e in parte lacrime, con pochissima separazione tra le due cose. È un modo di stare al mondo, di amarlo, di venerarlo».

Cave spiega che quasi ogni settimana Arthur appare in sogno a Susie. «Ha sempre la stessa età, circa 10 anni. Non succede granché: stanno insieme. A volte gli allaccia le scarpe. A volte gli pettina i capelli. A volte lui le si rannicchia in grembo e le avvolge le braccia attorno al collo. Di recenta ha fatto un sogno in cui Arthur aveva un naso a forma di bottone e premendolo si accendeva una piccola luce blu. In questi sogni non ci sono disperazione, né rimpianto. Sono invece pura e semplice gioia».

In definitiva, per rispondere a una domanda posta da un fan, Cave spiega che «non so cos’altro abbia imparato, se non che siamo ancora qui, dieci anni dopo, a vivere nel cuore radioso del trauma, il luogo dove convergono tutti i pensieri e i sogni, e dove risiedono tutta la speranza e tutto il dolore, l’occhio luminoso e lacrimoso della tempesta: questo ragazzo vorticoso che è Dio, come ogni altra cosa. Lo ricordiamo oggi».

Altre notizie su:  Nick Cave