La loro storia inizia sei, sette anni fa: quando allestiscono un bar gestito da cinesi alla base di un grattacielo in una città di provincia. Non si può sbagliare, in quella in questione ce n’è solo uno. Sta sopra uno degli incroci che spezzano la circonvallazione e delimitano il centro storico. Ci sono passata davanti tutta la mia vita, almeno per diciotto anni. Il posto si chiama Reggio Emilia, si è più o meno dimenticata della sua tradizione culturale, e pure chi gira senza pistole in Virginia, USA, ha paura a scendere alla stazione centrale.
La mia storia con loro inizia più di recente: 2024, Silvia Calderoni e Ilenia Caleo terranno uno dei loro spettacoli, The Present Is Not Enough, proprio a Reggio Emilia. Mi sembra strano, ma ci voglio credere. Ve ne ho già raccontato, riassunto delle puntate precedenti per chi si fosse perso: mi trovo ad assistere alla performance in un capannone dismesso proprio a fianco della famigerata stazione. Il progetto per lo spazio, tra l’occupazione, il takeover e il recupero, mi sembra brillante. Non mi entusiasmavo da parecchio, per qualcosa che capitava dove tutto il mondo, almeno il mio, è cominciato.
Loro si chiamano Acid Tank. Sono un collettivo, sono tre (cioè, recentemente in sei, con nuove leve), sono uno. Sono tipi ok che hanno allestito un bar di cinesi ai piedi di un grattacielo per una goliardata, facciamo un rave qui, o qualcosa di simile. Hanno capito che la cosa poteva funzionare.
L’ultima volta che ho visto i ragazzi, al completo, è stato il 25 aprile. Io di ritorno da un matrimonio, loro in preparazione per lo show della loro stagione. Ci becchiamo in un cortile davanti a un capannone nella zona industriale dall’altro lato della stazione. È l’area delle ex Reggiane, mastodontico complesso industriale bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale e ancora sospeso in un limbo tra lo squatting vero, l’amianto e nuovi “progetti innovativi” che vorrebbero trasformare quei molti metri quadri in un polo tecnologico. Sediamo su quattro sedie sgangherate di fronte alla porta di quello che, per chi è di qua, è un monumento sacro: l’ex Maffia.
Io e il Maffia nasciamo nello stesso anno, 1995. Era uno discoteca ma di spirito non commerciale. In una terra di rock e chitarre, si creò un luogo per sperimentare con suoni e tendenze rave e underground, che venivano dalle altre parti d’Europa – ça va sans dire, la sperimentazione si allargò anche agli altri aspetti di quella stessa cultura. Nulla di straordinario, dicono a distanza di anni quelli che lo gestivano, solo capire il pubblico, la richiesta, essere sul pezzo. Facendo sempre le cose a modo proprio. Il Maffia chiuse, non feci mai in tempo ad andarci. Ci entro oggi e ci trovo il buio, un sound system, e un risma d’argento che brilla e ruota sotto un cono di luce. Fuori, sulle mura del cortile, l’installazione-ricerca dell’attivista Sara Leghissa, cartelloni estrapolati dal volume La Scuola Ha Riaperto Come Dopo Una Nevicata uscito per Nero Editions, risultato di consultazioni con gli studenti che hanno visto coincidere il periodo della propria formazione scolastica con la pandemia di Covid-19.
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C’è anche un van camperizzato con una cassa sul retro, portiere aperte. Domani la festa sarà qui, davanti al Maffia, fuori dal club, davanti all’installazione. Dentro ci si potrà isolare, riposare, naturalmente usare i servizi igienici.
I ragazzi sono emozionati di essere qui, di poter interagire con questo luogo e trattarlo un po’ come vogliono loro, ma nel rispetto di ciò che è stato e ciò che è. Loro sono Evgheni Altovski, Riccardo Caspani e Francesco Calzolari, ecco il cuore di Acid Tank. E in realtà, con gli occhi forse anche ingenui di quella che se n’è andata dalla provincia per studiare, senza più rimetterci piede, mi sembra di viverla finalmente in prima persona, la storia del Maffia o meglio di un nuovo Maffia. In una forma contemporanea, consapevole, vergine.
«Acid Tank crede in e abbracci ail gusto contemporaneo del pubblico, che è guidato soprattutto dalla ricerca di luoghi insoliti e proposte culturali inaspettate dal taglio sperimentale. In una notte fu chiaro che si poteva giocare e sperimentare facendo scontrare le aspettative del pubblico con i sentimenti degli artisti, e che si potevano evocare gli stati più elevati con la luce e con il suono ben curati. Viviamo in provincia ma abbiamo tutti viaggiato e siamo influenzati dai vari trend, eppure riusciamo a stare abbastanza bradi senza inseguire per forza la hipness o la coolness. Vorremmo che la provincia fosse un po’ più felice e orgogliosa di essere provincia. In generale non crediamo in una provincia con la sindrome dell’impostore».
Questo mi dicono Evgheni, Riccardo e Francesco. I compiti sono ripartiti, in questo organismo, ed è anche una questione di attitudini e ossessioni personali. Evgheni alla curatela e comunicazione, Riccardo ai suoni, alla progettazione culturale, al booking. Mentre Francesco si occupa del light design e della produzione degli eventi. «Ci lasciamo reciprocamente liberi di proporre progetti che ci piacciono e che crediamo possano funzionare. Anche perché Acid Tank nasce anche da questo: fare le cose in maniera differente. Usare il massimo della tecnica, usare cura, creare situazioni che funzionerebbero in qualsiasi grande città senza la presunzione della grande città. Non è vero che in provincia non c’è pubblico: il pubblico c’è, ne siamo la dimostrazione. Però quando l’offerta è scarsa, ci si comincia a pestare i piedi e tutto diventa una spirale negativa».
Magazzini e fabbriche abbandonate, studi privati, cortili interni chiusi tutto l’anno, club semi-illegali e fuori dai radar della notte, chiese sconsacrate: questi alcuni esempi di luoghi da Acid Tank, ma soprattutto di luoghi che sono già stati usati come palcoscenico da Acid Tank. Dopo lo spettacolo di Calderoni, ho incontrato di nuovo i ragazzi per lo spettacolo di danza Solus Break di Tom Grand Mourcel e della compagnia francese Dikie Istorii. Una location mai testata prima, per una sola notte, e poi un aftershow curati dai (bravi) Micro Club in un’altra storica discoteca di Reggio, il Tunnel.
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Nel 2025, Acid Tank ha invece sperimentato la serie Vite Contemplative, con cui si sono sfidati a organizzare diversi eventi in diversi punti della città, allo stesso momento. La serie è ancora attiva, terminerà a novembre, c’è spazio per esplorare. «Una rassegna che si struttura come una serie di percorsi esperienziali. Ci prenderemo la libertà di rallentare il tempo. Fermarci a riflettere. Formare sguardi trasversali e dissidere». Clubbing, teatro, performance, agenzie di viaggio, rave, sleeping concert, contenuti in un solo cartellone. Che ha visto finora la partecipazione di Claudia Castellucci, Demetrio Castellucci e Thyself Agency, solo per fare qualche esempio.
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Proprio l’ospitata di Claudia Castellucci è stata un altro ottimo esempio della cura che Acid Tank mette nei luoghi e, in un certo senso, nella performance di essi. Fondatrice insieme al fratello Romeo e a Chiara Guidi della Societas Raffaello Sanzio, Castellucci ha portato a Reggio Emilia la sua opera Murillo, Lezioni di elemosina. Una pièce per 20 persone alla volta, eseguita più volte nell’arco della giornata, per due giorni. Lo studio avviene tramite la luce, statica e che quasi falcia il buio di, in questo caso, una chiesa sconsacrata del centro storico, e il movimento imprevedibile e mostruoso di una figura abbigliata con mantello e cappello, tra l’umano e il vegetale. Le sue mosse sono immaginate a partire dalla serie di studi che il pittore spagnolo Bartolomé Esteban Murillo, vissuto nel Seicento, dedicò ai poveri e mendicanti del Regno. Inutile dire che il paragone con il tempo presente non risulta affatto forzato.
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Per allestire questo tipo di performance, Acid Tank vi lavora «con sei mesi di anticipo, poiché si sceglie lo spazio con l’artista e si fanno i sopralluoghi tecnici. Cerchiamo di avere a disposizione la location una settimana prima per avere la possibilità di mettere in pratica questo scambio attivo tra il gruppo e il luogo che ci porta a trovare delle soluzioni interessanti e sempre molto a tema. E poi cerchiamo di avere gli artisti con noi per più giorni, anche questo come pratica di scambio attivo». Il pubblico con cui lavorano si attesta solitamente tra le 50 e le 200 persone. Da qui arriviamo a ragionare che «più o meno involontariamente le proposte che selezioniamo sono proposte che per la loro particolarità non hanno avuto modo di aver molte repliche, questo dice anche molto della scena contemporanea, nella quale artisti e compagnie hanno bisogno di situazioni su misura che spesso non trovano».
Acid Tank non occupa l’intera giornata di Evgheni, Riccardo e Francesco. Il collettivo fa parte di quella ahinoi ben diffusa, almeno in Italia, rete di cultura tra il formale e l’amatoriale. Di fatto i ragazzi costituiscono una “compagnia” o motore di organizzazione stabile. Di fatto producono eventi di professione, anche perché la sostenibilità economica è per loro fondamentale. Allora entra il discorso dei fondi allo spettacolo e alla cultura, del giusto prezzo e del prezzo democratico, dell’apertura o meno degli spazi da parte delle istituzioni pubbliche ma anche dei privati. Non è un mare facile, anzi spesso è scoraggiante. Che devono fare? Loro continuano (offrendo tariffa di partecipazione agli eventi al 50% per gli Under25). Che altro potrebbero fare?
Visto da fuori, e pure da dentro, il programma di questi tre sembra già mastodontico così. Viene a dire vita lunga e buona fortuna, pure se è scontato, pure se è l’unica cosa da augurarsi. La provincia fatta così mi gusta un po’ di più. Spero che continui ad apparirmi sempre più bella.








