Quando si dice Black Sabbath, si pensa subito a Ozzy Osbourne, il Principe delle tenebre, il volto grottesco e magnetico della band agli esordi e non solo. Ma la storia dei Black Sabbath è molto più complessa, frammentata e affascinante di quanto si pensi. Tra cambi di formazione, crisi interne e rinascite inaspettate, la band ha avuto diversi frontmen che, ognuno con il proprio stile, hanno dato un contributo al gruppo che ha fondato l’heavy metal.
Da Ronnie James Dio a Ian Gillan, da Tony Martin fino alle parentesi più curiose e spesso dimenticate con Glenn Hughes e Ray Gillen, il microfono dei Sabbath è passato di mano più volte di quanto si ricordi di solito. Senza trattare chi è stato solo preso in considerazione, come David Coverdale, Doogie White o Michael Bolton (sì, proprio lui), ecco tutti i cantanti che hanno ridefinito – nel bene o nel male – il suono e l’identità di uno dei gruppi più influenti della storia del rock.
Ozzy Osbourne
Ozzy, va da sé, sarà sempre ricordato come la voce dei Black Sabbath. Li ha fondati, ne ha plasmato l’immaginario e, pur non essendo né il principale autore dei testi (che era Geezer Butler), né l’elemento musicale cardine (vedere alla voce Tony Iommi), ha imposto il suo cantato unico e spettrale, senza eguali né alla fine degli anni ’60, né mai. Il primo decennio dei Black Sabbath, quello in cui cambiano completamente le regole del gioco, quello in cui danno vita all’heavy metal tutto, resta una delle pagine più incredibili della musica popolare. Ozzy, con la sua follia talvolta incontrollabile, né è l’emblema assoluto. Tra uscite drammatiche e ritorni infiniti, una storia conclusasi prima col concerto di Birmingham e poi con la morte di Osbourne.
Dave Walker
Il destino del cantante britannico Dave Walker è riempire vuoti temporanei o comunque durare pochissimo all’interno delle band, spesso superband. Walker passa senza soluzione di continuità da gruppi storici come Fleetwood Mac, Humble Pie, Savoy Brown, ma sempre per lassi di tempo assai brevi. Quando Ozzy lascia i Sabbath nel 1977, Iommi pensa di chiamarlo al suo posto. L’avventura dura pochissime settimane, prima del ritorno di Ozzy. La nuova line-up si esibisce solo una volta allo show televisivo Look! Hear! per eseguire War Pigs e un nuovo brano, Junior’s Eyes.
Ronnie James Dio
Insieme a Ozzy, l’ex Elf e Rainbow resta il cantante più immediatamente riconducibile ai Sabbath. Non per la quantità di dischi in cui ha cantato (Tony Martin è il secondo per numero di album pubblicati), ma per l’importanza storica dei lavori registrati e, soprattutto, perché quando la band caccia Osbourne, nessuno punterebbe una sterlina sul futuro del gruppo. Invece, come spesso accade nei momenti di maggior difficoltà, ecco il miracolo: Heaven and Hell non solo non sfigura a confronto coi classici, ma per molti è addirittura tra i dischi migliori della band. Problemi di ego portano alla separazione dopo The Mob Rules, durante il missaggio di Live Evil, ma i ritorni di Ronnie James Dio saranno due: prima per Dehumanizer nel 1992 e poi con The Devil You Know che esce come Heaven and Hell per problemi di diritti legati al nome originale.
Ian Gillan
Uno degli esperimenti più assurdi e visionari della storia del rock, non a caso nato dopo una serata a tasso alcolemico elevatissimo. Uscito Dio, Iommi si gioca la carta dell’ex voce dei Deep Purple, dando vita a un Frankenstein che i fan accolgono come un abominio. Appellati da subito Deep Sabbath, i quattro si mettono al lavoro al disco più controverso, malvagio, ma anche rivalutato della loro carriera. Born Again in effetti è splendido, penalizzato da una copertina discutibile e da un tour che diventerà uno degli spunti maggiori per This Is Spinal Tap. Soprattutto, è inconciliabile la cultura di provenienza di Gillan e del resto della band, col primo che si rifiuta di vestirsi completamente di pelle nera e che impone di suonare Smoke On the Water tutte le sere, dimenticando peraltro molti dei testi classici dei Sabbath. L’avventura si conclude l’anno dopo con la reunion del Mark II dei Deep Purple. Peccato.
Ron Keel
Ron Keel racconta che il suo tempo con Tony Iommi e Geezer Butler è stato molto breve: appena tre giorni trascorsi a Los Angeles, in cui si conoscono meglio e iniziano a fare dei piani insieme. Con Gillan tornato nei Deep Purple, i tre si trovano subito d’accordo su un punto fondamentale: non permetteranno al produttore Spencer Proffer di trasformare i Black Sabbath in una band commerciale da classifica, in stile hair metal anni ’80. Proffer sta infatti cercando di spingere il gruppo verso un suono più radiofonico, snaturando secondo loro l’identità dei Sabbath. La voce di Ron sui demo convince gli altri a offrirgli il posto e a dargli ufficialmente il benvenuto nella band. Geezer e Iommi sperano anche di recuperare Bill Ward, ma i tempi si allungano a causa dei problemi di salute del batterista. Alla fine, una fuga di notizie manda tutto all’aria e Keel avrà un breve ed effimero successo con la band a suo nome e si troverà a cantare brani dei Black Sabbath col nome Emerald Sabbath.
Jeff Fenholt
Jeffrey Craig Fenholt è noto soprattutto per la partecipazione a una delle versioni teatrali di maggior successo di Jesus Christ Superstar e per essere stato il toy boy della moglie di Salvador Dalí, Gala. Nel 1985 Iommi pensa a lui come voce per quello che nella sua testa dovrebbe diventare il primo album solista della sua carriera. Da allora, il ruolo di Fenholt nella storia dei Black Sabbath è controverso. Iommi sostiene che Fenholt si è limitato a fare un provino per il ruolo di cantante, mentre Jeff ha sempre affermato di essere stato nella band per circa sette mesi, di aver lavorato all’album Seventh Star e di non essere stato accreditato pur essendo co-autore di alcuni brani, incluso No Stranger to Love. E in effetti, quei pezzi esistono e sono chiaramente finiti in rete. Una delle tante sliding doors di una storia piena di misteri. Fenholt è morto nel 2019, senza che gli sia stato riconosciuto alcunché.
Glenn Hughes
Anche Glenn Hughes, come Ian Gillan, ha militato nei Deep Purple ed è considerato uno dei cantanti più potenti di sempre. Peraltro, Hughes è di Cannock, piena Black Country come i Sabbath, il che aggiunge quel po’ di poesia e di coerenza che non guastano mai. Eppure, i vizi del cantante/bassista fanno sembrare Ozzy un’educanda: alla metà degli anni ’80 Glenn è così fuori che nessuno lo vuole più vedere nemmeno in foto. Iommi però sogna ancora di esordire in solitaria e, dopo essergli andata male con Jeff Fenholt, pensa di dividere i brani tra Rob Halford, Ronnie Dio e, appunto, Hughes. Le cose non vanno bene: la casa discografica si oppone a un disco solista di Iommi, perché di minore appeal commerciale, e Hughes finisce per diventare l’unica voce. Seventh Star (a nome Black Sabbath featuring Tony Iommi) delude un po’ tutti. I due si rifaranno negli anni 2000 con gli splendidi DEP Sessions e Fused.
Ray Gillen
Durante il tour di supporto a Seventh Star Glenn Hughes, dopo un paio di bicchieri di troppo, arriva alla mani col manager John Downing e ha la peggio. Rischia di perdere un occhio e si danneggia le corde vocali. Per portare a termine il tour, Tony Iommi sceglie come sostituto Ray Gillen, dotatissimo cantante americano semisconosciuto. Gillen rimane con il gruppo per l’incisione del disco successivo, The Eternal Idol, ma poco prima della pubblicazione Ray e il batterista Eric Singer vengono licenziati per problemi finanziari, lasciando l’incisione del disco incompleta. Anni dopo, i demo prodotti dalla band vengono finalmente resi pubblici in forma ufficiale, all’interno di una ristampa di The Eternal Idol. Le tracce confermarono che Iommi ci aveva visto ancora una volta giusto, tanto che per molti fan quelle rimangono ancora oggi le migliori di un album comunque molto amato in tutte le sue formazioni. Gillen non ha fatto in tempo ad essere riconosciuto come il grande cantante che era e per il lavoro fatto coi Sabbath: è morto di Aids nel 1993.
Tony Martin
Possiamo dire senza paura di essere smentiti che Tony Martin è il cantante che ha permesso ai Black Sabbath di sopravvivere ai travagliati primi anni ’80 e, forse persino di arrivare ai giorni nostri. Quando l’ennesimo tentativo di rianimare il gruppo con l’inserimento di Ray Gillen fallisce, Iommi non si dà per vinto e scova questo talentuoso quanto sconosciuto cantante che ricanta alla perfezione tutti i brani di The Eternal Idol incisi dal predecessore. Anche Martin viene da Birmingham, quindi la matrice originale è salva. Per alcuni troppo simile a Dio, Martin si dimostra subito affidabile e senza i problemi di ego e abusi di sostanze che avevano caratterizzato molti degli ultimi entrati. Inoltre, nei successivi album Headless Cross e Tyr dimostra di cavarsela bene anche come autore. Il controverso Forbidden fa calare le vendite e lui ne fa le spese, col ritorno salvifico di Ronnie James Dio. Quando però le cose si mettono di nuovo male, Martin non si fa problemi a tornare per il buon Cross Purpose, che comunque segna la fine della sua lunga (seconda solo a Ozzy) permanenza come frontman della band.
Rob Halford
Dopo aver “rischiato” di essere uno dei cantanti presenti nel primo disco a nome Tony Iommi, Rob Halford continua con successo la sua carriera nei Judas Priest. Per un ragazzo di Birmingham come lui, i Sabbath sono una vera e propria religione e non passano giorni senza cui Rob parli di loro come dell’inizio di tutto. Quando, nel 1992, Ronnie James Dio abbandona di nuovo la barca, rifiutandosi di aprire un concerto per Ozzy, Iommi recupera il numero del vecchio amico e lo invita a chiudere il tour insieme a loro. Per Halford è la realizzazione di un sogno e i concerti lasciano persino i vecchi fan a bocca aperta. Halford può cantare brani di ogni era, persino quelli di Gillan, che però i Sabbath hanno cancellato dalle scalette un istante dopo la rottura con Ian. In rotta con i Judas, Halford sembra il nome perfetto per portare avanti degnamente il gruppo, ma la cosa non si concretizza. Nel 2004, complice un malanno di Ozzy, il sogno si avvera nuovamente per una delle date dell’Ozzfest.












