Il sahti non è una birra: è una bevanda alcolica fermentata finlandese, a volte indicata come birra ancestrale. Una bevuta scura e tanto aromatica che si situa sulla linea del fastidio, per i palati non avvezzi. Non ha luppolo, e anzi, se lo contenesse sarebbe considerato un’onta da parte dei puristi. I quali, a quanto racconta 100 litri di birra, il nuovo film di Teemu Nikki da oggi al cinema in Italia con I Wonder Pictures, paiono essere tutti i finlandesi, o almeno quelli che sono nati in o hanno frequentato le zone di Kanta-Häme, Päijat-Häme e Pohjois-Satakunta.
Come dice il titolo, è questa “anti-birra” la vera protagonista del film, il che equivale a dire: la causa di tutti i problemi. Badate che non si tratta di un documentario, ma del conosciuto stratagemma a metà tra l’escamotage e il cinema-verità: perché quando ci si mette di mezzo il bere, si sa, sopraggiunge anche la verità (della storia, dei personaggi). E perché, se si tratta dei Paesi nordici e del Nord Europa in particolare, la presenza della bottiglia sulla pellicola è quasi un passaggio obbligato per ritrarre la stato delle cose in un modo che non appaia edulcorato, o assurdo.
Uno degli ultimi film ad averci ricordato questo double bind era stato, nel 2020, Un altro giro di Thomas Vinterberg, premiato agli Oscar del 2021 come miglior film internazionale. Il pattern, spesse volte, si ripresenta: una missione o un buon proposito viene ostacolato dalla passione smodata del personaggio principale per l’ubriachezza. Il che poi si traduce nella sua dipendenza dai fumi (e fiumi) etilici. È La leggenda del santo bevitore di Ermanno Olmi (adattato dall’omonimo racconto di Joseph Roth e vincitore alla 45esima Mostra del Cinema di Venezia): nessun intendere virtuoso, nemmeno uno legato alla religione, può superare la seduzione dell’ultima goccia.
Ma dicevo: il sahti non è una birra, si produce probabilmente da un paio di millenni, ed è una cosa serissima per i finlandesi. È una bevanda cerimoniale, da matrimonio o festa comandata. È anche un’arte, amministrata in larga parte dalle donne: loro lavorano tra i gas e gli odori, tra tinozze e kuurna, tradizionale contenitore di legno in cui filtrare la massa cotta dei cereali, in cui farli insaporire con aromi a scelta (il principale è il ginepro), e da cui parte il processo di fermentazione vero e proprio una volta aggiunto il lievito.
Il sahti è torbido, non è pastorizzato né filtrato. Si ottiene a partire da una cotta di segale, orzo, frumento o avena (in genere cereali al malto), che vengono sobbolliti a temperatura stabile e non particolarmente alta. Dopo essere stati scolati nel kuurna, viene aggiunta acqua gradualmente, sempre più calda, imbevuta dei sapori scelti. Si comincia dai 40°C e si arriva ai 100°C: in quel momento, il mosto è pronto. Le tempistiche dell’operazione non sono fisse, ma decise da ogni produttore. A seguito di questa “schiacciatura”, il tutto viene nuovamente filtrato, vi si aggiunge lievito di birra, e viene sistemato in contenitori come taniche di plastica per la fermentazione finale. Per bere il sahti sono necessari tendenzialmente tre giorni se fermentato a temperatura ambiente, qualcuno in più se avviene in ambienti refrigerati.
Se non si fosse capito: non è cosa da prendere alla leggera. Così almeno la pensano Taina (Pirjo Lonka) e Pirkko (Elina Knihlä), sorelle, figlie del campione locale di sahti e inguaribili bevitrici. Il loro obiettivo è doppio: superare il genitore e produrre un “sahti da dieci punti”; e riuscire a prepararne 100 litri in una settimana per il matrimonio di Päivi (Ria Kataja) con un importante artista di Helsinki. Non si può far sfigurare il paesino di Sysmä davanti alla capitale. E, ancora più, non si può negare il proprio supporto di fermentatrici a un membro della famiglia a cui si è compiuto un torto irreparabile… Ma tra il dire e il fare, c’è di mezzo il bere o il non bere. E il fatto che le due sorelle non riescano proprio a stare lontane dal sahti, dalla birra, e da qualsiasi alcolico scoperchierà un vaso di Pandora tenuto sigillato troppo a lungo, tra peripezie assurde e scene da Mezzogiorno (e mezzo) di fuoco.
100 litri di birra esce il 17 luglio, e ha tutta la fortuna e la sfortuna di essere immediatamente classificato come “commedia estiva”. Sfortuna, dalle nostre parti, perché i suoi temi profondi come le relazioni famigliari, le dipendenze, i rapporti identitari rischiano di venire sacrificati sull’altare di un villaggio turistico in una località esotica a vostra scelta: gli schermi italici preferiscono le bionde, cioè gli amori folli estivi con le bionde che non sono la moglie del protagonista, e giù tutti a ridere tra i cornuti e i mazziati. Oppure, come sola alternativa per questo periodo dell’anno, il filmone americano per famiglie&affini, che può molto emozionare ma nessun colpo ferire (io non ho detto Superman, voi avete detto Superman!).

Foto: Rami Rusinen
Dall’altro lato, però, il fatto che esca proprio nella stagione senza pensieri si accoppia bene non solo con la visione di Nikki – uno che ha passato la sua carriera da regista a lavorare sul grottesco che sdrammatizza la tragedia e a credere che la chiave dark sia l’unica per poter presentare in modo leggero dei temi-macigno –, ma gli sgancia pure un assist notevole per far recepire la sua opera esattamente nella chiave desiderata.
Perché poi lo sappiamo da Kaurismäki, giusto per rimanere nella zona geografica, che il serio e il faceto avvengono senza soluzione di continuità. Che un guizzo ironico può pure rafforzare un messaggio dal grande peso specifico; ché non è mica prendendo le cose di faccia che, spesso, si ottiene qualcosa. Meglio giocare di scarto, sulle fasce laterali. Affascinare il pubblico tanto quanto lo si vuole far morire un po’ dentro: anche questa è una summertime sadness, anche 100 litri di birra rientra nel corredo (se va ancora di moda) della sad girl summer.
«Il bere non è un tema nuovo nel cinema finlandese, ma io voglio raccontare questa storia a modo mio, attraverso gli stilemi della black comedy. Il film non parla di alcolismo, ma delle sue cause. Voglio che il pubblico possa immedesimarsi nei personaggi principali e sia spinto a riflettere, tra una risata e l’altra, sul motivo di questa ilarità». Così ha dichiarato Nikki in relazione al lungometraggio. Non sarà un giro di luna (né uno di sahti) a farci cambiare la rodata consuetudine dello “stacco tutto, ci rivediamo a settembre”. Però l’anima non va in vacanza, e magari ora vi è pure balenato lo sghiribizzo di farle proprio in Finlandia, le prossime ferie.
Che sia questo o quell’altro, pensiamoci. Perché, come dice Nikki, se la commedia che non fa sconti al reale può essere usata per prendere coscienza attiva di un problema sociale; il fatto che nelle nostre, passivissime, si tenda a turlupinare di norma l’adulterio, o le preferenze sessuali di ognuno, non fa ben sperare per l’italica visione del mondo. Ma questa, forse, è un’altra storia di cui sapevamo già tutto.








