Il dibattito si infiamma: peggio il completo bordeaux del photocall o l’ostinazione nel tenere gli occhiali da sole d’ordinanza (farglieli togliere? Mission: Impossible) sulla Montée des Marches? Difficile a dirsi, però il sorriso è sempre quello a 36 denti, l’autografo e il selfie non lo nega a nessuno, e a 62 anni compiuti, mentre nel mondo reale si tratta la buonuscita, Hollywood non ha nessuna intenzione di mandarlo in prepensionamento.
Chiamali scemi, quello è Tom Cruise. Uno che al Festival del cinema d’autore, tra il film in 4:3 e la coproduzione lussemburghese, ti porta il blockbuster e diventa in men che non si dica l’evento della kermesse; lo stesso che dello stunt a volte fa pure a meno e per il quale, come recitava il titolo di una vecchia pellicola, l’avventura è l’avventura: qualcosa in cui tuffarsi senza ripensamenti e rimorsi.
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Sulla Croisette, Cruise sbarca con l’ottovolante (che poi sia veramente l’ultimo giro in giostra è ancora tutto da vedere…) di Mission: Impossible, saga milionaria ad alto tasso di adrenalina. E l’ultimo capitolo, The Final Reckoning (in uscita il 22 maggio), si conferma, ancora una volta, un efficace mix di azione, spy story, ironia, hi-tech, corpo a corpo e gioco di squadra.
Che il meccanismo funzioni è cosa nota, ma la domanda dalle mille pistole piuttosto è un’altra: abbiamo ancora bisogno di Ethan Hunt? La risposta, evocata già dalle file di ragazzotti in smoking alle 8:30 del mattino per rubare una foto sul tappeto rosso, arriva appena dopo il prologo che più che da recap vale come omaggio-celebrazione del franchise: sulle prime note della musica (sì dài, quella: avete capito quale) dove scatta, spontaneo, l’applauso. Siamo solo all’inizio, ma è già fatta: la strada non potrà che essere in discesa.
Anche perché Cruise, fisico tonico e capelli lunghi (tra tanti morti ammazzati vuoi vedere che ha fatto fuori accidentalmente pure il barbiere?), ne combina più di Bertoldo. E per una volta trova un nemico alla sua (giuro, non è una battuta) altezza: l’anti-Dio, un’entità, una mente immateriale che minaccia l’Armageddon. In estrema sintesi: “Il mondo è in pericolo e tu sei l’unico che lo può salvare”.
Ci si diverte, ci siamo capiti. Anche perché il film di Christopher McQuarrie sembra essere a suo agio in qualsiasi dimensione: a terra, dove si disinnescano bombe come se si snocciolassero piselli, ma pure sott’acqua (nella lunga sequenza del sottomarino inabissato, però, se non Cruise almeno il regista avrebbe dovuto usare l’arma segreta: le forbici), e ovviamente in cielo, con spettacolari inseguimenti tra aeroplani vintage.

Tom Cruise e Christopher McQuarrie sul set di ‘Mission: Impossible – The Final Reckoning’. Foto: Skydance/Paramount Pictures
Tra colpi di scena e imprevisti a getto continuo, se ne vedono di ogni: ma il giocattolone da 400 milioni di dollari (così si dice) non rinuncia a flirtare con un presente complesso come il nostro, cavalcando lo spettro del nucleare tornato purtroppo d’attualità, ma anche richiamando echi di guerra fredda e, soprattutto, mettendo in guardia da una possibile, rapida e assai nefasta evoluzione dell’intelligenza artificiale.
Quindi finisce così? Tutti a casa? Chi lo sa: “Niente è già scritto”. Ma di certo non sarà facile trovare un cattivo che sappia reggere il confronto con il fenomeno Tom Cruise: a questo punto, non mi stupirebbe si facesse avanti direttamente Satana…

Tom Cruise (Ethan Hunt), Pom Klementieff (Paris), Greg Tarzan Davis (Degas), Simon Pegg (Benji Dunn) e Hayley Atwell (Grace) in ‘Mission: Impossible – The Final Reckoning’. Foto: Skydance/Paramount Pictures













