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È impossibile guardare <em>Ma Rainey’s Black Bottom</em> senza pensare che sia l’ultimo film di Chadwick Boseman. E, dopo la vittoria ai SAG, l’Oscar postumo pare ormai assicurato. Anche giustamente. Perché l’attore, scomparso per un tumore a soli 43 anni lo scorso agosto, fa un lavoro pazzesco sul ruolo del suonatore di corno alla corte di Viola Davis, uno degli uomini neri tormentati e tragicamente avvincenti che August Wilson, il drammaturgo-poeta dell’America black, ha portato in scena. Boseman rimarrà sempre Black Panther, ma questa performance on fire ci fa pensare a cos’altro avrebbe potuto fare.
Il primo Oscar lo aveva portato a casa nel 1992 per l’iconico Hannibal Lecter. Ma pare che il ruolo preferito di Hopkins sia proprio l’ultimo: quello di un patriarca malato che soffre di demenza senile e inizia ad avere una prospettiva inaffidabile su tutto ciò che lo circonda: «Non dovrei dirlo, so che suona davvero presuntuoso, ma è stato così facile da interpretare». Il regista trasforma il dramma da camera in un thriller tesissimo e surreale, e la performance dell'attore è insieme inquietante e commovente. Se questo non fosse l’anno di Boseman, la statuetta sarebbe già sua. Ma forse non ne ha nemmeno bisogno, perché Anthony è Dio.
La vera scoperta della stagione è lui. Lanciato dalla serie legal <em>The Night of…</em>, l’attore e rapper British di origine pakistana mette a segno la sua interpretazione più intensa e, paradossalmente, “anti Oscar”. Nei panni del batterista metal che perde l’udito, rifugge da qualsiasi pietismo pensato per conquistare l’Academy. E proprio per questo non risulta mai “finto”. Non vincerà, ma è giusto che tutti si siano finalmente accorti di lui. <br /><br /> Foto: Amazon Studios
Colonna portante dell’Hollywood movie by Fincher, Oldman fa dimenticare il fatto che il vero Herman J. Mankiewicz, lo sceneggiatore di <em>Quarto potere</em> protagonista del film, fosse molto più giovane di lui nella realtà. La performance e la classe da prim’attore non si discutono, ma Gary ha già vinto nei panni (e nel make-up) di Churchill. Qui forse ci piace di più, ma non farà il bis.
Nell’anno dell’hashtag #StopAsianHate, l’Academy ne sarebbe uscita a pezzi, se non avesse candidato volti asiatici. Ma se la nomination a Youn Yuh-jung, favorita tra le supporting, è più che meritata, quella a Yeun sembra un po’ forzata: il suo ritratto di padre coreano immigrato negli States anni ’80 è inappuntabile, però non è una delle performance dell’anno. Ma servirà a lanciare l’attore nello star system inclusivo futuro: e, in fondo, va bene così. <br /><br /> Foto: David Bornfriend/A24
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