Grazie al giornalismo italiano, anche oggi si parla di lui | Rolling Stone Italia
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Grazie al giornalismo italiano, anche oggi si parla di lui

Ormai è chiaro che il problema non è Salvini, sono i giornalisti che invece di fare il loro mestiere lo seguono ovunque per stendergli il tappeto rosso quando passa

Grazie al giornalismo italiano, anche oggi si parla di lui

Ieri sembrava essere successo un miracolo – e proprio perché sembrava un miracolo avevo scritto un breve pezzo che ne dava conto. Per una volta non si parlava di Salvini per qualche sparata o per qualche buffonata potenzialmente illegale che aveva fatto e che era stata immancabilmente amplificata da un sistema mediatico scriteriato, ma se ne parlava perché finalmente qualcuno aveva deciso di affrontare il personaggio per come andrebbe affrontato: facendogli domande puntuali e stando a godersi la sua incapacità di rispondere. Nello specifico era stata Elly Schlein a massacrarlo con una semplice domanda puntuale su come mai la Lega avesse disertato ben 22 riunioni della commissione UE incaricata di riformare le regole sull’immigrazione.  

Ma appunto, evidentemente era troppo bello per essere vero e infatti non è durata. Perché oggi stiamo di nuovo parlando di Salvini e ne stiamo di nuovo parlando come lui vuole che se ne parli – lasciando che sia lui a decidere il quando, il come e il perché e discutendo indignati della sua ultima sparata. 

I fatti: ieri sera Salvini – impegnato in campagna elettorale per le elezioni regionali in Emilia Romagna – ha fatto una scenetta che neanche in un film di Monicelli andando a citofonare a un privato cittadino a suo dire di origine tunisina residente in quartiere periferico di Bologna, accusandolo via citofono di essere uno spacciatore e dicendo che era lì “in qualità di cittadino” per chiedergli di smentire la voce che girava nel vicinato. 

Salvini citofona a casa di un tunisino: "Lei spaccia?"

“Ci hanno segnalato una cosa sgradevole e volevo che lei la smentisse. Ci hanno detto che da lei parte una parte dello spaccio della droga qua in quartiere”, ha detto Salvini al citofono, chiedendo che lo facessero entrare. Il tutto in diretta Facebook, accompagnato da un codazzo di sostenitori, curiosi e – e questo è il punto più grave – giornalisti che allungavano i microfoni per cogliere ogni battuta dello scambio e se la ridevano di gusto alle sue battute invece che far notare gli aspetti problematici della cosa

Ormai sono anni che commentiamo di giorno in giorno sparate di questo tipo, il solito ciclo di notizie in cui Salvini fa qualcosa di grave alzando sempre più l’asticella e facendo scattare le reazione pavloviana del commentariato di internet, per 24 ore si parla solo di quello, il suo faccione finisce sulle homepage di tutti i siti di news, e dopo altre 24 ore tutti si dimenticano del perché si sia parlato di lui mentre quello che rimane è che abbiamo parlato di lui – ancora. Contribuendo all’impressione generale che nella politica italiana ci sia solo Salvini, impressione che trasuda nei sondaggi in cui Salvini cresce, sondaggi che alimentano Salvini dal punto di vista elettorale. 

È un circolo vizioso noto e non ha senso parlarne ancora. Ciò di cui ha forse senso parlare è la responsabilità del sistema di informazione in tutto questo: non è più una questione di giornali che amplificano i messaggi di Salvini riportando qualsiasi video di propaganda posti sui social in nome del diritto di cronaca, come se fosse una notizia. In questo caso è qualcosa di più: una connivenza, un volontario tentativo di normalizzare i suoi messaggi per poter continuare a fare audience con l’indignazione morale che provocano cercando nel mentre di evitare l’accusa di stendere un tappeto rosso a quegli stessi messaggi.

Facciamo qualche esempio: Repubblica, che in teoria è considerato un quotidiano di sinistra, pubblica il video della sparata di oggi al citofono chiamandola “provocazione”. La Stampa (anche qui, non parliamo di un giornale associato alla Lega) titola: “L’ultima trovata di Salvini”. Solo che non è una trovata o una provocazione – è un possibile reato di violazione di domicilio, diffamazione, incitamento all’odio razziale. Altre testate come Corriere e Open non arrivano a tanto ma si mantengono su toni neutri, parlando di “iniziativa che fa discutere”. 

Il compito dei giornalisti non è solo riportare gli eventi, fine. Devono anche dare una lettura di quello che succede, inserire gli eventi in un frame di riferimento, orientare. Altrimenti che senso ha la stessa idea di una deontologia professionale? Di fronte a quest’ultima provocazione di Salvini, un sistema mediatico sano l’avrebbe distrutto. Il sistema mediatico italiano invece gli ha fatto la passerella, gli ha offerto coperture, ha normalizzato il suo messaggio d’odio ridendo con lui. Ricordatevene la prossima volta che vorrete comprare un giornale.