Paolo Giaccio, il ricordo di Mario Luzzatto Fegiz | Rolling Stone Italia
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Paolo Giaccio, il ricordo di Mario Luzzatto Fegiz

«Era l'uomo più generoso che avessi mai conosciuto, per la musica ha rappresentato la fine del 45 giri e l'avvio dell'LP: prima si parlava delle singole canzoni, mentre lui aveva una grande simpatia per i dischi progettuali»

Paolo Giaccio, il ricordo di Mario Luzzatto Fegiz

«Ai tempi di Per voi giovani Paolo aveva 19 anni, portava i capelli lunghi, era un marziano in Rai: ci fu una riunione in cui il direttore centrale Giuseppe Antonelli criticò le sue scelte musicali e lui rispose: “Io non la conosco, e siccome non la conosco, non la posso neanche amare. E io accetto solo critiche da persone che amo”. Di fronte a questo i dirigenti rimasero di stucco e non lo licenziarono».

Mario Luzzatto Fegiz ricorda così Paolo Giaccio, giornalista musicale, autore e dirigente televisivo che è venuto a mancare oggi a Roma all’età di 69 anni: «Eravamo amici al punto che mio figlio si chiama Paolo, come lui. Era l’uomo più generoso che avessi mai conosciuto: ha aiutato tanti amici in difficoltà, al punto da mantenerne anche qualcuno. Per questo scherzosamente lo chiamavamo San Patrignano. Negli ultimi anni, la sua vita è stata illuminata da una donna eccezionale, la scrittrice Camilla Baresani, che era diventata sua moglie», spiega il critico del Corriere.

Giaccio e Luzzatto Fegiz si erano conosciuti nel 1969 proprio nella redazione di Per voi giovani, «che aveva una parte musicale curata da Renzo Arbore e una parte parlata. Gli altri collaboratori erano molto politicizzati, noi volevamo fare un bel programma e ci ispiravamo a due stazioni: Radio Luxembourg e Radio Montecarlo», ricorda il critico. «La Rai era molto indietro come radiofonia, aveva ancora delle regole incredibili, tipo far passare 20 secondi tra la sfumatura del disco e gli impulsi del segnale orario. Giaccio, per la parte che gli competeva, costrinse la Rai a comprare delle apparecchiature speciali perché le radio erano fatte di stacchetti, sottofondi, qualche effetto…».

Paolo Giaccio ha fatto molto per la musica, prima in radio e poi in tv: «Ha rappresentato la fine del 45 giri e l’avvio dell’LP, nel senso che prima si parlava delle singole canzoni, mentre Giaccio aveva una grande simpatia per i dischi progettuali», sottolinea Fegiz. «I primi che mi regalò furono Atom Heart Mother dei Pink Floyd e il triplo cofanetto di George Harrison, che conservo ancora».

«Insieme abbiamo affrontato anche autori italiani come Fabrizio De André, con La buona novella e i Vangeli Apocrifi, per cui ci misero alla calcagna lo staff del direttore generale Bernabei, perché bisognava essere cauti», racconta il critico musicale. «Esisteva una commissione d’ascolto, che in realtà era una commissione di censura, per cui una canzone poteva essere approvata, respinta o approvata previo colloquio dg, dove dg sta per direttore generale. Quella commissione era la bestia nera di Paolo».

Tra le avventure condivise anche quella di TV Odeon con Brando Giordani e di Mister Fantasy che, all’inizio degli anni ’80, prima della nascita di MTV negli Stati Uniti, lanciava “la musica da vedere” con Carlo Massarino: «Non esistevano ancora i videoclip, quindi noi finanziavamo con un budget per allora generoso le produzioni che costavano 5 o 6 milioni di lire, passavamo gli artisti solo se avevano un video».

Giaccio non ha mai amato la ribalta, «né il microfono in radio, né le telecamere in tv», spiega Luzzatto Fegiz, «al punto che anche nelle sue ultime volontà ha lasciato scritto che non vuole funerali o annunci. Paolo l’understatement ha praticato fino alla fine».