Stewart Copeland, in un’intervista al Guardian, ha raccontato alcuni dei momenti più caotici della storia dei Police. E lo ha fatto ripercorrendo episodi di palco, incontri con colleghi e dando giudizi netti, tra concerti finiti in rissa verbale e miti ridimensionati. Il racconto più spassoso riguarda un live della reunion dei Police a Torino, davanti a 80mila persone: «Ho alzato un po’ troppo il tempo durante l’assolo di Andy (Summers, il chitarrista, ndr) su When The World Is Running Down. Succede spesso, Andy è un fottuto grande solista e mi fa gasare un po’ troppo».
L’accelerazione del tempo, però, manda in difficoltà il cantante: «Il tempo accelera e quando Sting rientra sulla parte vocale è costretto a mitragliare le parole, e lui odia quella roba. Io so già che si incazzerà, e infatti si incazza: inizia a urlarmi contro davanti al pubblico, agitando il braccio per indicarmi dove dovrebbe stare il backbeat». Copeland ricorda anche la reazione, maturata solo a posteriori: «E il pensiero che mi passa per la testa, anzi, a dire il vero mi è venuto in mente solo dopo è: “Adesso ti devo uccidere”. Penso: Sting, mi conosci da 50 anni e credi davvero che questo sia il modo per calmarmi? Non lo era». Nonostante lo scontro, il batterista rivendica l’intensità di quella serata: «Però è stato uno dei concerti migliori che abbiamo mai fatto, mentre ci urlavamo addosso 80mila italiani. Torino è andata a fuoco».
Tra gli episodi più imbarazzanti della sua carriera, invece, Copeland cita un incontro avvenuto all’afterparty di un concerto dei Foo Fighters allo Wembley Stadium: «Una volta ho “Bogartato” (cioè “preso” nello stile in cui fumava Humphrey Bogart, ndr) un Beatle. Era l’afterparty del concerto dei Foo Fighters allo Wembley Stadium. A un certo punto qualcuno dice: “Oh, sento odore di marijuana”, e io mi avvicino in quella direzione proprio mentre qualcuno sta passando una canna». Ma il momento si rivela delicato: «Dico: “Ok, certo”. Per educazione prendo la canna, alzo lo sguardo e mi rendo conto che il destinatario designato non era altri che Paul McCartney. Avevo appena interrotto il passaggio di questo calice sacro verso il più grande! Mi ero infilato in mezzo a quel momento». L’episodio resta ancora sospeso: «Sono andato a dormire quella sera senza sapere se fossi mortalmente imbarazzato o se fosse, in fondo, una gran bella storia da raccontare».
McCartney viene poi indicato, senza esitazioni, come la rockstar più gentile: «Paul McCartney fissa lo standard. Non solo si ricorda il tuo nome e ti parla come a una persona qualunque, ma si ricorda anche il nome di tua moglie. Ed è davvero una persona normale, nonostante sia un Beatle». Quando si parla invece di colleghi “difficili”, il musicista frena: «Noi artisti non vediamo mai il lato peggiore dei nostri pari». E citando Tommy Lee aggiunge: «È la persona più dolce del mondo, sempre allegra, uno spasso starci insieme. Poi scopri che ha una pessima reputazione… ma ovviamente io quel lato non lo vedo mai». Anche perché, sottolinea: «Gli artisti più da incubo che potresti citare, tra di loro sono tutti dolci come cuccioli».
Alla fine non manca un giudizio destinato a far discutere. Alla domanda sull’album più sopravvalutato della storia, Copeland non ha dubbi: «Qualsiasi cosa di David Bowie». E precisa: «Riconosco l’enorme impronta che Bowie ha lasciato nel mondo. È stato innovativo in dieci modi diversi, un’ispirazione per un’intera generazione. Le sue credenziali come uno degli artisti più importanti del nostro tempo sono indiscutibili. Però, con me non ha mai funzionato. Non ho mai voluto sembrare così, non ho mai voluto suonare così, non l’ho mai capito. Io ero più da Jimi Hendrix».
Quanto ai batteristi, Copeland indica un nome che meriterebbe più riconoscimento: «Simon Kirke, che ha suonato con i Free e i Bad Company. Aveva una grande semplicità. È l’esempio perfetto del fatto che i grandi batteristi nascono, non si costruiscono. Non aveva tecnicismi appariscenti, ma aveva un groove con cui non potevi discutere». E conclude: «Anche Ringo Starr e Charlie Watts, ma loro sono già riconosciuti. Simon Kirke dovrebbe stare lassù, allo stesso livello di quei nomi».












