‘Jay Kelly’: la recensione del film Netflix di Noah Baumbach con George Clooney e Adam Sandler | Rolling Stone Italia
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‘Jay Kelly’ è il tragicomico omaggio di George Clooney a un cinema che non c’è più

Realtà e finzione si mischiano nella dramedy di Noah Baumbach (su Netflix) riuscita a metà. Nonostante la performance del divo e delle sue favolose spalle: Adam Sandler e Laura Dern. La recensione

‘Jay Kelly’ è il tragicomico omaggio di George Clooney a un cinema che non c’è più

George Clooney in ‘Jay Kelly’ di Noah Baumbach

Foto: Peter Mountain/Netflix

“Tutti i miei ricordi sono film”, dice il personaggio principale di Jay Kelly, la dramedy di Noah Baumbach (su Netflix dal 5 dicembre) su un attore di Serie A in crisi esistenziale. La cosa interessante di questa battuta – e di questo ritratto volutamente meta-realistico nel suo complesso – non è chi la pronuncia, ma chi interpreta chi la dice.

Ogni star del cinema porta con sé i ricordi dei suoi ruoli più noti ogni volta che appare sullo schermo; il pubblico non vede solo un volto famoso, familiare per via del milione di copertine di riviste e gallerie di red carpet, ma una presentazione simultanea dei suoi greatest hits che scorre nella sua mente. Mostrate sullo schermo la faccia degna del Monte Rushmore di George Clooney, e non sarà solo l’ennesima volpe argentata con la mascella affilata. Sarà Michael Clayton, e Danny Ocean, Fred Friendly, il maggiore Archie Gates. E il dottor Doug Ross, MVP di E.R. – Medici in prima linea. E Batman con i capezzoli in evidenza sulla tuta.

Quel lungo rapporto tra lui e noi è la corrente che attraversa questo sguardo su un artista che fa il punto della sua vita. E anche se sappiamo nel profondo del nostro cuore, ormai stanchi, che non è esplicitamente autobiografico, è impossibile non fondere finzione e realtà guardando questa versione agrodolce, a tratti sdolcinata, del Global Megastar Blues. Rimpianti? Clooney probabilmente ne ha avuti. Come ideato da Baumbach e dalla co-sceneggiatrice Emily Mortimer (sì, la stessa Emily Mortimer che ha impreziosito tutto, dai film tratti da Shakespeare a Paddington in Perù), il suo omologo sullo schermo Jay Kelly se ne porta dietro un mucchio. Praticamente ogni personaggio che ruota attorno a questa Hollywood royalty ha ottenuto la vita che desiderava, e ora si ritrova a desiderare la vita che non ha ottenuto. Kelly, tuttavia, è l’epitome di quest’idea. È stato a lungo in cima alla catena alimentare, amato dai fan e invidiato dai suoi colleghi. Allora perché si sente così dannatamente vuoto?

Jay Kelly | Teaser ufficiale | Netflix Italia

In parte deriva dal solito malessere che si prova quando finiscono le riprese di un film. Il suo manager di lunga data e risolutore di problemi Ron Sukenick (Adam Sandler) ricorda a Jay che spesso si sente così alla fine di un progetto. Anche sua figlia Daisy (Grace Edwards), in età universitaria, sta per partire per l’Europa durante l’unica pausa estiva di Jay, e Jay non vedeva l’ora di passare del tempo con lei. Il suo mentore, un anziano regista (Jim Broadbent) in declino che gli aveva dato la grande occasione, è appena morto. E poi c’è quell’incontro fortuito, o forse non così fortuito, con un vecchio compagno di corso di recitazione (Billy Crudup), che scatena un vespaio di risentimenti e recriminazioni. È la tempesta perfetta di circostanze estreme. È il momento di una resa dei conti attesa da tempo.

Che dire di quel tributo a un festival cinematografico in Toscana, quello che Jay ha liquidato come una sorta di ridicolo omaggio simbolico? Be’, ha deciso di tornare sui suoi passi e parteciparvi, trascinando con sé in Europa Ron, la sua addetta stampa Liz (Laura Dern) e un seguito di assistenti e stylist. Se partono subito, Jay può intercettare sua figlia a Parigi e trasformare il tutto in un viaggio di famiglia. Non gli viene in mente che sua figlia forse voglia semplicemente attraversare il continente con lo zaino in spalla con i suoi amici. O che Ron e Liz hanno una vita al di fuori del lavoro che lo sostiene, e il suo egocentrico autocommiserarsi si sta esaurendo. O che la figlia maggiore Jessica (Riley Keough), da cui Jay si è allontanato da anni, forse ha ragione quando gli chiede: “Sai come faccio a sapere che non volevi passare del tempo con me? Perché non passavi del tempo con me”.

In altre parole, non si tratta solo di una vetrina per un premio Oscar, ma dell’equivalente cinematografico di Cat’s Cradle di Harry Chapin, condito con spunti di farsa dietro le quinte di Hollywood Confidential e un sacco di sdolcinati promemoria di come la mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata lasci dietro di sé parecchi danni collaterali. È la versione “triste” di un divo dello showbiz, il tipo di storia che non disdegna di esaltare i momenti eccessivamente sentimentali o di lasciare che Clooney/Kelly scateni il suo fascino su un treno pieno di caricature della gente comune. E sebbene abbia la sua dose di momenti salienti – un primo piano di Clooney che coglie Kelly nel pieno dei suoi pensieri, una battuta buttata lì con tempi comici perfettamente improvvisati (“La morte è sempre così sorprendente, soprattutto a Los Angeles”) – c’è molto spleen su cosa significhi essere una celebrità.

George Clooney (alias Jay Kelly) e Adam Sandler (Ron Sukenick) in una scena del film. Foto: Peter Mountain/Netflix

Si potrebbe sostenere che non sia nemmeno un film di Clooney, nonostante lui sia presente in quasi tutte le scene, persino negli imbarazzanti flashback che mostrano il suo io più giovane; il lamento di Jay di sentirsi come se stesse “guardando un film della [sua] vita” viene portato a un altro livello, trasformandolo in un osservatore fantasma mentre il passato si svolge come scene di vecchi film. Ancora una volta, Clooney fa un lavoro impeccabile. Ma il vero protagonista di Jay Kelly è Adam Sandler, che qui ruba letteralmente la scena. La sua interpretazione dell’assistente della star pronto a mollare tutto per il suo cliente in un nanosecondo e capace di tirarlo fuori dai guai con infinite distrazioni non è né stucchevolmente affettuosa né pungente. Semplicemente risulta splendidamente presente, in un modo che la maggior parte della trama principale non riesce a fare. Le sue scene con Laura Dern, sempre una spalla di prim’ordine, fanno desiderare una versione più lunga di un film già lungo, in cui i due condividano di più della loro storia passata. Non prestiamo molta attenzione alla cacofonia delle chiacchiere da Awards Season, ma è chiaro perché Sandler stia generando tutto questo buzz.

Un collega recentemente mi diceva che ci imbattiamo in tre tipi di film: quello bello, quello brutto e quello che semplicemente volevamo che fosse migliore. Jay Kelly è un solido esempio della terza categoria. “Vorrei essere l’uomo che pensavo fossi”, dice un personaggio di questo film, e tu ti ritroverai a desiderare che questo fosse il film migliore che pensavi potesse essere. Così com’è, l’aggiunta di Baumbach al canone dei film-sui-film sfrutta al meglio lo star power al centro del racconto. Quando il grande tributo a Kelly entra finalmente in azione, il divo osserva la sua vita dispiegarsi davanti ai suoi occhi, uno zoom alla volta. Ogni sequenza nel tributo è una scena reale di un vero film di Clooney. “Posso ricominciare?”, chiede Kelly alla fine, guardando dritto in camera. E hai la sensazione che questa volta sai quale delle star del cinema che hai appena visto è quella che parla.

Da Rolling Stone US