Reparto Corsi | Rolling Stone Italia
to be a rock and not to roll

Reparto Corsi

I paesini dove non c’è nulla, gli amici che ti salvano, la strizza prima del palco o di scendere in pista. Un estratto della conversazione tra Valentino Rossi e Lucio Corsi dal nostro ultimo cartaceo, in edicola dal 22 novembre

Foto: Francis Delacroix per Rolling Stone Italia

«Questo è il nostro parco giochi», dice Valentino Rossi allargando le braccia. Siamo al Ranch, la pista sterrata che il nove volte campione del mondo ha iniziato a costruire una quindicina d’anni fa sulle colline attorno a Tavullia. Siamo qui per farlo conversare con Lucio Corsi, perché i due sono portatori sani di provincialità, perché il cantante è un appassionato di moto, perché è un gran bel posto anche per chi in vita sua è salito al massimo su un cinquantino. E perché Lucio in copertina posa esattamente come Valentino in un numero di Rolling Stone del 2003. Col casco sottobraccio e con addosso un costume da Elvis, sembra una specie di Evel Knievel maremmano che non cavalca una moto, ma una chitarra, e s’invola non per saltare una fila di bus, ma per fuggire da questo mondo e immaginarne uno migliore.

Per arrivare al Ranch ci si lascia alle spalle il comune di 8000 abitanti dove Valentino è l’eroe locale e forse qualcosa di più. Lì fra le altre cose c’è la sede della VR46 Riders Academy e lì è stato fatto il murale con la faccia di Rossi attraversata dal fulmine di Bowie e accompagnata dal motto dei Led Zeppelin “To be a rock and not to roll”. In questo pezzo di Marche che è quasi Romagna Rossi ha ristrutturato due case coloniche e ha costruito due chilometri e mezzo di pista per flat track. È una disciplina americana praticata da gente che passa la vita a derapare su un ovale in terra battuta perché solo sbandando riesci ad andare più forte. Serve per tenere meglio la moto quando sei in pista e siccome nel MotoGP ci sono curve in entrambe le direzioni, Rossi non ha costruito un ovale su cui correre solo in senso antiorario come fanno gli americani, ma un tracciato intricato che da queste parti chiamano La Biscia. Lo si usa soprattutto d’inverno, quando non ci sono le gare. Immagino sia meglio delle cave dove Rossi correva da ragazzo e dove il tracciato cambiava ogni settimana in base al lavoro fatto dagli escavatori.

Lucio ha ereditato dal padre la passione per i motori e a casa ha un Ténéré 600 con avviamento elettrico che gli salva le gambe secche. In fondo anche quelli come lui sul palco sbandano per riuscire ad andare forte. Certo, Rossi è una leggenda del motorsport mondiale e lui un underdog che a Sanremo e all’Eurovision ha avuto il suo momento e ora sta imparando ad andare veloce. È felice come un bambino quando il campione ci carica sulla sua auto e ci fa fare un giro della Biscia di cui ci racconta caratteristiche e insidie, quando si apre il gas e come si prendono le curve. Nel doppio ovale che percorriamo s’arriva a un rampino di raccordo. Le moto che vengono dall’alto suppergiù a 110 km/h incontrano quelle che risalgono la curva. «Nel tracciare la pista ci siamo chiesti effettivamente se non fosse un po’ pericoloso», dice Valentino al volante, «ma non è mai successo niente, eh».

Una delle curve che percorriamo si chiama Berta e prende il nome da un’edicolante di Tavullia. È un fatto piccolo, che però è significativo del radicamento di Rossi nel posto in cui è nato. Qualcosa di simile si può dire di Lucio Corsi e della Maremma e dei tanti altri luoghi da cui la gente fugge per farsi una vita e in cui alla fine torna per ritrovarla. In questo i due sembrano simili, è gente di provincia che frequenta gli amici di sempre e non ha perso una certa mentalità che tiene assieme concretezza e fantasia, cazzeggio da Bar Sport e arte della sfida, diffidenza per le sofisticherie di chi vive in città e gusto per le imprese grandi e piccole. La chiacchierata inizia da qui.

Lucio Corsi: Veniamo da territori simili, io e te. E secondo me è una gran fortuna essere nati in posti del genere. Mi piacerebbe chiederti quant’è entrato questo luogo nelle cose che hai fatto nel motomondiale. Ti dico la mia: per me è una questione di immaginazione che deriva dal fatto d’esser nati in questi posti qua. Siamo circondati da colline, attorno non c’è granché vita. Un ragazzino che cresce in un posto del genere comincia ad andare altrove con la fantasia. Ed è una cosa che anche nello sport può fare la differenza, può dare un guizzo diverso.

Valentino Rossi: Questo territorio è simile alla Toscana, ma le Marche sono meno famose. Qui però siamo vicini alla Romagna, che è la California italiana. A Tavullia siamo “campagnoli”, ma se ti sposti di una decina di chilometri sei a Riccione e quindi discoteche, ragazze, feste. È la fortuna d’esser nato in questo posto. E poi come dici te, siamo provinciali e in un paesino piccolo ti devi inventare qualcosa.

Lucio: E voli con la fantasia, che è una cosa che ritrovo nelle tue gare. Le vedevo da piccolo e m’hanno ispirato perché ci ho sempre visto guizzi d’immaginazione, e questo nonostante si tratti di uno sport molto tecnico. Secondo me deriva anche dal fatto che in provincia si vive rendendo epiche le storie piccole. È una cosa bellissima. Sono storie di paese, ma quando vengono raccontate le si porta all’ennesima potenza.

Valentino: E ogni volta che le si racconta diventano più grosse.

Lucio: Proprio perché sono piccole ed è questa la loro forza.

Valentino: Qua siamo genuini. Rispetto a una grande città come Milano, dove puoi uscire tutte le sere e fare ogni volta una cosa diversa, qua è tutto più noioso, però abbiamo amicizie che durano. Usciamo con la stessa compagnia per tutta la vita, che può sembrare una noia, ma è anche bello.

Lucio: So che anche tu hai una bella banda che ti circonda. Io dopo Sanremo mi son reso conto che essere circondato dagli amici che frequenti da una vita ti permette di tenere i piedi per terra. Puoi vivere esperienze fuori dall’ordinario e sentirti comunque a casa. E riesci a non cambiare. Siamo come gli alberi di queste colline che crescono e sbirciano cosa c’è fuori, ma restano sempre lì, piantati a terra, non si smuovono. È per questo che sono importanti le amicizie di paese.

Valentino: Per te c’è stato un prima e un dopo Sanremo, no?

Lucio: Sì, nel mio piccolo…

Valentino: Anch’io ho conosciuto gente interessante dopo che sono diventato famoso, dopo aver vinto i mondiali. Posso dire che sono amici veri, sì, ma con loro non avrò mai il rapporto che ho con le dieci o forse meno persone con cui sono cresciuto.

Lucio: Ti servono per non andar via di testa.

Valentino: Quello è importante. Quando diventi famoso ti danno tutti ragione. Nessuno ti dice più «ma che cazzo fai». Diventa difficile capire di chi ti puoi fidare.

Lucio: Con Tommaso (Ottomano, il suo co-autore e collaboratore principale, nda) abbiamo passato anni a cercare di crescere, di arrivare a più gente facendo le cose che ritenevamo giuste, senza scendere a compromessi, credendoci sempre. Dopo Sanremo la gente ci chiede cos’è cambiato. La risposta è: assolutamente niente.

Valentino: Volevo essere un duro l’avete scritta pensando a Sanremo?

Lucio: No, perché le canzoni non puoi pensarle così, non puoi dar loro una forma, sennò si ribellano.

Valentino: Il disco è molto bello. Anche i tuoi pezzi vecchi sono stati riscoperti dopo Sanremo.

Lucio: È una delle cose belle che sono successe. Ma senti, te Dalla l’hai conosciuto?

Valentino: Sì, abbiamo lavorato assieme. Avevo un manager che si chiama Gibo che aveva un sacco di riferimenti fighi. Abbiamo lavorato con Stefano Benni e con Milo Manara e Dalla. Manara ha disegnato un fumetto che poi io e Lucio Dalla abbiamo doppiato. Siamo andati a casa sua a Bologna che oggi è un museo. Era un tipo particolare, Lucio. Ci siam divertiti. Nel fumetto avevo un amico immaginario che mi consigliava e che rappresentava un po’ la mia anima: il pollo Osvaldo.

L’intervista integrale è sul nuovo numero cartaceo di Rolling Stone dedicato a Lucio Corsi. Lo trovi dal 22 novembre nelle migliori edicole e online, disponibile per l’ordine.

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