Nel 1973 Paul McCartney stava lavorando a quello che sarebbe diventato il capolavoro dei suoi Wings, ovvero Band on the Run. Voleva registrarlo in una località lontana da Londra, portando davvero la band on the run, e ha scelto perciò di farlo agli studi della EMI a Lagos, la capitale della Nigeria. Lì tra le altre cose c’era una scena musicale vibrante con al centro il re dell’afrobeat Fela Kuti, un vero santone della musica locale. Kuti ha accolto il Beatle sulla stampa con un poco conciliante «è venuto per rubare la musica dei neri». I due si sono poi incontrati. Ecco com’è andata in un estratto dal nuovo libro autobiografico di Paul McCartney Wings. Una band in fuga uscito oggi che pubblichiamo per gentile concessione dell’editore Nave di Teseo.
Quando arrivammo a Lagos e stavamo cercando di allestire lo studio, una delle prime cose che saltò fuori fu una notizia in prima pagina su un giornale locale con il titolo “Paul McCartney dei The Beatles arriva a Lagos”. Citava Fela Ransome-Kuti, come veniva chiamato allora, che diceva: «È venuto per rubare la musica dei neri. È venuto per fare questo e quello». E le sue parole mi ferirono.
Ho pensato: «No, non è per questo che sono venuto. Sono venuto per il ritmo, per l’ispirazione che mi dà stare a contatto con quella musica». Come stare in Giamaica è fonte di ispirazione grazie al reggae. Così ho pensato, be’, cosa posso fare? Ho chiamato Ginger e gli ho detto, «Ehi amico, è andata così e vorrei provare a parlare con Fela». E Fela è venuto allo studio Emi con… dovevano essere almeno trenta persone.
Fela è entrato in cabina di regia, mentre il resto dell’entourage è rimasto nello studio, e abbiamo fatto una chiacchierata. «Ehi amico, ascolta, non sono venuto qui per rubarti la musica. E mi rattrista che tu lo pensi. Lascia che ti faccia ascoltare qualcosa che abbiamo registrato», ho detto. «La cosa più simile che abbiamo è questa canzone chiamata Mamunia. Lascia che te la faccia ascoltare». Lui l’ha ascoltata e gli è piaciuta abbastanza. E ha detto: «Non è come la musica nigeriana». Quindi si è reso conto che non stavamo rubando la sua musica, e siamo diventati buoni amici.
Avevano già visto succedere cose simili in passato: gente che veniva a Lagos, si comportava in modo amichevole, poi tornava a casa e otteneva successo con il loro stile musicale. Quindi penso che fossero un po’ paranoici. E avevano paura che la cosa si ripetesse. «Questa è la nostra musica. Se c’è da guadagnare, dobbiamo farlo noi». Sapevo che aveva ragione.
Fela ci invitò a casa sua, l’Afrika Shrine, che ora è un locale leggendario. Era fuori Lagos, da qualche parte, in una grande tenda. Una tenda con delle assi. Non c’era un vero e proprio tetto. Ed era fantastico. Ci andammo e ci sballammo. L’erba di Fela era molto forte. Eravamo tutti come – e io in particolare, anche se posso parlare solo per me stesso – come in trip. E sono diventato molto paranoico. Fela ci presentava delle persone e io le vedevo come figure della morte. Era strano. Più tardi ho scoperto che erano persone perfettamente gentili. Ma nel mio stato d’animo, era tutto molto spaventoso.
Fela ci ha dato dei posti a sedere a lato del palco, dicendoci che erano i posti migliori. Abbiamo risposto: «Non vogliamo i posti migliori». Volevamo solo essere gentili e non sembrare dei bianchi prepotenti. Poi lui ha iniziato a suonare ed è stato incredibile. Non avevo mai sentito niente di simile in vita mia. Avevo ascoltato musica africana su disco, ma non mi era mai capitato di trovarmi in una stanza con quella musica. E quella band, ricordo ancora la formazione, era incredibile.
Fela stava davanti con una piccola tastiera Farfisa. Guardava il pubblico e cantava. Aveva la band alle sue spalle. Hanno iniziato a suonare un ritmo e non ho potuto fare altro che piangere. Mi ha colpito così forte. È stato come, boom, e non ho mai sentito niente di così bello, né prima né dopo. Ho ascoltato tanta musica favolosa. Ho sentito Hendrix dal vivo e altre cose fantastiche, ma questo era incredibile. E, come ho detto, le lacrime mi scendevano lungo le guance. Era semplicemente fantastico. Mi ha colpito profondamente.
Ricordo ancora il riff e l’entrata dei sassofoni. Quel suono bellissimo, i suonatori di conga e di chitarra, poi i percussionisti in piedi nella parte anteriore del palco. Fela è al centro, a torso nudo, con una gonna di paglia. È come il capo della tribù. Suona la tastiera. Ai suoi lati ci sono i percussionisti. Uno di loro è un ragazzo molto alto e magro, con pantaloni a righe bianche e nere. E lui sta semplicemente lanciando in aria un piccolo strumento a percussione, come se ci stesse giocando. Lo lancia in aria e cose del genere, come se fosse un giocattolo per bambini. Dall’altra parte c’è un altro percussionista. Proprio dietro ci sono due suonatori di conga, che fungono da macchina del ritmo. Oggi sarebbe una drum machine.
Quindi, alle loro spalle c’erano quei due ragazzi. E poi, ai lati, i sassofonisti, quattro o sei: un grande baritono e tutti i vari tipi di sassofoni. Poi c’era un batterista sul lato destro, e solo perché ha tutte queste percussioni, può permettersi di fare quello che io chiamerei “lead drums”. Può semplicemente accentuare alcune parti. Sta commentando la musica. È come un lead drumming. Fantastico. Poi c’erano le chitarre, e avevano una chitarra tenore e una specie di basso. Una specie di piccola chitarra africana, semplicemente adorabile. E poi le ballerine. Credo che la maggior parte fossero le sue mogli. E sono tutte in topless sulla pista da ballo davanti a lui con le gonne di paglia. Una visione incredibile. E proprio quando tutto è iniziato, ho pianto. Non potevo immaginare nessun’altra reazione.

Tratto da Wings. Una band in fuga di Paul McCartney. © 2025 by MPL Communications Limited © 2025 La nave di Teseo editore, Milano. Traduzione di Salvatore Serù.













