La recensione di 'Dracula' di Luc Besson | Rolling Stone Italia
fuori i canini

Il ‘Dracula’ di Luc Besson ha tutte le carte per stupirvi

Se in positivo o in negativo, lo deciderete voi. Perché l'adattamento della storia, quella sì immortale, popolarizzata da Bram Stoker strizza l'occhio a chi è venuto prima ma sceglie binari del tutto indipendenti

Dracula Luc Besson

'Dracula - L'amore perduto' di Luc Besson

Foto: press

A essere spettatori del nuovo film di Luc Besson, Dracula – L’amore perduto (nelle sale dal 29 ottobre con Lucky Red), viene da pensare che pure Kevin Parker, cuore dei Tame Impala, abbia preso un granchio, quando nel singolo estratto dal suo ultimo album, Deadbeat, canta: “Run from the sun like Dracula“, “scappa dal sole come Dracula”. Eh, sì. Perché – e ora eviterò di soffermarmi su quell’Impala che con la storia del Conte Vlad, per qualche misterioso giro linguistico, ci capita proprio a fagiolo – il regista francese dota le sue schiere di non-morti di un grazioso ombrellino, e di una resistenza agli ultravioletti praticamente da fotosintesi. Non se la passano così male, di giorno, non costretti a dormire nelle loro bare (basta che non si mettano a prendere la tintarella). È solo una delle tante stranezze e deviazioni dalla tradizione che rendono questo film quello che è, e che avrebbe solamente potuto essere: un lungometraggio del regista di Léon, di Dogman, di Arthur e il popolo dei Minimei. Quasi non appartenente al nostro ordine di realtà.

DRACULA - L'amore perduto di Luc Besson | Trailer ITA HD

Io sono una rompicoglioni, va detto. Me lo dicono gli amici quando usciamo dalla sala e siamo obbligati a discutere delle piccinerie filologiche che rendono o meno simile un’opera di canini aguzzi al suo paragone, il romanzo dell’irlandese Bram Stoker, e poi alle leggende sui succhiasangue, e poi alla loro vita autonoma nella storia del cinema. Mi dicono che non riesco mai a godermi nulla, quando ci sono di mezzo i vampiri, e hanno ragione. Quindi bisogna iniziare con una cosa, qui: Besson si è preso una libertà artistica quasi completa rispetto al testo di partenza (quale che sia), usando il concetto del vampiro come spunto, pretesto, suggestione. E ci saranno momenti, tanti, in cui sembrerà un dialogo alla lontana con il Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola. Ma cominciamo dall’inizio.

 

 
 
 
 
 
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Nella Romania del quindicesimo secolo, un principe valoroso (Caleb Landry Jones) combatte gli Ottomani nel nome della fede cristiana, anche se avrebbe preferito rimanere al caldo del suo castello insieme alla sua amata Elisabeta (Zoë Bleu Arquette, il cognome naturalmente è quello). Prima di partire per la battaglia decisiva, chiede al prete di corte di pregare Dio per la sicurezza della principessa. Ma, di ritorno dalla lotta, trova invece Elisabeta in pericolo. La vedrà morire davanti a sé. Allora si incazza e ne va a dire quattro al prete (giusto). Lo uccide e il sangue del religioso condanna il principe Vlad a diventare un cadavere in carne e ossa. La sua unica missione: ritrovare la sua amata, dato che le anime pure, avendo pazienza, potrebbero reincarnarsi.

Fortunatamente succede, e proprio come in Coppola, ma parzialmente come anche nel Nosferatu di Robert Eggers, la ragazza assume la stessa forma fisica. Elisabeta diventa Mina Murray, promessa sposa del bravo Jonathan Harker (Ewens Abid). Per ritrovarla, e qui le cose si fanno interessanti, Dracula usa due stratagemmi: va a Firenze e si fa fare un profumo prodigioso per attrarre tutte le donne del mondo; alla corte di Versailles, crea uno stuolo di sudditi tramutando un certo numero di nobili in vampiri e li sguinzaglia per tutto il mondo alla ricerca di Elisabeta.

Tra questi c’è anche Matilda De Angelis nei panni di Maria, sposa di un caro amico di Jonathan, Henry Spencer (David Shields), e rivisitazione della figura di Lucy Westenra, amica del cuore di Mina che, nel romanzo di Stoker, viene posseduta per prima dal “male” del vampiro e di fatto viene usata dal Conte per introdursi nella vita di Mina e arrivare a lei. Maria è selvaggia, dionisiaca, smodata. Lo è anche la recitazione della “nostra” De Angelis, ma errore non è. Il massimalismo fiabesco di Besson è presentissimo, da queste parti. E se i due amanti impossibili appaiono quasi sommessi e languidi, il contraltare di Maria è tanto più evidente. Matilda, che proprio dal personaggio di Natalie Portman in Léon, in una strana inception, prese il nome di battesimo, è impeccabile come ormai ci ha giustamente abituati. Il concept per il suo personaggio, be’, può piacere o meno. A me, per dire, non ha entusiasmato.

Come questa trovata del profumo non mi entusiasma, e mi interessa a metà che il vampiro sia modellato sul Gary Oldman di Coppola (nei looks), o che, per esempio, nel suo castello spuntino dei gargoyle animati in stile Notre-Dame de Paris (il cartone animato, ovvio). Non mi parlano, i vampiri scanzonati o forse, pure, troppo teneri. La loro è una maledizione inesorabile, e inesorabile, penso, dev’essere il loro amore. Di fatto lo ha già consumato, ma il perdono della croce rimane nell’aria. Pentiti, e tutti saranno salvi. Salvi e scontenti, tanto a Mina, di questo Jonathan, non importa poi più di tanto.

Infatti Besson la chiude con facilità, la sua narrazione. Sorvola, passa in rassegna veloce, come se fossero solamente alcuni elementi della storia (pure della sua stessa) a catturarne l’attenzione. I drammi di ognuno rimangono nell’aria e si depositano a terra solo in parte. Il prete stile Van Helsing con il volto di Christoph Waltz? Uno spreco di potenziale, data la caratura dell’interprete e il ruolo ben più decisivo che ha il Professore (qui diventato Prete) nella storia tradizionale. I pezzi ci sono tutti, però assemblati in un modo che non riconosco.

Eh ma che scatole, fattela ’na risata! Il commento è validissimo, e credo ci sia un fondo di verità. È che non ho mai creduto che la storia di Dracula, in ogni sua fattezza, potesse “solo” intrattenere, e in un certo senso la versione di Besson questo, in fondo, vuole fare. Un riassuntone del possibile e di quello che è stato. Non è opera da poco né scopo ignobile, tanto nell’uno come nell’altro caso; solo che il lavoro, mi viene da dire, è mal dimensionato rispetto al potenziale.

Perché quello, alla faccia, c’è tutto. Chimica on point tra i protagonisti, un Landry Jones al top della forma e visibilmente entusiasta di ripetere dopo Dogman, Zoë Bleu filologica e bellissima sul red carpet della Festa del Cinema di Roma. Solo che le belle storie, e forse qui arrivo al punto del discorso, sono tali perché concedono il tempo di essere assaporate, somatizzate, sofferte quasi. Arrivare stravolti, al termine di una visione, è un lusso che poche volte, ormai, possiamo concederci.

 

 
 
 
 
 
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E quindi avrei voluto che anche questo Dracula me ne desse l’occasione, di indugiare, di perdermi e ritrovarmi; di essere messa in discussione, di lasciarmi sedurre (come forse un film sui vampiri dovrebbe fare). Invece qui siamo nel post-modernismo, e il mondo di Besson non lo tieni a freno. Pazienza, per me, come direbbero i miei amici fuori dalla sala. Dracula – L’amore perduto potrebbe non essere il film giusto per i cultori dei vampiri, ma potrebbe esserlo per chiunque voglia un po’ di pipistrelli, questo Halloween, senza rabbrividire nemmeno per un secondo.

Ma in fondo queste son cose dell’altro secolo, no? Intimorirsi per un paio di canini sporgenti… sempre che non abbiano messo su un progetto musicale chiamato Tame Impala per conquistarci in sottotraccia.