Chi non ha mai voluto essere sgarbato con un bambino, far arrabbiare una persona progressista, fare un processo alle intenzioni di chi apre un chiringuito a Milano o cantare una canzone sulle tendenze coprofaghe dei padroni di cani? Per dare sfogo ai nostri peggiori istinti, ma farlo bene, la stand up comedy è quella valvola di sfogo. Nell’era in cui l’ironia è la nostra ultima risorsa prima di un baratro di cinismo, sedersi tra le file di una sala semibuia con in mano una birra, pronti a essere minati nelle fondamenta dei propri – saldissimi – valori, è quello che ci serve per prenderci un po’ meno sul serio, scoprire i limiti propri e altrui, persino riflettere. Negli ultimi anni, in Italia, la stand-up comedy è decisamente diventata una cosa seria e Milano in questi giorni ospita la Stand Up Comedy Week, in scena dal 13 al 19 ottobre, in tre spazi simbolo di questo genere di intrattenimento: Yellowsquare, Ghe Pensi Mi e Osteria Democratica.
Tantissimi spettacoli di stand up, oltre a presentazioni, interviste e panel, in cui gli ospiti celebrano la scena comica italiana e la sua evoluzione, dando spazio alle nuove voci e mettendo in dialogo comici, addetti ai lavori, autori, appassionati e curiosi. Nella serata a cui ho partecipato, sul palco dello Yellowsquare sul palco c’era First Laugh’s Sake, con una collettiva che ha visto alternarsi Yoko Yamada, Horea Sas, Carmine Del Grosso, Filippo Spreafico. Se avete familiarità con questi quattro comici, allora potreste indovinare chi ha scherzato su cosa, nei quattro argomenti, assolutamente non casuali, che ho citato all’inizio.
Diversi per stile e per racconto, i quattro si sono dati il cambio, ognuno portando qualcosa di sé: gli stereotipo del Veneto di Horea Sas, che ha fatto la parte del maschio etero bianco, un po’ goffo, un po’ consapevolmente odioso, un po’ ribelle nel codice del politicamente corretto. Il suo racconto di come, durante i lunghi viaggi in treno, individua le ragazze più progressiste con zaino della Quechua e le aiuta a posizionarlo in cappelliera solo per il gusto di ricevere sguardi di disapprovazione, ha fatto ridere persino me, che di sguardi truci in queste occasioni ne ho lanciati parecchi.
Nella sua stand up, Filippo Spreafico ha mescolato una spacconaggine voluta a repentini cambi di direzione, passando dagli aneddoti sulla chiusura culturale della città di Lecco a due pezzi piano voce, uno sui cani “animali abituati a vivere sotto il nostro regime fascista” cit. e uno sulla decostruzione maschile «amerò la mia parte maschile come una vera lesbica». In apertura e chiusura della serata, Carmine Del Grosso ha giocato a coinvolgere il pubblico, prendendo di mira uno spettatore che ha aperto un locale d’ispirazione tropicale sull’asfalto di Milano; mostrando le proprie idee per una campagna pubblicitaria contro il fumo; parlando di uno degli eroi del nostro tempo: Ezio Greggio. «Nella stand up comedy, più sei te stesso più funziona, quando cerchi di copiare lo stile di qualcun altro, o gli argomenti, non dai niente di più, si vede subito» mi racconta Yoko Yamada a margine della serata che l’ha vista sul palco con i colleghi «Quando invece ti fidi di te stesso e vai con quello che hai è molto bello, il pubblico ride, perché è originale».
È una gara a chi è più bravo? «I primissimi anni ci conoscevamo un po’ tutti, mentre oggi incontro o sento spesso, persone nuove e in realtà mi fa piacere, la stand up comedy non è un ambiente competitivo» continua Yoko Yamada. Lei, sul palco dello Yellowsquare, ha scaldato il pubblico con alcuni aneddoti dalla giornata appena trascorsa, per poi dedicare la parte centrale a un nuovo stile di battuta – per ora top secret, tranne per chi era in sala – e continuare con il suo racconto personale di vita, compreso il non sempre facile rapporto con i nipoti, le crisi esistenziali e l’aiuto di ChatGPT.

Yoko Yamada alla Stand Up Comedy Week a Milano, nel 2025. Foto: press
Yoko non cerca la risata veloce, ma ti accompagna nei dettagli di una storia, per poi colpire con l’ironia o con meta-battute che rompono la quarta parete. Di stand up ne ha fatta parecchia per riuscire a ottenere questa padronanza: «La prima volta che mi sono esibita su un palco portavo un pezzo un po’ banale. Sulla carta dovevano essere le 3/4 volte in cui mi ero cagata addosso nella vita, ma provando le battute insieme a un amico prima di esibirmi mi sono messa a parlare di altro, di come i giapponesi non sanno dire di no. Mentre mi ascoltava lui mi ha detto: “Devi assolutamente raccontare questo sul palco”. Io ero scettica, soprattutto per un cambio all’ultimo, ma alla fine l’ho fatto. Nei primi 5 minuti dello spettacolo ho raccontato della cultura di mio padre (Yoko ha padre giapponese e madre veneta), di come vorrebbero mandare a cagare le persone ma sono troppo educati per farlo, e la gente rideva e io ne ero davvero sorpresa. Ero parecchio agitata, ma non sul punto di svenire, c’era qualcosa che mi diceva che quello era il mio ambiente». Da quel giorno Yoko Yamada ha accumulato molte esperienze: la semifinale di Italia’s Got Talent nel 2023; l’esordio alla recitazione in Sono Lillo (2023), poi Pesci Piccoli 2 (2025) e Il Baracchino (2025); due spettacoli portati in tour – Pizza sul Gelato (2020) e Mary Poppins e i Doni della Morte (2023/2024) – e la partecipazione nel cast di LOL 6, per l’edizione 2026.
Il 30 ottobre uscirà The Traitors su Prime Video, prossima avventura di Yamada. A novembre 2025, invece, comincerà un nuovo spettacolo (di cui sono state annunciate 3 date: il 28 novembre a Mestre, 1 dicembre a Milano, 16 gennaio a Brescia) intitolato Stellina Scintillina. L’argomento è forse il più complicato mai affrontato dalla comica: «È uno spettacolo che nasce da domande un po’ complesse. Tutto era nato in realtà dall’episodio di Giulia Cecchettin: tante manifestazioni, tanta indignazione, però mi sentivo impotente, no? Avevo voglia di urlare e spaccare tutto, ma non sapevo come fare, perché io faccio la comica. Ho provato a farci uno spettacolo che fosse anche una riflessione più ampia, perché il femminicidio è il risultato di una violenza di genere che parte da comportamenti culturali come il linguaggio, le battute sessiste. Non è stato facile pensare a rendere queste riflessioni parte di uno spettacolo comico però, pensandoci e pensandoci, qualcosa è venuto. Poi ho inserito altri spunti, come: cosa fai quando scopri che una persona che conosci o che stimi artisticamente in realtà dice, fa o pensa cose che tu trovi allucinanti? Quindi questo spettacolo nasce da una serie di domande che, spoiler, non trovano risposte, anzi. A me piace pensare che poi lo spettatore torni a casa più confuso. Sarebbe interessante però riuscire a spostare il focus da quello che ha sentito nello spettacolo alla sua quotidianità, sul giudizio che può dare anche a se stesso rispetto agli altri, su come si comporta con la famiglia, con gli amici».
Tra le caratteristiche della new wave comica, di chi come Yoko Yamada è sulla trentina e fa stand up comedy, c’è quella di aver integrato una maggiore sensibilità su temi come questo? «Forse la questione non è tanto di cosa parli, ma come ne parli» mi spiega lei, perché non è vero che “non si può più dire niente”, vedendo come molti, dai comici ai politici, continuano a dire cose davvero spiacevoli e non succede assolutamente nulla.
«Nelle ultime esibizioni ho fatto un test al pubblico, recitando una battuta misogina. Non una frase mia, ma una cosa che ho trovato su Google scrivendo “battute sessiste”. Se in una platea di 100 presenti non ride nessuno, o al massimo due persone, io svelo il trucco e dico: “Ok, questo era un test e l’avete superato”, altrimenti andrei a chiudermi in camera dell’hotel. Perché davvero il mio discorso è: ogni comico si trova il pubblico che merita e io non voglio meritarmene uno sessista».








