Il mondo faceva schifo anche nel 1972, ma almeno c’erano John Lennon e Yoko Ono | Rolling Stone Italia
Idealismo rock

Il mondo faceva schifo anche nel 1972, ma almeno c’erano John Lennon e Yoko Ono

Il box set ‘Power to the People’ racconta la fase politica della coppia. Parla di quell’epoca, ma anche della nostra. Lo spirito è contagioso, il suono finalmente migliorato, ma c’è un’omissione imperdonabile

Il mondo faceva schifo anche nel 1972, ma almeno c’erano John Lennon e Yoko Ono

John Lennon e Yoko Ono al Madison Square Garden, agosto 1972

Foto: Michael Negrin/Yoko Ono Lennon

C’è stato un tempo in cui una delle rockstar più celebri del mondo, figlio amatissimo dell’Inghilterra swingante degli anni ’60, autore d’inni di pace & amore universali, mito generazionale prima di compiere i 30 anni, poteva associarsi ai peggiori ceffi della controcultura americana e cantare di rivoluzionari, delle carceri, del Papa che si fa le canne. C’è stato un tempo, lo stesso, in cui si dava al pubblico la possibilità di capire il contesto e il senso di certe canzoni, anche quelle che contenevano parole forti e controverse, che peraltro venivano scelte proprio perché forti e controverse. Le si poteva persino cantare in tv. Il conduttore prendeva cautamente le distanze, però il pezzo lo ascoltavi e ti facevi un’idea.

È l’epoca ricostruita dal box set Power to the People di John Lennon e Yoko Ono che uscirà domani, mentre oggi ricorre l’85esimo anniversario della nascita del Beatle (e il 50esimo compleanno del figlio Sean). Visto come va il mondo, non poteva esserci un momento migliore o forse sarebbe meglio dire peggiore per riascoltare gli inni movimentisti e gli appelli alla pace dei Lenono. Non solo e non tanto per gli argomenti di cui i due cantano, ma per come lo fanno: in modo ruvido, spudorato, vivo, che è una cosa che va oltre le battaglie superate dalla storia, le canzoni abbozzate, gli slogan semplicistici. Nel loro modo strambo e originale i due sono più fighi del gruppo supercool che conosciamo solo noi e i nostri amici, del rapper che si vanta della credibilità che ha acquisito per strada, della popstar che ogni tanto piazza una storia di Instagram su Gaza, perché lo fanno tutti e sennò sembra colpevole di qualcosa.

Per capire Power to the People, che prende il titolo da un singolone di Lennon del 1971, uno di quelli ideati per essere cantati in coro a una manifestazione, bisogna capire il contesto in cui queste canzoni e queste esibizioni nascono. A settembre del 1971 John Lennon si trasferisce a New York. Non farà più ritorno in Inghilterra. Sta con Ono in un piccolo appartamento del Greenwich Village prima di sistemarsi dopo un anno e mezzo circa nel ben più lussuoso Dakota Building. Combatte per il rinnovo del visto e nel giro di un anno finirà per vedersi recapitare un ordine di espulsione da parte del governo.

Mentre il mondo ascolta l’inno pacifista Imagine e la romanticissima richiesta di scuse all’amata di Jealous Guy, John & Yoko partecipano a manifestazioni, scrivono inni femministi e sulla situazione in Irlanda del Nord, cantano la rivolta nel carcere di Attica, dedicano una canzone ad Angela Davis, incidono un pezzo natalizio contro tutte le guerre (che possono finire if you want it) e specialmente quella in Vietnam, si esibiscono per John Sinclair, l’attivista e manager degli MC5 condannato a dieci anni di reclusione per avere offerto due spinelli (“ten for two”) a quella che, ops, s’è poi rivelata essere un’agente in borghese.

Sunday Bloody Sunday - John & Yoko/Plastic Ono Band with Elephant's Memory | Official Music Video 4K

Oggi ci sembra normale, ma dev’essere stato scioccante o almeno spiazzante per molti vedere uno come Lennon americanizzarsi e frequentare gli ambienti radicali della sinistra, ai quali presta volentieri la sua popolarità. S’era già fatto la fama di piantagrane, ma non si era mai spinto tanto oltre. Essendo lui pur sempre un Beatle finisce per essere spiato dall’FBI e gli tocca andare in tribunale per affermare che il mancato rinnovo del visto non è causato dalla condanna per possesso di marijuana risalente al 1968, ma da ragioni politiche. Non è vittimismo, né mitomania. La pubblicazione anni dopo dei file dell’FBI dimostrerà che aveva ragione: l’espulsione di Lennon era considerata una contromisura strategica alla possibilità che organizzasse una manifestazione o un tour contro il presidente Nixon. Magari non era più famoso di Gesù, come aveva detto dei Beatles anni prima, ma evidentemente un po’ metteva paura.

Di questo periodo super politicizzato, interamente ideato e condiviso al 50% con Yoko Ono restano soprattutto due testimonianze. Una è l’album Some Time in New York City che è uscito a giugno del 1972 ed è pieno di canzoni di lotta. L’altra è One to One, il concerto dell’agosto del 1972 al Madison Square Garden a favore di un’organizzazione che s’occupava di bambini con disabilità mentali. Era stato organizzato dalla coppia dopo aver visto un celebre reportage di Geraldo Rivera sulle condizioni indecenti della Willowbrook State School di Staten Island.

L’album del ’72 voleva essere la versione rock’n’roll e calata nella New York dell’epoca delle canzoni di Bertold Brecht. La copertina del disco era impaginata come quella d’un quotidiano, i pezzi sembrano scritti e incisi sul momento, e in parte lo erano, editoriali cantati e battaglieri pieni di riferimenti alla stretta attualità. È però considerata da molti, direi la maggioranza assoluta dei beatlesiani, una parentesi emendabile tra l’idealismo di Imagine e il ritorno alla canzone tradizionale di Mind Games. Anzi, secondo molti è un brutto disco e basta. Memorabile la lettera aperta pubblicata su NME in quel 1972 e firmata dal critico Tony Tyler: “Lennon, sei un patetico rivoluzionario invecchiato”.

Il box set contiene una versione “reimmaginata” di Some Time in New York City titolata semplicemente New York City. Contiene pezzi con sezioni diverse dagli originali del 1972, vedi la coda più lunga di Sunday Bloody Sunday o la parte strumentale espansa di John Sinclair. Riascoltate nel nuovo mix alcune di queste canzoni fanno tutt’altro effetto, hanno molta più forza, spinta, sono contagiose e fanno maledire questo tempo senza uno come Lennon. Non vuol dire che improvvisamente Attica State o The Luck of the Irish (esperimento: provate a sostituire nel testo “irlandese” con “palestinese” e “inglese” con “israeliano”) siano diventate Strawberry Fields Forever o Imagine, ma hanno finalmente l’urgenza e la musicalità che mancavano alle versioni pubblicate all’epoca, che erano state prodotte dalla coppia con Phil Spector e che sembravano uscire da un amplificatore di cartone.

Instant Karma! (We All Shine On) (live) - John & Yoko/Plastic Ono Band with Elephant's Memory

Lo show al Madison Square Garden, pubblicato parzialmente nel 1986 col titolo Live in New York City, è noto soprattutto per essere stato il primo vero concerto fatto da Lennon dopo la notizia dello scioglimento dei Beatles e pure l’ultimo in assoluto della sua vita. In qualche modo si ricollega alla serie di esibizioni per la pace fatte a partire da quella al Toronto Peace Festival del 1969.

I concerti sono due, pomeridiano e serale, John e Yoko sono accompagnati dagli Elephant’s Memory. Lennon le ricordava come le esibizioni in cui s’era divertito di più dai tempi dei Beatles al Cavern o addirittura ad Amburgo e se sembra un’esagerazione è perché Live in New York City non rendeva loro giustizia. Riascoltati oggi in versione integrale e con un suono migliorato e meglio organizzato, il concerto pomeridiano e soprattutto quello serale restano imperfetti, però eccitanti, è roba che ti fa venire voglia di scendere per strada a manifestare. A volte Ono canta in modo straziato, sì, e pure Lennon svacca qua e là. Alcune canzoni non sono certo capolavori di scrittura, specialmente pensando a quel che Lennon ha fatto coi Beatles e anche da solo. Ma trasmettono un senso d’urgenza che le riscatta e dà loro un senso in più.

Forse per svelare la loro forza espressiva questi pezzi avevano bisogno dell’impatto di un gruppo dal vivo e della gente, di un pubblico, lo stesso che a fine concerto viene fatto salire sul palco per il gran finale stonatello di Give Peace a Chance. C’è anche il classico dei Beatles Come Together e alcuni pezzoni solisti come Mother che è tratta, scherza Lennon, «da uno dei dischi che ho fatto dopo aver lasciato i Rolling Stones».

Come Together (live) - John & Yoko/Plastic Ono Band with Elephant's Memory

Se le performance newyorchesi, già al centro con tutto il periodo politico del documentario di Kevin Macdonald con Sam Rice-Edwards One To One: John & Yoko, hanno ora questo impatto è grazie al nuovo mix supervisionato da Sean Ono Lennon. Restano grezze il giusto ed esaltano con la loro crudezza pezzi come Cold Turkey, resoconto senza filtri del processo di disintossicazione dalla droga, o l’inno Instant Karma!. Nota a ragione Sean Lennon che «all’inizio degli anni ’70 stavano tutti diventando sempre più sofisticati e raffinati. Credo invece che mio padre stesse anticipando l’avvento del punk. Voleva tornare alle origini, essere genuino, spontaneo e rock’n’roll. Quel che stava facendo era fantastico, andava controcorrente».

I due concerti al Madison Square Garden e New York City sono il cuore del box set, ma non lo esauriscono. C’è anche una versione espansa con un nuovo mix dell’album Live Jam, che raccoglie varie performance del periodo 1969-1972, bozze delle canzoni, registrazioni casalinghe e in hotel, prove di vecchi classici rock’n’roll, i consueti mix Evolution ed Elemental (presenti in modo meno massiccio rispetto ad altre pubblicazioni d’archivio di Lennon) e pure quattro pezzi incisi in una stanza del St. Regis nel 1971 con Lennon che accompagna alla chitarra il folksinger americano Phil Ochs, quello dell’inno I Ain’t Marching Anymore. È lo spaccato di un’era conclusasi ben presto a causa del prezzo che la coppia stava pagando per le sue prese di posizione, della rielezione di Nixon nel novembre del 1972, della disillusione, del distacco dalle frange violente della sinistra radicale.

«Quelli di sinistra parlano tanto di dare il potere al popolo. Che sciocchezza: il popolo ha già il potere», diceva Lennon che aveva sposato sì certe cause, ma non le derive distruttive, né le cosiddette avanguardie rivoluzionarie. «Noi non facciamo altro che cercare di rendere le persone consapevoli del potere che hanno nelle loro mani e che non c’è fine che giustifichi la violenza rivoluzionaria. Secondo noi il popolo ha il potere di porre fine alle cose che non gli piacciono. E la prima di queste cose deve essere la guerra. La sciocchezza secondo cui il potere debba essere dato al popolo da un gruppo di rivoluzionari è spazzatura. Il popolo ha già il potere e se non riusciamo a ricordarlo noi, come possiamo pensare che lo ricordino gli altri?».

John Lennon about Woman Is the Nigger of the World on Dick Cavett Show (RESTORED

A New York Ono introduce la sua Open Your Box dicendo che la canzone è stata censurata («Sono state tutte censurate tranne Imagine», scherza ma non troppo Lennon). Il pezzo era stato effettivamente sostituito su un singolo da Touch Me e compare nella versione americana di Fly col titolo di Hirake e questo perché per “box” si intendeva “vagina” e passaggi come “apri la tua scatola, apri i pantaloni, apri il sesso, apri le gambe” erano considerati scandalosi. Per John e Yoko l’unica cosa scandalosa era la (auto) censura. Fa quindi ancora più rabbia constatare che la canzone Woman Is the Nigger of the World manca sia dal concerto (la fecero, eccome, ecco il video), sia dalla nuova versione di Some Time in New York City. Apriva il disco, è sparita. Non c’è motivazione ufficiale, ma è ovvio che il problema sta nella parola “nigger”. È un pezzo femminista e provocatorio in cui Lennon usava la n-word per dire che in quella società (e anche oggi, da qualche parte, in modi diversi) le donne sono le schiave degli schiavi. Su Spotify, per inciso, compare all’interno di Some Time con gli asterischi, Woman Is the N****r of the World, una soluzione più dignitosa dell’esclusione.

Nel 1971 al Dick Cavett Show il presentatore ha introdotto l’esecuzione della canzone con un preambolo in cui s’è detto conscio, anche a nome dell’emittente ABC, che la parola “nigger” poteva risultare controversa e soprattutto offensiva per il pubblico di colore. Al posto di censurarla, aveva scelto di fare spiegare a Lennon il senso. E così, affiancato da Ono che è l’ideatrice dell’espressione usata nel titolo, il musicista spiega che le persone che hanno reagito male sono soprattutto bianche e di sesso maschile, che i suoi amici di colore l’hanno capita, che il senso è che la donna è emarginata persino tra gli emarginati. Che il membro del Congresso Ron Dellums, afroamericano, ha scritto che «se negro è qualcuno il cui stile di vita è determinato da altri, le cui opportunità sono determinate da altri, il cui ruolo nella società è determinato da altri, la buona notizia è che non è necessario essere neri per essere un negro in questa società. Gi americani sono per la maggior parte negri».

Pur tra le controversie e l’impossibilità che le radio la trasmettessero, nel 1972 si considerava il pubblico in grado di capire il contesto nel quale venivano usate le parole. Oggi a quanto pare non è più così e il pezzo, che pure era stato scelto e pubblicato da John & Yoko come singolo di lancio dell’album, è stato cancellato facendo una piccola violenza alla storia, alla memoria di quell’epoca, alla nostra intelligenza. Ma se nel campo progressista non sono gli eredi di Lennon a opporsi a questa deriva, a questa parodia di 1984, chi mai lo farà? Al Madison Square Garden Lennon ha introdotto Woman Is the Nigger of the World come «una delle tante nostre canzoni che sono state messe al bando», spiegando che nasce «da una cosa che Yoko m’ha detto nel 1968 e che ho capito solo nel 1970». Sapessi, John, quante cose non abbiamo ancora capito nell’avanzatissimo 2025.

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