Si chiama Chase perché i suoi genitori si erano innamorati di Chase Meridian, il personaggio di Nicole Kidman in Batman Forever. Di cognome (più o meno, ci arriviamo) fa Infiniti perché da qualche parte nel salotto passava la videocassetta di Toy Story e il mantra di Buzz Lightyear, “to infinity and beyond“, era diventato un manifesto. In realtà infatti il surname sarebbe Payne, ma ormai non è importante: per tutti è Chase Infiniti. Chissà se qualcuno le ha suggerito di usare solo il primo e il secondo come nom de scène. Di sicuro, al contrario di chi ha consigliato a Leo DiCaprio di farsi chiamare Lenny Williams, ci ha preso. Ecco, fatte le presentazioni, possiamo andare avanti.
Se non l’avete ancora vista in Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson (pazzi!), magari (anzi, di sicuro) è comparsa nel vostro feed Instagram, mentre risponde a mille domande, balla, ride, gioca con i co-protagonisti (che sono DiCaprio e del Toro, per dire) e, soprattutto, restituisce uno dei sentimenti più antichi del cinema: farci venire voglia di proteggere un personaggio.
«Mi ha ricordato le mie figlie», ha detto a Rolling Stone Anderson, che ha ingaggiato Infiniti alla fine di una lezione di karate in cui era l’unica principiante. «Ha un talento incredibile, una vera consapevolezza emotiva e le capacità fisiche per fare tutto ciò che deve fare nel film». Gli fa eco DiCaprio: «Doveva avere quella qualità unica che Paul stava cercando, un mix di resilienza, tenacia e innocenza. Era disposta a tutto pur di rendere realistiche le scene d’azione, e poi aveva quella grinta. Ma allo stesso tempo pensavi davvero: “Devo proteggerla a tutti i costi”. L’intero film si basa su questa sensazione».

Chase Infiniti (Willa) in ‘Una battaglia dopo l’altra’. Foto: Warner Bros.
In effetti, da quando entra in scena Willa Ferguson, la protagonista che Chase interpreta, è insieme il motore dell’azione di ogni personaggio e il bersaglio dell’action man alt-right interpretato da Sean Penn; è la promessa di un futuro (il suo) e l’accusa di un passato (quello degli altri). È la figlia di una rivoluzione che non è mai stata, al centro di una fuga che sembra non finire e che diventa, suo malgrado, stile di vita. Perché le colpe delle madri ricadono sulle figlie – ma che colpa poi, se l’unica “colpa” è quella di essere nate. Una battaglia dopo l’altra è un racconto sul debito, sulla genealogia dei traumi, sul tentativo disperato (e tenero) di riscrivere l’albero da cui si è caduti e colmare quella distanza irriducibile tra chi ti mette al mondo e tu che devi poi capire come restarci, nel mondo, in questo mondo. È anche una storia di padri e figlie: di uomini che non sanno più come proteggere e di ragazze che devono imparare a salvarsi da sole, magari anche proprio da loro stesse.
Intorno a Willa, l’apparato Anderson pare un’orchestra punk. Vedi la costumista Colleen Atwood, che veste i corpi con un realismo feroce: la petticoat skirt (si chiama così la gonna che indossa per tutto il film) di Chase è un simbolo d’azione e di adolescenza, una corazza di tulle che sa di strada. È quel dettaglio a fissarti la memoria addosso: «Le mie scarpe e la giacca di pelle… quando le indossavo, capivo dove stava Willa».
E poi c’è il fuori-film, che ormai è sempre più parte del film. Il press tour è un genere, e Infiniti (classe 2000) lo capisce benissimo: balla K-pop, fa il panico davanti ai microfoni, dirige i reel con Teyana Taylor e Regina Hall, sposta DiCaprio e del Toro di mezzo per ritagliarsi l’inquadratura giusta, mai per arroganza, ma per controllo della narrazione, che è il talento più moderno di tutti. Per lei, i social non sono una stampella: sono un’estensione del personaggio. Se vi siete imbattuti nel TikTok in cui dichiara di essere Team Conrad (sì, quel Conrad) e trascina nella squadra anche Leo con un sorriso complice, avete capito la misura del gioco.
Perché oggi è chiaro che la traiettoria social non è un incidente di promozione, ma una grammatica. La nuovissima Hollywood passa anche da lì: dal modo in cui un’attrice sa giocare con la propria immagine senza farsene schiacciare. Per questo il tour digitale di Una battaglia dopo l’altra è stato, in controluce, una piccola rivoluzione: DiCaprio è uno che di solito rifugge questi aspetti e si è eccezionalmente prestato ai reel, ai cameo, alla liturgia dell’algoritmo, trascinato anche dal passo di Chase. Non è (solo) marketing: è un aggiornamento del rapporto attore-pubblico.
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Va detto però che non è stata una passeggiata per Chase. Ci sono voluti sei mesi di casting: prima il self tape inviato mentre girava Presunto innocente, poi, un mese dopo, la chiamata per il chemistry test con DiCaprio (c’erano anche Regina Hall e PTA). Chiunque sarebbe impazzito; invece Chase faceva training autogeno (o come si chiama adesso): «Devo dare il meglio per me e per loro, devo essere un’ottima partner». Poi l’allenamento per rendere credibili le scene fisiche, le coreografie, la paura che diventa carburante. In un dialogo che sembra un passaggio di testimone (lei e Teyana Taylor, madre sullo schermo), Chase confessa che PTA e DiCaprio le hanno regalato la licenza più rara: quella di giocare. Provare, sbagliare, riformulare. E quindi l’idea che un attore non debba solo dimostrare, ma scoprire. E scoprirsi nel processo.
La bellezza dei debutti veri è che non assomigliano a un’audizione riuscita: sono una presa di posizione. E non si vedeva un esordio cinematografico così dai tempi di Natalie Portman in Léon, per evocare lo stesso equilibrio tra vulnerabilità e coraggio. O dall’exploit di Zendaya, ma con la spinta di chi non ha ancora un Euphoria alle spalle. «Questa ragazza mi somiglia: è di razza mista, canta, balla, recita, fa tutto quello che vorrei fare io, ma in un modo nuovo, che non credevo nemmeno possibile», dice Chase del suo idolo, che una sera le ha pure mandato dei fiori: «Sto piangendo, davvero», commenta Infiniti su Instagram.

Regina Hall (Deandra) e Chase Infiniti (Willa) in ‘Una battaglia dopo l’altra’. Foto: Warner Bros.
Prima di Willa, però, c’è stata Jaden Sabich, figlia e detonatore morale dentro Presunto innocente, il legal thriller di Apple TV+ con Jake Gyllenhaal e Ruth Negga. Un’altra parte da “figlia di”, certo; ma il mestiere comincia da lì, dall’ombra lunga degli adulti, e poi si prende lo spazio. Come nel video Darling, I di Tyler, the Creator, al fianco di un’altra “figlia di” che sta percorrendo la sua strada, Willow Smith, e di quella che probabilmente è l’attrice black più amata del momento, Ayo Edebiri.
C’è un’altra cosa da dire, e non è la solita storia di “nuova promessa”. In America la chiamano breakout, che letteralmente significa “esplosione”, ma per lei sembra più una messa a fuoco. La “figlia di” diventa “quella che regge la scena”: l’allieva del set porta sul grande schermo un tipo di presenza che non si impone mai, ma semplicemente esiste, e resta. E mentre la moda la fa accomodare in front row (sì, accanto alla stessa Zendaya, a Emma Stone, a Jenna Ortega), Chase non si mette in posa; si posiziona. E la differenza è sottile e decisiva.
Manco a dirlo, Infiniti ha già in corso nuovi progetti: guarda caso (e ovviamente non è un caso) interpreterà di nuovo una “figlia di” con una legacy pesantissima sulle spalle: sarà Agnes, la figlia di June, in The Testaments, il sequel di The Handmaid’s Tale. Il nuovo show, tratto dal seguito del romanzo di Margaret Atwood, è ambientato quindici anni dopo il (gran) finale della serie originale, e mostrerà Hannah/Agnes che cresce a Gilead. Se The Handmaid’s Tale era la storia della resistenza di una donna e della costruzione faticosa e dolorosa della sua voce, The Testaments sarà la storia delle eredi, di chi quella voce l’ha sentita e dovrà decidere cosa farsene. Rieccoci.
La verità è che, quando il nome te lo scrivono addosso così, tra Kidman e Buzz Lightyear, hai due possibilità: diventare la caricatura del presagio, oppure smentirlo con grazia. Chase ha deciso per una terza via: manifestare la sua stella e poi realizzarla con calma e razionalità assolute. Gli aneddoti virali, i fiori del suo mito, i video con Leo e Benicio: tutto questo è contorno gustoso, ma l’idea, molto paulthomasandersoniana, è che al centro ci sia una ragazza che non deve meritare il proprio destino, ma resistergli, sopportarlo, piegarlo, restarci dentro finché non smette di farle paura.














