Leggenda vuole che nel secolo delle invasioni barbariche, precisamente nel 451 dopo Cristo, San Geminiano salvò Modena dagli Unni guidati da Attila, nascondendola agli invasori con una fitta coltre di nebbia. Questa specie di miracolo gli valse la nomina a santo patrono della città. Allo stesso modo, ieri sera Little Simz ha coperto l’Alcatraz con un incantesimo, salvandolo dall’alienazione della Fashion Week.
Le orde di fashion victim possedute dai demoni del presenzialismo e delle guestlist non hanno varcato manco per sbaglio la soglia del club di Via Valtellina. Ergo, già dalla prima Thief in scaletta, la gente saltava e applaudiva non solo come se fosse alla fine di un concerto memorabile (quale che è stato), ma addirittura come se non fossimo neanche a Milano. La nomea del pubblico meneghino infatti è quella di una folla attenta ma sempre troppo pacata, tanto che a volte ti vergogni. E invece ieri sera i milanesi hanno fatto un casino allucinante.
Giacca e pantaloni tecnici in verdino militare, cappello bucket da esploratrice della giungla, la piccola Simz si è palesata sul palco quasi incredula pure lei. «Wow, siete uno dei pubblici più caldi di tutto il tour» ammette al microfono. Più tardi confiderà anche che, come un po’ tutti in questa stagione, era così raffreddata e imbottita di zenzero, miele e ogni diavoleria possibile che era quasi tentata di annullare la data. Qualcosa dentro di sé deve averla trattenuta dal farlo. E il risultato è stato uno dei concerti più belli del 2025.
Band semplicemente stellare: tutti, compresa la cantante, con occhiali scuri. Ma ognuno con la propria aura, come piace tanto dire ai gen z. La bassista mostruosa, un Jaco Pastorious ma con molto più stile, essendo vestita tutta in pelle nera e occhiali in stile Blade. Segue il batterista, altro alieno, con uno stile a metà tra il funk e il jazz, senza mai slappare una corda. Tastiera e chitarra infine chirurgici, ma come ogni altro membro della band (cantante esclusa) non indispensabili.
Verso metà live infatti calano le luci, si congeda la band dal palco e al suo posto viene fatta entrare una consolle da DJ. Seguono quattro pezzi, ovviamente tratti dal club album Drop 7 dell’anno scorso, più un Interlude inedito, che trasformano per un quarto d’ora il concerto in una discoteca. Baile funk brasiliano, UK garage e colpi di cassa sparati da una Simz in versione DJ ma col microfono per cantare sulle basi. Ebbene sì, sa fare bene pure quello.
La maggior parte delle canzoni è comunque focalizzata sull’ultimo Lotus, forse l’album più difficile perché più personale finora. Anche la scenografia richiama i petali di un gigantesco fiore di loto, dentro cui la band e la cantante sono liberi d’improvvisare, dimenarsi, scendere anche in mezzo al pubblico. Ma non è l’unica impressione che trasmette il fiore: come un grembo materno, accoglie e protegge chi sta all’interno. Prima dell’inizio del live, sul sipario vengono proiettate foto di Simbiatu “Simbi” da neonata, poi a qualche anno, poi da adolescente con una chitarra in mano. Nel mezzo di questa cronologia appare anche la foto di Harry Uzoka, uno dei suoi più cari amici, ucciso nel 2018 a colpi di machete da un collega invidioso del suo successo come modello. A riprova dei meccanismi tossici della moda.
«Penso che questo sia il mio album più personale finora» ha raccontato qualche mese fa la cantante londinese al microfono del podcast di Louis Theroux. «Probabilmente è stato il più difficile da realizzare sotto molti aspetti. Perché sapevo che se avessi deciso di farlo, avrei dovuto affrontare argomenti scomodi e difficili da affrontare».
Mettici anche la fine, per colpa dei soldi, di una collaborazione artistica e di una grande amicizia d’infanzia come quella con Inflo, che le aveva prodotto buona parte degli album che l’hanno portata dov’è ora, e allora il quadro è completo. «Perché in sostanza si tratta di elaborare il dolore» ha continuato da Theroux, «far partecipare le persone a questo processo, a come mi sento e a come lo sto affrontando. E come hai detto tu, c’è molta rabbia».
Eppure, nonostante l’ipersensibilità, l’empatia di un’artista come non ne esistono attualmente su questo pianeta (spende parole ovviamente anche per il genocidio a Gaza), a differenza della maggior parte di noi non si lascia sopraffare dal doom scrolling. La passività da flusso d’informazioni algoritmico Little Simz te la fa sudare via come le tossine nella sauna. L’algoritmo perde le prime quattro parole e diventa semplicemente ritmo. In questo senso, credo che abbia fatto di più la comunità nigeriana di North London negli ultimi 25 anni che l’intera scena rap mondiale negli ultimi 40. Pensa già solo a cosa sarebbe la musica ora se quei quattro scoppiati di Camden come Skepta, JME, Dizzee Rascal e Wiley nei primi vagiti del duemila non si fossero inventati il grime. Tanto per cominciare, non esisterebbe Little Simz. Hai detto poco.
E se San Geminiano ha fatto il suo miracolo e Modena l’ha ricompensato, non vedo perché Milano non debba sostituire quella vecchia ciabatta di Sant’Ambrogio con la miracolosa cantante e rapper inglese. Quanto sarebbe più figo chiedere “Che fai per il ponte di Little Simz?”














