A Rondo stanno sulle palle i giornalisti e, scopro oggi, anche a Mattia. A essere diffidente non è solo l’alter ego trap con la dentiera di diamanti e una certa sana spacconeria che gli ha creato nel rap game qualche nemico e detrattore, ma anche il ragazzo di 23 anni Mattia Barbieri che dal quartiere San Siro di Milano è arrivato velocemente sulle sue gambe a essere riconosciuto da Drake e amato da una folta schiera di teenager.
Sia Rondo che Mattia (che è anche titolo dell’ultimo album uscito oggi) sono convinti di non essere capiti da chi non fa parte del loro mondo, e soprattutto credono di non dover rendere conto a nessuno se non ai fan. Ci sta. Ma la premessa è doverosa per approcciare questa intervista col giusto spirito, niente di personale. A volte risponde alle domande di Rolling da smargiasso («C’è qualche artista internazionale a cui ti sei ispirato nella scrittura di questo album?», «A Mattia», punto, LOL) altre si chiude a riccio con risposte monosillabiche e una palpabile diffidenza di fondo scandita da vari «puoi riformulare la domanda?» o «di questo non voglio/posso parlare».
Comunque, per citare un suo anthem, “Rondo è tornato” con 15 pezzi nuovi di cui tre con featuring (l’immancabile Guè, la giovanissima Ally e Heartman), pronto a eccitare i fan con la sua immagine a tinte blu, iconica come un personaggio da videogame alla GTA, e il linguaggio trap semplice e diretto, con poche metafore. Quello che mi rimane, sia di Rondo che di Mattia, della persona e del personaggio, è un’ambizione sfrenata, quasi punk nel suo anti romanticismo.
Ma non divaghiamo, partiamo dal disco: nella prima metà ci sono i pezzi più drill, scuri, incazzati, nella seconda i “lenti”, anche qualche canzone d’amore, sempre e comunque trappati. Questa divisone, ci spiega, è una scelta voluta… «L’album rappresenta le mie due personalità: c’è Rondo, che è uno che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e non accetta le cose sbagliate, e Mattia che invece è una persona buona, se non la fai incazzare».
In Duomo dici di essere “cambiato per colpa del rap”. In che modo?
Da un lato sono cambiato in meglio perché il rap mi ha messo davanti a responsabilità che prima o poi avrei dovuto affrontare nella vita, e dall’altro in peggio perché ho perso tante persone a cui volevo bene. Ovviamente questa non è una vita facile, perché se non sei abbastanza forte questo ambiente ti distrugge. Quindi se vuoi sopravvivere ti devi creare una sorta di seconda pelle, come un serpente, oppure finirai per essere mangiato.
In pezzi come Al Pacino e Amico insisti sul fatto che non ti puoi fidare di nessuno. Ti riferisci a qualche episodio o persona in particolare?
Solo chi mi conosce davvero sa cosa mi ha ferito e quello che ho affrontato nella vita.
In Amico parli anche di qualcuno che non c’è più…
La seconda strofa è dedicata a un amico brasiliano che è stato ucciso in Brasile.
Da Welcome to Mylan fino a Duomo, nelle canzoni e nei videoclip ci sono tanti attestati d’amore per la tua città, la stessa città che un paio di anni fa ti aveva dato un Daspo…
In passato ci sono state persone che hanno fatto in modo che non avessi accesso a Milano. Poi stato in giro per il mondo, sono andato a vivere a Londra perché Milano mi stava stretta, era diventata un posto invivibile. Ma ora sento la città in un modo diverso, sono maturato e rivendico il fatto che Milano sia il mio posto. Adesso nessuno può più dirmi nulla.
Nel video di Welcome to Mylan si vedono tutte le strade e i luoghi simbolo, c’è anche la famosa 90, l’autobus che segna la circonferenza della città. Quando è l’ultima volta che l’hai preso?
Tanto tempo fa, per fortuna. Prima la prendevo sempre per andare in giro la notte. Facevamo freestyle e bevevamo sulla 90 quando eravamo ragazzini, salivamo su in trenta, è stato il nostro punto di riparo quando non sapevamo dove andare a dormire la notte. Ho dormito varie volte su quei sedili quando mia madre non mi faceva entrare in casa. La 90, per chi è nato a Milano, soprattutto per i ragazzi di strada, fino a qualche anno fa era una seconda casa.
Nel video si vedono anche il Bosco Verticale e City Life.
Sono posti dove vorresti andare a vivere?
Il mio sogno era quello di passare dalla parte povera di San Siro a quella ricca, e l’ho realizzato nel 2021, subito dopo che ho iniziato a fare un po’ di soldi con il rap. Mi sono potuto permettere una casa abbastanza bella.
E poi c’è la Stazione Centrale, che è tornata d’attualità in questi giorni per gli scontri che sono avvenuti lunedì durante la manifestazione per la Palestina. Hai seguito quello che è successo?
Io sono pro Palestina, posso dirti solo questo.
In una barra dell’album dici di non essere disposto a venderti al pop italiano. Eppure ci sono tuoi pezzi come Ottobre e Dove 6 che potremmo considerare pop italiano…
La differenza è che le canzoni le scrivo ancora io, mentre molte persone si definiscono artisti ma non scrivono manco le loro canzoni, capito? E comunque i pezzi che citi non sono pop, ma un rap più ritmato in stile anni 2000, alla Jay-Z e Beyoncé.
A un certo punto compare una voce che annuncia che questo sarà l’ultimo disco italiano di Rondo…
Sì, mi sono un po’ stancato di seguire le regole che seguono tutti. A dire il vero non le ho mai seguite, è un’esigenza d’artista, non mi piace stare nella linea dove stanno tutti.
Sono sempre andato controcorrente, mi eccita distinguermi dalla massa. Poi c’è il fatto che in Italia siamo 60 milioni di persone, in italiano parlano forse 80 milioni di persone nel mondo, quindi se vuoi farcela nel mondo, se vuoi arrivare a tante persone devi capire che la musica è un fenomeno globale. Per questo Mattia è il mio ultimo album in Italia per almeno tanti, tanti, tanti anni. Non ho paura di rischiare nella vita, sarà una nuova esperienza: è come se riparto da capo.
Già ascoltando Mattia si capisce che vuoi essere il più americano tra i rapper italiani…
Io sono un italo-americano.
In che senso? Sei nato qui
Nell’anima. Ho un lifestyle molto americano, da quello che mangio, alle macchine che guido, alle donne con cui esco, alla musica che faccio. Però c’è sempre un tocco di italianità dentro…
Che fine farà il progetto Seven 7oo, il collettivo di cui fai parte insieme a Sacky, Vale Pain, Neima Ezza, Keta e Kilimoney?
Non so di cosa stai parlando.
Ok… Nonostante i tuoi progetti futuri fuori dall’Italia, credi sempre che Milano sia la capitale della trap?
Sì, Siamo noi il punto che muove tutto. Senza Milano non esiste Italia.
In una vecchia chiacchierata che avevamo fatto qui su Rolling avevi detto che non eri un maranza. Ma sempre più spesso il tuo nome e quello di altri trapper è associato ai maranza, sei nelle loro playlist…
Questo succede perché i giornalisti non fanno il loro lavoro e probabilmente non sanno farlo.
C’è un brano, Kefir, dove mi sembra che provi a tirare fuori il tuo lato più intimo…
Non riesco a fingere, quindi in base al mio stato d’animo entro in studio e mi sfogo Se quel giorno sono preso male non riuscirò ad andare in studio e cantare di fiori e di quanto la vita sia bella. Il kefir aiuta a pulire l’intestino e il senso del pezzo è purificarsi scaricando tutto, facendo una confessione.
Sei di San Siro e nei tuoi video si vede più volte lo stadio. Adesso si parla di demolirlo per costruirne uno nuovo, sei d’accordo?
Assolutamente no. Mi troveranno lì con le catene davanti alla porta, non possono buttarlo giù, sono pazzi. Lo fanno solamente per i soldi, ma non capiscono che stanno cancellando un pezzo storico di Milano e nessun valore monetario potrai mai ripagare la bellezza di quello stadio.
È un’icona.













