È difficile pensare a Jimmy Kimmel come a un canarino o immaginare Stephen Colbert in una miniera di carbone, ma eccoci qui.
Avendo lavorato nei programmi televisivi della seconda serata durante la presidenza dell’icona repubblicana più venerata del nostro Paese, Ronald Reagan, so in prima persona quanto siano bizzarre le molestie ai conduttori di talk show da parte della Casa Bianca. Gran parte dello staff del Late Night with David Letterman non era fan di Reagan o delle sue idee politiche. Pertanto, lo criticavamo regolarmente con toni satirici. Eppure non abbiamo mai sentito una parola di lamentela da nessuno nell’amministrazione Reagan. Lo stesso vale per la struttura aziendale che gestiva entrambe le reti su cui il signor Letterman esercitava ogni versione della libertà di parola.
Una volta ho addirittura curato un servizio nel programma di Letterman sulla NBC intitolato Test the Censors, in cui abbiamo intenzionalmente violato, di fronte a un pubblico in studio, tutte le regole di censura del Department of Standards and Practices della NBC. Abbiamo quindi chiesto ai censori di fare la loro parte con il video finale, in nome di un contenuto accettabile per la rete, così che tutti potessimo apprezzare il loro lavoro. I censori non furono contenti di questa premessa: preferirono lavorare con una mano invisibile. Ma dopo qualche lamentela, assecondarono il gioco. La versione del pezzo che il pubblico a casa vide quella sera era completa della reazione del pubblico in studio alle battute originali, insieme a una versione che ora era piena di bip, timbri e X per coprire il materiale offensivo. (E a proposito, una delle cose censurate fu un medico che pronunciava la frase “Perché una donna abbia un orgasmo…”. E questo perché gli standard delle trasmissioni e della comunità sono in continua evoluzione. Negli anni ’50, la parola incinta fu rimossa da Lucy ed io.)
Quindi cosa rendeva le cose diverse allora? Be’, è sempre stato parte della tradizione americana che scrivere battute sugli squilibri nella struttura di potere sia il fulcro stesso della comicità, come ogni altra amministrazione nella Storia di questo Paese sembra aver capito. Se si analizza l’architettura della maggior parte delle battute, si scopre che sono costruite attorno all’idea di livellare il campo di gioco dando voce ai più deboli. Questo è ciò che si chiama “punching up“. Al contrario, “punching down” significa prendere in giro i vulnerabili e considerarli poco divertenti e di cattivo gusto. Un esempio di “punching down” è stato dimostrato dal Presidente Trump durante il suo primo mandato, quando ha imitato un disabile che non gli piaceva. E poi ancora quando lui e i suoi socievoli compagni hanno fatto “battute” sull’82enne Paul Pelosi, che ha subìto fratture craniche dopo essere stato aggredito nel cuore della notte nella sua casa da un seguace del movimento MAGA malato di mente armato di martello.
Ma quello era allora, e questo è adesso. Da quando Trump e la sua affascinante banda di malfattori del Project 2025 hanno iniziato il loro secondo mandato, molti di noi sono rimasti catatonici, bloccati in un fermo immagine senza fiato, osservando con apprensione i suoi tentativi di rimodellare quella che un tempo era la parte preferita di molti della Costituzione, il Primo Emendamento, in modo che protegga una sola voce: una voce di lode sincronizzata che esalta la grandezza di ogni singolo quark che compone il suo magnifico essere, dalle sue sentite espressioni di odio per i suoi avversari ai suoi soliloqui sul suo amore per quell’espressione arcaica che chiameremo “generi alimentari”.
Ed è per questo che non c’è nessuno in nessun campo (o prato o prateria, se è per questo) che faccia affidamento sull’espressione di sé come strumento primario che non abbia immediatamente sentito il gelido dito del mietitore conficcarsi nella gabbia toracica quando ha sentito parlare dell’evidente truffaldino tentativo di ottenere favori politici che è stata la sospensione di Jimmy Kimmel da parte della ABC/Disney.
Dopo aver saputo che Kimmel sarebbe tornato in onda, mi sono venute in mente due cose: 1) non dovrà certo pianificare un resoconto per il suo ritorno, visto che una standing ovation occuperà l’intera ora. E 2) quanto tempo abbiamo a disposizione prima che ciò accada di nuovo?
Quelli di noi che hanno trovato conforto nel ridere del comportamento infantile e narcisistico del signor Trump, finora hanno avuto almeno il permesso di fare battute sulla sua cavalcata di follia, comicamente non presidenziale e scandalosamente analfabeta. Le risate offrono un momentaneo sollievo dallo stress di vederlo colpire a martellate quelli che pensavamo fossero i pilastri indistruttibili della democrazia.
Ma mentre Ronald Reagan a volte sapeva essere disarmantemente autoironico, il Team Trump è troppo minacciato da tutto per tollerare l’umorismo. Quindi, prevedibilmente, ora ha alzato la posta in gioco affermando, senza timore di ritorsioni, che ai media che lo criticano dovrebbero essere revocate le licenze. Forse immagina che i Padri Fondatori che ratificarono il Primo Emendamento nel 1791 lo incontrarono durante una seduta spiritica e furono felicissimi di apprendere che tra 234 anni un costruttore immobiliare avrebbe definito più chiaramente cosa significasse realmente “libertà di parola”.
Il che mi porta alla domanda sul perché tutto questo sia passato da una battaglia a palle di neve a una valanga autoritaria a una velocità così fulminea. Certamente la maggioranza inquietantemente antidemocratica della Corte Suprema ha accelerato il processo, dando a questo Presidente l’idea anticostituzionale che possa fare ciò che gli aggrada senza interferenze. Ma questa è solo una lentiggine nell’ombra gigantesca proiettata dalle fusioni multimiliardarie tra le grandi aziende mediatiche che, non a caso, stanno avvenendo dietro le quinte di entrambi gli attacchi dei talk show, rendendo pochissime persone più ricche di quanto la maggior parte di noi possa immaginare e richiedendo un cenno di approvazione da parte di Trump e soci per essere completate.
Il primo ha visto Stephen Colbert sacrificato sull’altare della tanto chiacchierata fusione tra Paramount Global (il conglomerato proprietario della CBS) e Skydance Media, che ha messo altri miliardi nelle tasche della miliardaria magnate dei media Shari Redstone (ex presidente di Paramount Global) e ha creato una nuova entità di cui nessuno ha mai avuto bisogno, nota come “Paramount, A Skydance Corporation”. Per un minuto, ho sognato che la settantenne Shari, già incredibilmente ricca, potesse avere dentro di sé una serie di ideali democratici, nati da una comprensione condivisa di cosa fosse l’America prima di tutto questo business che la rendeva di nuovo grande. Ah, ah, ah. Lo so. Mi stavo dimenticando di guardare il suo lato. Perché un miliardo di dollari non basta più come una volta. Quindi, poniamo che siate interessati ad acquistare le auto più costose del mondo. Con solo un miliardo da spendere, sareste imbarazzantemente carenti nel tentativo di competere con il Sultano del Brunei, che possiede una collezione di circa settemila veicoli per un valore di oltre CINQUE miliardi. Che scelta avete se non quella di svendere il Primo Emendamento?
Comunque, il prossimo in lizza era Jimmy Kimmel, sacrificato sull’altare della fusione da 6,2 miliardi di dollari, molto meno chiacchierata, tra Nexstar e Tegna, due parole che non avevo mai sentito prima. E, guarda caso, un’altra fusione che richiede l’approvazione di Trump e soci per creare un conglomerato tentacolare e onnipotente di 265 emittenti televisive in 44 Stati. Al momento in cui scrivo, entrambe le società hanno intenzione di continuare a non trasmettere Jimmy Kimmel Live! (poi tornato in onda il 23 settembre scorso, ndt).
E questo ci porta a Quinto potere, il film del 1976 scritto da Paddy Chayefsky, che gli valse l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale.
Qualche mese fa, mi è stato chiesto di partecipare a un documentario su Chayefsky (Paddy Chayefsky: Collector of Words, prodotto da HBO), così ho rivisto la sua opera più famosa per la prima volta dalla sua uscita. Sono rimasta sbalordita dal modo in cui prevede questo momento così chiaramente. Soprattutto nel discorso pronunciato dal potente presidente della multinazionale proprietaria dell’emittente omonima e che impiega quel giornalista “incazzato nero” e scontento di nome Howard Beale. Poiché Beale ha appena scoperto un’enorme fusione in corso tra la sua emittente e i sauditi, ha iniziato a esortare il suo pubblico a fare pressione sulla Casa Bianca affinché annulli l’accordo. Così il presidente dell’azienda, infuriato, lo convoca in una sala conferenze buia e intimidatoria, dove affronta un rimprovero minaccioso, che inizia così: “Si è intromesso nelle forze primordiali della natura, signor Beale”.
E continua: “Sei un vecchio che pensa in termini di nazioni e popoli. Non ci sono nazioni. Non ci sono popoli. Non ci sono russi. Non ci sono arabi. Non ci sono terzi mondi. Non c’è Occidente. Esiste un solo sistema olistico di sistemi, un vasto e immanente, interconnesso, interagente, multivariato, multinazionale dominio dei dollari. Petrodollari, elettrodollari, multidollari, Reichsmark, rin, rubli, sterline e shekel. È il sistema monetario internazionale che determina la totalità della vita su questo pianeta… Questa è la struttura atomica, subatomica e galattica delle cose oggi! … Non esiste l’America. Non esiste la democrazia. Esistono solo IBM, ITT, AT&T, DuPont, Dow, Union Carbide ed Exxon… Non viviamo più in un mondo di nazioni e ideologie, signor Beale. Il mondo è un’università di corporazioni, inesorabilmente determinata dagli immutabili statuti aziendali.”
È sia una profezia terrificante che il perfetto inno che Elon e Zuck avrebbero potuto ascoltare a ripetizione nelle loro cuffie in palestra.
Sì. Paddy Chayefsky aveva previsto questo momento cinquant’anni fa. Anche se credo che se l’avesse scritto oggi, avrebbe aggiunto “e una piccola confraternita internazionale di oligarchi miliardari le cui priorità sono le uniche che contano davvero”.
Quindi ora credo che tocchi a noi altri capire come scrivere insieme un seguito più umano e più costituzionale.
Merrill Markoe è un’autrice di commedie, scrittrice e saggista vincitrice di un Emmy. Nel 2020 ha ricevuto il Paddy Chayefsky Laurel Award, il più alto riconoscimento della Writers Guild of America West per la scrittura televisiva.













