Wonderwall compie 30 anni e lo fa in un clima trionfale. Viene celebrata in una nuova versione live, a Dublino (che è un feudo Oasis poco inferiore a Manchester, come anche Edimburgo: nei posti in cui schifano Londra, i Gallagher sono eroi del popolo). Come è accaduto ovunque nel 2025, si sente il pubblico che esultante intona come un inno le parole di un testo che paradossalmente è l’antitesi di una gloriosa convinzione. Forse (maybeee) c’è qualcuno al mondo che ci salverà. In effetti potremmo osservare che la parola meno rock del mondo è “forse”, definitivamente. Forse.
1995
Quando questo brano di un gruppo di cui si sapeva ancora piuttosto poco entrò nelle playlist delle radio, e possono testimoniarlo tutti quelli che lavoravano nelle emittenti dell’epoca, riuscì subito ad attecchire, facendosi notare in mezzo a un vortice di pop, techno, rock post grunge, hip hop. Non badate ai giornalisti inglesi (sapete, anche loro sono sciocchi come noi), che insistono che quando fu pubblicato il singolo non andò al numero uno nelle charts. Se c’eravate, ricorderete che negli anni ’90 nessuna persona sana di mente comprava i rari CD singoli, specie quando l’album era entrato in casa da mesi. E se c’eravate, ricorderete anche che il 1995 era l’anno dei Take That ma anche di Alanis Morissette, mentre al numero uno negli Stati Uniti andavano gli album di Tupac, Alice in Chains e Smashing Pumpkins; il pezzo onnipresente nelle radio e su MTV era Gangsta’s Paradise di Coolio. In un contesto simile, nessun sapientissimo producer avrebbe consigliato un pezzo come Wonderwall, una roba col mellotron sopra una chitarra acustica e una batteria che quasi non si sente. Non era la cosa ovvia da fare.
2025
Trent’anni dopo invece il mondo concorda sul fatto che l’ovvietà di Wonderwall sia uno dei suoi tratti più tipici. Oggi è un meme, e come capitato per anni con Smoke on the Water dei Deep Purple, deridere quelli che la suonano denota un formidabile senso dell’umorismo. È una delle sole tre canzoni degli anni ’90 ad aver superato i due miliardi di ascolti su Spotify (le altre due sono Smells Like Teen Spirit dei Nirvana e Iris dei Goo Goo Dolls), superando le barriere generazionali della piattaforma neroverde. Tra quelli che in questi decenni l’hanno incisa o eseguita in concerto, per devozione o per scherzo (o tutti e due insieme, che fa rima con meme) ci sono Killers, Jay-Z, Robbie Williams, Ed Sheeran, Ryan Adams, Brad Mehldau, Bring Me the Horizon, Paul Anka, Cat Power, David Guetta, Thom Yorke, Lana Del Rey, Harry Styles, Mick Jagger e Courtney Love. E un numero incalcolabile di musicisti di strada. Al di là delle cover, su questa canzone tutti prima o poi hanno detto la loro, forse anche voi. Qualcuno per salvarla. Qualcuno per stroncarla.
Quelli che la salvano
«Vorrei averla scritta io» (Alex James, Blur). «Scrivere pezzi semplici è difficilissimo. Se senti Noel che la fa da solo, chitarra e voce, è incredibile come ti possa arrivare quando sei a nudo e vulnerabile» (Lars Ulrich, Metallica). «È tra i pezzi che vorrei avessimo scritto» (The Edge, U2). «Chiunque ne senta il ritornello ha voglia di unirsi. Ho sempre trovato interessante che il titolo sia una parola che non esiste» (Aloe Blacc). «Non ho la minima idea di cosa sia un wonderwall. Però lo capisco» (Chris Martin, Coldplay).
Quelli che la stroncano
«Non mi piace particolarmente. Cos’ha di così incredibile? È pazzesco, ovunque nel mondo la gente la canta, ma non è per niente la mia preferita, Cigarettes and Alcohol è molto meglio» (Noel Gallagher). «All’inizio mi faceva vomitare, ho detto subito: che cazzo è ’sta roba fonky? Era una roba alla Police, alla Sting. Preferisco roba più forte. In parecchi concerti l’ho presentata dicendo “Ecco un pezzo che a qualcuno di voi non piace”, ma poi la gente va in delirio» (Liam Gallagher).
Come vedete, magari voi pensate di essere hater di Wonderwall, ma forse (maybeee) non siete mai stati sprezzanti quanto i due fratelli esplosivi, per una volta concordi. Forse.
Perché in realtà, dopo 30 anni di sentenze, qualche riflessione in più è giusto farla, anche e soprattutto quando si tratta di spararla grossa, attività nella quale pochi rivaleggiano coi due Gallagher. Lo stesso Noel, per esempio, dopo aver garantito che l’aveva scritta in treno, in cinque minuti, come omaggio alla moglie, ci ha messo anni prima di ammettere di averci girato attorno per anni, dopo che l’ispirazione iniziale era venuta da una groupie con cui si era intrattenuto dopo un concerto. «Certo, secondo voi dovevo dire no, guardate, non è una dedica alla donna che sto per sposare, ma a una che un anno prima in una stanza di albergo mi aveva dato un sasso dicendo “Questa è la tua pietra dei desideri, forse potresti farci una canzone”?». La sua spiegazione più ambiziosa resta: «Parla di un amico immaginario che arriva a salvarti da te stesso».
È facile dire «è facile»
L’AI di Google, che mette insieme tutto quello che sente dire in giro (dicono sia intelligenza) sostiene: “La canzone utilizza una serie di accordi di chitarra semplici e ripetitivi, rendendola accessibile anche per i musicisti meno esperti. La melodia orecchiabile e il testo hanno un forte impatto emotivo, incoraggiando spesso il pubblico a cantare”. Ma è davvero tutto così semplice?
In realtà, è vero che suonarla a casa di amici è possibile per chiunque strimpelli una chitarra, ma solo se non si ha la pretesa di farla identica all’originale. Ci sono un paio di microvariazioni su cui molti spartiti online o tutorial glissano. «Qui ho lasciato un dito dall’accordo prima, e subito dopo ho pensato di mettere il mignolo qui su questa corda», spiegava anni fa Noel, chitarra alla mano, a George Martin, che di geni digiuni di pentagramma, ne sapeva qualcosa. Nella versione incisa nell’estate 1995 per What’s The Story? (Morning Glory), grazie alla fusione di tre chitarre acustiche (e una elettrica, camuffata in mezzo) i suoi accordi creano un gioco di dissonanze e sospensioni tra minori e maggiori che creano spazio per chi ascolta. Invitando chi passa a guardare nel wonderwall, e scorgerci quello che vuole.
E sembra anche facile da cantare perché la voce di Liam pare a tanto così dall’intonazione sgraziata del vostro amico ubriaco, ma è stata deliberatamente compressa e allungata in produzione per esaltare il timbro dronante, tanto per usare un termine che mandava in estasi i critici indie rock. Il cantante, all’epoca ancora 22enne, sembra già farsi beffe di quelli che lo imitano. Le note con cui parte paiono fondersi in una sola, ma ciò aumenta il senso di aspettativa per quando inizierà a salire ed entreremo tutti in coro – cosa che nella canzone, altro paradosso, non succede: l’unico vocalist è lui, Noel non apre bocca. Anche se in origine avrebbe dovuto cantarla lui.
Il senso di piattezza, di monotonia esistenziale e paura di illudersi è una delle chiavi della canzone sia nel testo che nella ritmica: la chitarra apre facendo due passi, poi una pausa, poi prendendo più sicurezza, ma a un certo punto tutto si ferma di nuovo, in quieto sconforto. Salvo poi subito ripartire aggiungendo qualcosa, per esempio la batteria del nuovo arrivato Alan White, uno shuffle di sottofondo che se isolato, ha più affinità con certi brani hip hop o dance dell’epoca che con i canoni rock o pop. Non c’è nemmeno l’assolo di chitarra, Noel lo sostituisce con le cinque note di piano ripetute di continuo, sempre uguali, nel finale.
Il basso invece c’è, ma quasi impercettibile: distortissimo e infastidito, brontola cupo nello scantinato del pezzo. A suonarlo è sempre Noel Gallagher, cosa che potenzialmente avrebbe escluso ben due componenti della band dalla canzone: il chitarrista Paul “Bonehead” Arthurs e il bassista Paul “Guigsy” McGuigan. Il quale tuttavia si impuntò, voleva esserci, cosa su cui insisteva anche Liam (che peraltro, avrebbe potuto rimanere fuori a sua volta: fu lui a scegliere di cantare Wonderwall, lasciando Don’t Look Back in Anger a Noel). La reintroduzione di McGuigan portò a un altro degli elementi decisivi del brano: il produttore Owen Morris lo mise al mellotron, impostò il registro nella modalità violoncello, e gli mostrò le note da suonare. Così, il piano chiude il sipario sulla canzone, ma è il mellotron a esalare l’ultimo lamento.
Il senso di malinconica monotonia e l’eco di uno strumento beatlesiano che avvolgono la canzone sarebbero poi stati rilanciati dall’uso del bianco e nero nel video (salvo pochi dettagli colorati), con le immagini del giradischi che suona (col vinile che all’epoca stava morendo, ci dicevano), e il clown e il giocoliere che sembrano evocare un Magical Mystery Tour completamente sbiadito.
E già che ci siamo.
Sì, certo, i Beatles
«Se accusi Noel di aver copiato i Beatles, lui lo prende come il più grande complimento che gli si possa fare». In Wonderwall non ci sono fotocopie esplicite, a volte fatte ghignando (come l’intro di Imagine in Don’t Look Back in Anger). Ma come nella cultura dei campionamenti che lo circonda, Noel Gallagher prende dei frammenti e decide di rielaborarli: l’allusione (molto fine) nel testo a The Long and Winding Road, il dogma del “backbeat” di John Lennon che diventa una parola della canzone ma anche un invito al proprio batterista, il succitato mellotron. E poi ovviamente il titolo del pezzo. A livello embrionale era stato a lungo Wishing Stone, come la pietra donata dalla giovane donna nell’albergo. Fino a quando in casa sua non era passato davanti al poster del film Wonderwall (in italiano Onyricon), del quale George Harrison aveva curato la colonna sonora. Un film del 1968 con Jane Birkin, nel quale compaiono (di passaggio) due ragazze tendenzialmente onnipresenti nella Londra dell’epoca: Anita Pallenberg e Amanda Lear.
«Nel film c’è un tipo che tramite un buco nel muro sente la musica strana ed esotica che viene dall’appartamento di fianco al suo, poi inizia a spiare la ragazza che ci abita e la sua vita. Nel film dice che quel muro è il suo muro delle meraviglie» (Noel Gallagher, 2022). Non è politicamente correttissimo, però non guardate noi: era l’Inghilterra repressa degli anni ’60. Il punto è: la presenza di un muro tra noi e quello che sogniamo. Forse. E a questo punto, col vostro permesso, recuperiamo un ospite illustre chiamato in causa all’inizio dell’articolo.
La lezione del prof Sting
Ricordate quel commento di Liam, all’inizio dell’articolo, sul fatto che il brano gli ricordava i Police? Caso vuole che in un’intervista del 2021 al musicista e YouTuber Rick Beato, Sting abbia detto: «Quello che noto è che oggi la struttura delle canzoni è semplificata. Il bridge sta scomparendo. Ma per me il bridge (o pre-ritornello) è una terapia. Nella gran parte della musica attuale hai una struttura circolare, ti riporta dove stavi già e non dà fastidio alla canzone successiva. Ma non ti libera. Ti lascia nella tua trap, potremmo dire. Non ti dà la sensazione che ci sia un’uscita dal tuo disagio. La musica dovrebbe indicarci una possibilità, e la musica contemporanea al momento non lo fa».
È difficile credere che Noel Gallagher, che doveva incidere a tutta velocità un album per sfruttare il successo del disco di debutto, abbia intenzionalmente ragionato su come strutturare una canzone per farne lo strano mantra di più generazioni. Una formula che tentasse di riunire tutti gli elementi che hanno funzionato, porterebbe a un drammatico fallimento. Eppure, il suo istinto di autore e il prezioso sostegno di Liam Gallagher e Owen Morris hanno consentito di ottenere, in otto ore di lavoro in uno studio in Galles, quello che i più acclamati matematici della musica non otterrebbero mai, scavando coi loro algoritmi nelle profondità delle loro banche dati sonore.
Wonderwall è abbastanza indefinita e generica da tirarci dentro, ma i motivi per cui la gente ci rimane da trent’anni – e ogni anno ne arriva di nuova, più giovane – potrebbe essere che il sentimento ispirato dai dettagli presenti nella musica, nel ritmo, nell’arrangiamento, trova un desiderio di catarsi. Il ritornello è sulle stesse note della strofa – il bridge ha mascherato la cosa e non ce ne siamo accorti subito. Però alla fine quello che stiamo cantando in coro abbracciati con un sorriso ebete su quelle stesse note sulle quali poco fa ci rendevamo conto che anche oggi non è stata la giornata giusta e la strada è semplicemente piena di vento e comunque siamo oggettivamente dei cani a dire le cose, è che continuiamo a sperare: potrebbe arrivare qualcuno e salvarci. Forse.













