Il tour degli Oasis, da disastro annunciato a festa gioiosa | Rolling Stone Italia
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Il tour degli Oasis, da disastro annunciato a festa gioiosa

Reduce da un loro concerto, il comico e attore Alex Edelman racconta perché per i Gallagher e il loro pubblico non è più tempo di ironia, cinismo e menefreghismo. E perché queste canzoni ci dicono qualcosa sul 2025

Il tour degli Oasis, da disastro annunciato a festa gioiosa

I Gallagher salgono sul palco durante la tranche nordamericana del tour degli Oasis

Foto press

Il mio momento preferito del concerto degli Oasis non è stata Wonderwall e nemmeno Champagne Supernova. Non sono stati i fuochi d’artificio alla fine, né le battute di Liam Gallagher. La cosa che più mi ha colpito quando li ho visti al primo di due concerti al MetLife Stadium di East Rutherford, New Jersey è successa di fronte a un chiosco della Carvel al primo piano dell’atrio. Due tizi si sono incrociati, si sono indicati il petto a vicenda e si sono abbracciati. Perché l’ha fatto? Perché indossavano la stessa maglietta del tour degli Oasis del 1998.
«Originale?».
«Chiaro!».

I concerti dei Gallagher non sono semplicemente il tour dell’estate. Si sono anche rivelati eventi dallo spirito sorprendentemente positivo e questo lo dicono tutti. «Ci sono vibrazioni del New Jersey nell’area!», ha detto Liam appena salito sul palco. «Ci sono vibrazioni degli Oasis nell’area!». Chi avrebbe mai pensato che le vibrazioni del Jersey e quelle degli Oasis potessero essere così… be’, tenere e allegre?

Solo qualche anno fa anche solo l’idea di concerto degli Oasis era improbabile. I Gallagher hanno passato buona parte degli ultimi 15 anni a insultarsi. Liam twittava foto di Noel accompagnate dalla dida “potato”, mentre Noel descriveva Liam come inutile, sacrificabile, difficile, ingrato e quant’altro. Il mio insulto preferito di questa faida – e forse di tutte le faide – è stato quando Noel ha descritto Liam come una persona talmente frustrata e impotente da sembrare «un uomo con una forchetta in un mondo di zuppa».

Un insulto di prima categoria, sì, ma anche deprimente. Per chi teneva al gruppo, la situazione dei Gallagher era parte integrante della tempolinea spezzata in cui ci troviamo oggi: un idiota come presidente, alluminio nei deodoranti e una delle band più fighe del mondo che non va in tour perché i fratelli non riescono a smettere di menarsi sul sedile posteriore.

E poi, all’improvviso, quest’ultima cosa s’è sistemata.

Gli Oasis hanno annunciato il tour. Come decine di migliaia d’altre persone, ho preso i biglietti, ho pianificato come arrivare alle paludi del Jersey da New York e ho provato a non eccitarmi troppo, nonostante i video entusiasmanti dei concerti fatti nel Regno Unito che continuavano ad apparirmi nella mia timeline. «C’è la possibilità» diceva un amico «che sul palco manco ci arrivino».

Magari, come ha ipotizzato Sloane Crosley con cui sono andato al concerto, i due hanno camerini separati, ma quando salgono sul palco mano nella mano tutti quanti pensano più o meno la stessa cosa: «Sta succedendo davvero». Puoi anche non limitarti a pensarlo. Puoi urlarlo, come ha fatto il tizio davanti a me.

È una cosa speciale, questa. La camminata che porta allo stadio e che passa per l’immensa distesa del parcheggio sembra quella che porta dalla metro a Wembley. C’è gente che fa tailgaiting, ci sono banchetti di merchandise non autorizzato e ovviamente c’è un sacco di gente con cappelli da pescatore in testa. Ci sono i colori del Man City e le maglie dell’Adidas griffate Oasis che spariscono da quasi tutti i banchetti prima ancora che i Cage the Elephant finiscano il set di apertura. Un’esperienza semi-religiosa, se la religione fosse “hooligan del calcio.”

E comunque gli Oasis suonano alla grande. La voce di Liam è come sui dischi, come la senti in cuffia, come la ricordi quando mettevano gli Oasis come sottofondo alle prime feste in casa in cui ti sei sbronzato. Fanno principalmente le hit, soprattutto pre-1996, quelle più facili da cantare tutti assieme. Un momento inaspettato è Half the World Away, sigla di una sitcom britannica, un pezzo che non è mai entrato in classifica negli Stati Uniti, ma il cui ritornello viene cantato entusiasticamente dal pubblico quando la band gli dà modo di farlo.

Vedi il concerto e vedi gente che lo aspettava da anni. L’uomo davanti a me era un inglese sui 60, non ho capito il nome quando me l’ha urlato all’orecchio, ma lo chiamerò Terry. Quando ha visto gli Oasis per la prima volta, mi ha raccontato, aveva appena incontrato la moglie e i figli esistevano solo nella sua immaginazione. Con lui allo stadio c’erano la moglie e una figlia che lavora per il Gotham FC, la squadra della National Women’s Soccer League della tri-state area. Era ebbro di Heineken, di Brit pop e della macchina del tempo in cui si trovava. «Questa» mi ha detto Terry quasi in lacrime «potrebbe essere la serata più bella della mia vita».

A giudicare dalla produzione, che è sì studiata, ma sorprendentemente essenziale al di là del volume assordante e dei fuochi d’artificio finali, si capisce che gli Oasis sanno esattamente cosa sono questi concerti: un esercizio collettivo di nostalgia senza la triste patina di chi è finito. Si viene per vedere i ragazzi di nuovo insieme e star lì a cantare con loro. «Vi sarete chiesti cosa si prova a cantare questo con 60 o 70 mila fan degli Oasis? Tra poco lo scoprirete», ha detto Noel prima di Don’t Look Back in Anger. In verità non me l’ero mai domandato, ma farlo mi è piaciuto un sacco.

Noel, che se n’è stato quasi del tutto zitto per la prima metà del concerto, lasciando quasi tutto lo spazio al fratello minore, mi è sembrato sinceramente emozionato. «Nessuno ha fan del genere. Nessuno».

Non è ovviamente insolito che la gente canti a un concerto, soprattutto in uno stadio, ma l’assenza di inibizioni agli show degli Oasis è notevole. Il profilo di questi due mancuniani – soprattutto di Liam – è definito anche dal loro atteggiamento di menefreghismo. Ma non si placa la lotta fra tra Caino e Abele, non si vende un milione di biglietti più velocemente di quanto ci voglia a guardare un episodio di Friends e non si creano infinite versioni di merchandise personalizzato per divertimento. Non si pagano 40 dollari per il parcheggio per divertimento. Non si guida fino nel New Jersey per divertimento. Lo fai perché vuoi farlo, e perché non te ne frega più niente da decenni di fingere che non lo vuoi.

Gli Oasis nel 1996 sembravano sovversivi per come esprimevano in modo esplicito il desiderio di diventare delle rock star. Gli Oasis nel 2025 sono sovversivi perché capiscono che è un po’ sciocco volerlo, ma si guardano bene dal giudicare il periodo in cui lo volevi anche tu. In questi concerti, mentre la gente urla – urla! – durante Cigarettes and Alcohol con altre 50 mila persone, e qualcuno cerca il testo su Google, non puoi proprio fingere che non te ne importi niente. Il cinismo è per chi ha scelto di essere ironico fino in fondo, per chi vive costantemente online, e il motivo per cui questo tour è un must è semplice: per qualche ora in uno stadio, mentre canti a squarciagola Supersonic e altri pezzi, sei talmente felice di non essere intrappolato nel 2025 che ti sembra possibile tornare indietro nel tempo.

Ci sono vibrazioni del Jersey nell’area! Ci sono vibrazioni degli Oasis nell’area!

Alex Edelman è un attore, scrittore e comico vincitore di Tony e Emmy Awards. Attualmente è in tour, scrive per e recita in The Paper, spin-off di The Office. Da Rolling Stone US.

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