Jehnny Beth, il bello di essere radicale | Rolling Stone Italia
Istruzioni per rimanere punk

Jehnny Beth, il bello di essere radicale

Intervista alla rocker, dj, attrice (presente ‘Anatomia di una caduta’?). Fiera propugnatrice del do-it-yourself, canta di amore e violenza e guarda sempre avanti. «Riunire le Savages vorrebbe dire tornare in una relazione tossica»

Jehnny Beth, il bello di essere radicale

Jehnny Beth

Foto press

Jehnny Beth è tornata ed è un fiume in piena di opinioni sull’attualità, la musica, la vita e la morte. You Heartbreaker, You è il secondo disco da solista dopo il debutto nel 2020 con To Love Is to Live e dopo gli anni in cui ha ridefinito la scena post punk femminile insieme alle Savages. Prodotto dal compagno di una vita Johnny Hostile, You Heartbreaker, You è un disco liberatorio e caustico in cui la francese combina l’urgenza di esprimersi in maniera indipendente col desiderio di fare musica pura e senza compromessi.

Nella chiacchierata che abbiamo fatto a Milano ci siamo addentrate in tutti gli aspetti del suo talento debordante: ci ha raccontato della partecipazione in Anatomia di una caduta, il film di Justine Triet che ha vinto la Palma d’Oro nel 2023, ma anche cosa vuol dire far parte di una band e di come ci si mantiene punk da adulti. «Viviamo in un’epoca buia, piena di drammi e di tragedie barbare. Mi è chiaro che di questi tempi o impariamo a urlare molto bene o impariamo a sussurrare», dice proposito dell’album. E il disco è esattamente questo: 28 minuti di sussurri e grida che ti danno una svegliata sonora.

Partiamo dal titolo dell’album. Con You Heartbreaker, You hai scelto di mettere al centro un punto di vista diverso: non quello del cuore infranto, su cui è stato già scritto di tutto, ma quello del carnefice, dello spaccacuori. Come mai questa scelta?
Wow, non l’avevo mai pensata in questi termini. È interessante. Credo rappresenti la paura che ognuno di noi ha per le cose che ti possono fare chi ti ama e il mondo. Non va inteso per forza in senso romantico. Qualcuno mi ha domandato se le mie sono canzoni d’amore, perché non sono dolci. Penso che tutti abbiamo un cuore che si può spezzare, a volte siamo la parte che viene rotta, a volte quella che rompe. È insito nella vita e c’è qualcosa di bello nel vivere con questa fragilità. A livello personale, ma anche a livello globale. Va accettato.

Il cuore che si spezza nel tuo disco fa riferimento a una persona reale o è un’immagine più ampia, una società che ha perso l’umanità?
Parte del disco vuole proprio riflettere sull’idea di empatia, di quanto e come possiamo relazionarci col mondo. A volte sento che empatizziamo solo con ciò che ci interessa direttamente, il resto lo facciamo per educazione.

Jehnny Beth - No Good for People (Official)

Il periodo Savages lo ritieni concluso o ogni tanto suoni ancora con le altre ragazze della band? C’è stata un’influenza in questo album?
No, non è previsto che torni a suonare con le Savages. Sono state un successo all’epoca perché rispondevano a un bisogno del momento. Non c’erano molte band in quel periodo storico e le persone ne avevano bisogno. Dopodiché sono arrivati gli Idles, i Fontaines DC e tutti hanno detto di essere stati influenzati dalle Savages in un modo o nell’altro. Adesso sono loro che influenzano me, è una cosa ciclica. Le Savages non venivano da una scena precisa. Combattevamo per essere noi stesse. È stato un momento bellissimo, giravamo il mondo e incontravamo persone, ma è stato anche difficile. Le relazioni all’interno della band erano per certi versi tossiche. Ritornare oggi vorrebbe dire tornare in una relazione tossica. Lo dico con tutto l’amore che ho per la band e le ragazze perché voglio loro bene e mi piace quel che abbiamo fatto assieme. Ma il contesto all’epoca era un po’ deleterio. È stata una mia decisione, dovevo salvare me stessa. Avevo fatto tutto ciò che potevo per tenerci insieme. Non mi piace rifugiarmi nel passato, come artisti abbiamo il dovere di pensare che il miglior lavoro sarà il prossimo. Sarà che vengo dal teatro. Mio padre era un direttore di teatro e lì quando hai fatto lo spettacolo, poi è finito. C’è un momento in cui lo presenti al mondo. Funziona, non funziona, non importa. Poi passi ad altri progetti.

Ti possiamo definire una punk. O almeno così ti hanno sempre definito i giornali per descrivere la tua musica, il tuo percorso. Cosa vuol dire essere punk e adulti?
Penso che sia un mix tra non essere conformista e lo spirito do-it-yourself. È stato importante per me tornare ad essere radicale con questo disco. La musica deve essere pura, eccitante, impattante. E devi non sprecare il tempo delle persone. Non sprecare il mio di tempo. Per questo sono tornata a lavorare con Johnny Hostile, solo noi due. Il disco precedente è stato molto collaborativo, ho lavorato con diversi produttori: Flood, Atticus Ross, Romy Madley Croft, Joe Talbot. Avevo la necessità e il desiderio di imparare da altre persone. Con questo disco ho sentito il bisogno di tornare ad essere più centrale, più rilevante. Per questo abbiamo creato con Johnny un ambiente, uno studio, che era anche una casa. Ci mettiamo lì, facciamo le nostre t-shirt. Johnny è bravo a fare le cose con le mani, ha una mentalità DIY. Abbiamo iniziato a creare la musica e l’immagine allo stesso tempo, partendo dalla fotografia analogica. Abbiamo sviluppato le foto. Abbiamo messo i testi sulle t-shirt. Poi siamo tornati a scrivere le canzoni. Devi creare un mondo e sei felice quando lo fai con le tue mani, e credi in te stessa.

La definizione che hai dato di punk vale anche per l’indie: l’idea di essere indipendenti, fare le cose con le proprie mani, seguire una visione propria. Sono due generi diversi, ma hanno in comune lo spirito DIY.
Viviamo in una società capitalista che ti fa sembrare le cose più complicate di quello che sono in realtà. Perché così ti mantiene in un territorio non conosciuto. Ma una volta che sfondi il portone, dopo che che ti hanno insegnato a fare cose per tutta la tua vita, e vedi in realtà come sono fatte, ti rendi conto che non sono complicate come pensavi. Vogliono che paghiamo qualcuno per fare le cose faremmo noi. Non sono contro la collaborazione, ma penso che ci siano tante cose che possiamo imparare a fare.

Hai suonato a Glastonbury quest’anno. È stato un dj set, giusto? Che musica suoni di solito?
Ho fatto già diversi dj set, è stato incredibile, non immaginavo mi piacessero così tanto. A Glastonbury ho aperto per i Kneecap ed è stato un concerto speciale con i visual. L’idea era di portare la musica punk sul dancefloor, ma non suono rock o punk, suono i remix prodotti da Jonny Hostile e porto la mia idea di rock. Grandi beat, a volte un po’ di jungle, drum’n’bass, ma anche techno. A volte suono questo incredibile remix dei Korn, poi uno dei Nine Inch Nails e poi magari un remix della mia Broken Rib. La cosa bella è che puoi sentirle solo in quel momento queste versioni. Trovo che il lavoro di un dj sia simile a quello di un cantante in una band perché ti arrivano informazioni attraverso il tuo corpo su come trattare la musica che suoni. Il linguaggio del corpo è una forma di comunicazione potentissima e le reazioni che ho avuto come dj sono state fantastiche, mi sto divertendo tantissimo.

Io credo che una delle doti più belle che possa avere un dj sia la generosità. Tu porti ovviamente il tuo stile e la tua idea di musica, ma poi devi avere la capace di leggere il pubblico e capire su che lunghezza d’onda è. Quando questo avviene, rappresenta l’alchimia perfetta, è il senso stesso di essere un dj per me.
Hai ragione, è davvero bello, ma c’è un’intera scena ultimamente a cui mi pare manchi un po’ di vita, è come se tutto fosse già stato fatto da tempo e non ti resta che sembrare bellissima e suonare un po’ di techno. Penso che bisognerebbe tornare a portare un po’ di vita e di energia punk, più fresca e divertente. End of The Road ad esempio per me è un festival inglese dove trovi una bella vibe in questo senso.

Foto press

Hai fatto anche cinema. Anatomia di una caduta è un film clamoroso che racconta benissimo come la narrazione sulle donne possa essere manipolata per farle apparire inadeguate e colpevoli. Avete mai parlato di questo tema durante le riprese del film, all’interno del cast?
Non ricordo particolari conversazioni sul tema, ma se vuoi sapere la mia, quando ho letto la sceneggiatura ho capito che era una grande opera d’arte, che la scrittura sarebbe stata impeccabile e che volevo farne parte. Naturalmente non avevamo idea che sarebbe andato agli Oscar, ma non mi ha sorpreso perché è fantastico. Alle proiezioni a Cannes ho visto le reazioni delle persone, che sono state molto forti. Penso che le reazioni al film siano state diverse a seconda del background culturale del Paese che le ospitava. Gli americani volevano sapere se lei ha ucciso lui, anche se non era il punto del film. Gli europei hanno una sensibilità diversa. Del resto guardate chi è stato eletto negli Stati Uniti, hanno i leader che si meritano. Non abbiamo mai discusso del fatto che lei abbia ucciso o meno il compagno sul set. Quello che ho amato è stata anche la relazione che si è creata con Sandra Hüller, la protagonista del film. È una donna incredibile, molto curiosa, mi ha trattata con rispetto ed è stata molto inclusiva sul set. A Cannes è venuta anche al mio dj set. Il film parla della dinamica della coppia, della tensione e della violenza che può esistere in questo sistema. Penso che la coppia sia l’ultimo tabù, ci può essere molta violenza. Dopo aver visto Anatomia di una caduta Johnny ed io abbiamo avuto molto discussioni su questo tema perché siamo due creativi che vivono insieme. E credo che il film sia vicino all’idea di amore e di violenza che c’è anche nel mio disco.

Come riesci a gestire l’energia creativa che hai? E a trovare il modo di incanalarla nelle cose che sai fare?
Non è che ho questa energia, è più che penso di averla (ride). Per esempio, ho appena deciso di fare un film in Brasile lo scorso giugno. Mi piaceva il ruolo, poi se avrò l’energia giusta lo vedremo. Penso spesso al tempo che scorre. Voglio fare più cose possibile prima che sia finita, voglio morire sapendo fare più cose di quelle che so fare ora. Non so se mi sarà utile dove andrò, ma ho sempre fatto cose che mi hanno permesso di imparare. A volte sono spaventata, sì. Sono fortunata ad avere tutta questa energia, ma anche l’abilità di trasformarla in qualcosa di bello. Tutta la mia vita è dedicata al lavoro e alle persone che amo. Ho ridotto la mia vita al minimo, non ho figli, sono una persona libera. Vedo raramente la famiglia. Sto cercando di dedicarmi il più possibile al mio lavoro e questo comporta sacrifici che non tutti sono pronti a fare. È come quando hai un bambino e sacrifichi cose, ma anche quando non li hai, ti sacrifichi per altro.

Sicuramente lascerai una bella impronta su questa terra, al di là di quello che porterai con te in un “altrove”. La maggior parte delle persone muore senza lasciare traccia, con la tua musica e i tuoi film ci saranno tanti semi di te sparsi in giro.
Sì, è vero. Però una volta ho sentito qualcuno dire che è così bello occupare meno spazio possibile su questa pianeta. Mi piace tantissimo l’idea di non lasciare tracce, penso sia stupendo. Le persone dimenticano le cose e io non ho problemi ad essere dimenticata. Anche se l’idea di ispirarle è fantastica. Puoi farlo anche se non sei famosa o se non sei una celebrità. Ognuno di noi lo fa in qualche modo. Sai, quando abbiamo registrato You Heartbreaker, You sono scomparse due persone. La prima è Steve Albini. Aveva un’idea di integrità nel suo lavoro, l’idea di do-it-yourself era ancora molto presente nel suo modo di produrre, nonostante fosse navigatissimo. E poi è morto David Lynch. L’aspetto surrealista dei suoi video lo si ritrova nel mio singolo Broken Rib e probabilmente lo vedrete anche nei prossimi video perché dirigiamo tutto noi.

Jehnny Beth - Broken Rib (Official Music Video)

Che artisti ci sono nella tua playlist in questo momento?
Ascolto un sacco gli Enola Gay. Poi i Sextile, ho fatto una canzone sul loro nuovo disco e anche un paio di concerti, sono stupendi. Gli Underworld, che secondo me fanno ancora una musica incredibile. Kim Gordon, penso che abbia fatto dischi più avantgarde di molti artisti giorvani e sta mescolando musica garage, sub-bass, trap.

Zero pop, quindi.
Oh no, non ascolto pop. Conosco ovviamente i nomi perché mi informo, come Billie Eilish, Chappell Roan, Charli XCX. Le rispetto, ma non ho mai ascoltato musica pop in tutta la mia vita. Tanti miei amici ascoltano musica pop e si vede la differenza tra chi viene dal pop e chi no.

E da adolescente cresciuta in Francia, la French Touch la ascoltavi?
Ho ascoltato gli Air. Non mi piacevano i Phoenix. Ho ascoltato i Daft Punk, ovviamente, e Philippe Zdar che è un mio caro amico ed è morto. Ma penso che la French Touch sia musica fatta da persone ricche. Gli Air scrivono molto bene e hanno un’estetica incredibile, ma mi sono sentita più connessa con il rap, ad esempio  gli NTM. Li trovo più punk, più veri.

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