Mai prima d’ora il “Campovolo” aveva varcato i confini di Reggio Emilia. Mai prima d’ora Luciano Ligabue aveva portato la sua festa al Sud, alla Reggia di Caserta, davanti a 36mila persone. In Piazza Carlo di Borbone – la più grande d’Italia – di fronte al real sito borbonico, Ligabue ha celebrato 30 anni di Buon Compleanno Elvis, 20 anni dal primo concerto-evento di Campovolo e 35 anni di una carriera che ha attraversato generazioni e stagioni della musica.
Già dall’altro ieri, il parco della Reggia si era trasformato nel Ligavillage. Erba sotto i piedi, birre fresche, gruppi di amici stesi sulle coperte, famiglie intere venute da tutta Italia, giovani nati nel Duemila e cinquantenni con la maglietta logora di Buon Compleanno Elvis. Un’aria da festa di paese, ma con la potenza di un evento nazionale. Stand con memorabilia, mostra fotografica, giochi vintage (flipper e calcio balilla), un’area per i bambini, uno spazio cinema, food truck con piatti della tradizione campana, musica diffusa, chitarre acustiche strimpellate sotto gli alberi, cori spontanei. E naturalmente il Bar Mario, quartier generale dei fan più affezionati, che si è trasformato anche in luogo di talk, incontri e dirette social.

Foto: Dino Borelli
Un’attesa durata 48 ore che si è sciolta, con il calar della sera, alle 21:10, tutta in un primo grido collettivo: «Certe notti… la macchina è calda… e dove ti porta lo decide lei…». Lo show inizia con la scritta “La notte di certe notti – please wait” che scorre in stile DOS sullo schermo nero. Poi sale sul palco Little Taver, il Kingo di Radiofreccia, il primo rocker emiliano al secolo Davide Tavernelli, l’anima goliardica del Ligaworld, e inizia un karaoke che è un rito collettivo: Certe Notti, cantata da 36mila voci, mentre sullo schermo scorrono le parole. È il pubblico ad aprire il concerto, come se Luciano volesse ricordarci che questa musica non è più solo sua.

Foto: Dino Borelli
Sul palco con il Liga in total black, jeans, canotta e gilet, si alternano musicisti che hanno condiviso e condividono con lui da sempre i suoi sogni di rock’n’roll: Fede Poggipollini, Max Cottafavi e Niccolò Bossini (chitarra), Luciano Luisi (tastiere), Davide Pezzin (basso) e Lenny Ligabue (batteria). Ma non solo. A questi si aggiungono i Clandestino, la band storica: Max Cottafavi (chitarra), Giovanni Marani (tastiere), Gianfranco Fornaciari (tastiere), Mirko Consolini (chitarra) e Gigi Cavalli Cocchi (batteria). E poi la Banda: Mel Previte (chitarra), Fede Poggipollini (chitarra), Luciano Luisi (tastiere), Antonio Righetti (basso) e Robby Pellati (batteria). È un’orchestra rock’n’roll che attraversa il tempo, un racconto sonoro in movimento.
La corona luminosa sul lato sinistro del palco è il simbolo di Buon Compleanno Elvis. Gli schermi mostrano un’estetica anni ‘90 fusa con visioni da Las Vegas, giochi di neon, rimandi a un’America di provincia e sogno, proprio come l’Emilia-Romagna di quegli anni. Ma anche uno sguardo duro sul presente: durante Happy Hour sullo schermo appaiono leader politici, magnati della tecnologia e astronauti AI-generated che brindano da un “cocktail bar spaziale”, osservando la Terra da un oblò. Putin, Trump, Macron, Von der Leyen. E Sergio Mattarella che alza il calice verso il pubblico con aria pensosa.

Foto: Dino Borelli
Un primo momento di grande suggestione arriva quando, dal palco principale, si stacca un palco mobile. Un’enorme piattaforma, che somiglia a una Cadillac rosso fuoco trasportata da un super truck, si muove lenta lungo il perimetro della Reggia. Sopra, Ligabue e parte della band.
Mentre il pubblico corre a seguirlo da ogni lato, Luciano canta due brani che sembrano scritti per questo viaggio tra la gente: Si viene e si va e Il meglio deve ancora venire. Quando il palco si ferma davanti all’ingresso monumentale della Reggia, Ligabue resta solo, chitarra in mano. Il silenzio è assoluto, fino a quando gli schermi mostrano il messaggio «Basta col massacro a Gaza. Basta col massacro in Ucraina. Basta col massacro in Sudan. Basta con i 56 massacri in corso nel mondo». Durante Le donne lo sanno sullo schermo una galleria di volti femminili rielaborati digitalmente come opere d’arte: Montalcini, Merini, Hack, Loren, Carrà, Strada, Notaro, Cucchi, Paolini… Luciano non dice nulla, lascia parlare le immagini e le note. Ma basta guardarlo per capire che è una delle parti dello show a cui tiene di più.

Ligabue a ‘La notte di certe notti’. Foto: Maurizio Bresciani
La scaletta è un viaggio nel tempo. Lettera a G e Figlio di un cane ci portano nell’intimità ruvida di Nome e Cognome. Non è tempo per noi e Piccola stella senza cielo ritrovano, intatta, la loro potenza emotiva. E ancora: I ragazzi sono in giro, La metà della mela, Lambrusco e pop corn, Il giorno dei giorni. C’è un momento, durante Seduto in riva al fosso, in cui Luciano si ferma e sorride: «È stato facile per Otis Redding scrivere Sitting on the dock of the bay. A Correggio il mare non c’è, però abbiamo i fossi. Io quelli li conosco bene». Risate, applausi. L’ironia è da bar di provincia, ti entra dentro perché è sincera. È tutta lì la forza di Ligabue: raccontare l’Italia dei fossi, dei mediani. E farla diventare epica.
Sotto il palco intanto c’è chi piange durante Hai un momento, Dio?, chi si scatena come se fosse al suo primo concerto quando arriva Balliamo sul mondo, chi si stringe forte durante Quella che non sei. Dopo Urlando contro il cielo il concerto sembra finire. Ma Caserta non ci sta. Urla, chiama, invoca. E lui torna. Con Certe notti, ma questa volta a cantarla con i 36mila c’è anche lui.

Ligabue a ‘La notte di certe notti’. Foto: Maurizio Bresciani
È una lunga coda di festa. Una celebrazione. «Grazie, Caserta. Questa notte me la ricorderò per sempre. Non è stata una semplice data, è stata una prima volta. E certe prime volte non si dimenticano». Poi, l’annuncio: La Notte di Certe Notti tornerà. Il 12 giugno 2026 sarà lo Stadio Olimpico di Roma ad accoglierla. Ma ieri, ai piedi della Reggia, è successo qualcosa che (forse) non si replica. Il palco si spegne, le luci si abbassano. Ma in fondo alla piazza, tra le siepi del parco e i silenzi sospesi del Palazzo Reale vanvitelliano, c’è ancora qualcuno che canta a mezza voce: Certe notti la strada non conta / E quello che conta è sentire che vai…













