Cappelli da cowboy e bandane al collo: il raduno country di Post Malone | Rolling Stone Italia
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Cappelli da cowboy e bandane al collo: il raduno country di Post Malone

La svolta dal rap ai violini degli Appalachi sembra irreversibile: siamo andati al live di un nuovo astro nascente del country, che fa mettere jeans e stivali da cacciatore di taglie anche a chi fino a ieri andava in giro in Air Max

Cappelli da cowboy e bandane al collo: il raduno country di Post Malone

Post Malone

Foto: I-Days

La villa nelle colline di Los Angeles in cui viveva Post Malone fino all’estate 2018 è stata completamente svaligiata dai ladri il 1° settembre dello stesso anno. L’infausto evento deve aver turbato giustamente il cantante (e, a questo punto, ex rapper), tanto da spingerlo a comprarsi una mega tenuta nello Utah e passare principalmente lì il suo tempo, quando non è in tour.

Sarà stato proprio questo il cerino nella polveriera che ha fatto detonare in lui la febbre da country? L’album che è uscito l’anno successivo, Hollywood’s Bleeding, forse il suo capolavoro, già mostrava i primi germogli di una transizione dalla trap al rock melodico. Era uno splendido meticcio, un sunto che poteva trovare almeno un punto in comune con qualsiasi playlist Spotify di chiunque compreso tra i 14 e i 30 anni.

Da lì, questa metamorfosi non solo si è fatta sempre più netta, ma anche irreversibile. Già dai primi cappelli da cowboy, bandane rosse attorno al collo, jeans e stivaloni avvistati tra i fan in direzione Ippodromo a Milano ieri sera, il cambio di rotta è sembrato da subito chiaro. Pochissimi pantaloni baggy, pochissime facce non bianche, tantissima gente che almeno una volta nella sua vita si è fatta un Campovolo.

E proprio come i suoi adepti, che quando urlavano «Pos-ty Pos-ty» ripetutamente scatenavano in lui un ballettino sornione e fiero, anche il cantante si è presentato sul palco dell’Ippodromo perfettamente a tema cavalli. Tutto, dalla gigantesca insegna “Posty Co.” in caratteri western manco fosse il logo del suo saloon, fino alla violinista che aggiunge quel tocco di Appalachi, tradiva una lore che ormai è da qualche anno la cifra stilistica del ragazzo, nato nella lussuosa Syracuse, New York ma cresciuto in Texas.

Post Malone agli I-Days

Quando il tastierista, che ovviamente non poteva che chiamarsi Dirty Dave, accenna un’intro in stile piano da saloon prima di Pour Me a Drink, dal pubblico qualcuno azzarda persino il testo di Albachiara di Vasco, che effettivamente si sposava molto bene con la melodia. Dopodiché, mentre Posty si è messo a cantarla, parallelamente ha iniziato a distribuire a nastro birre al pubblico. Anche grazie al lavoro di un galoppino che faceva avanti e indietro dal palco al backstage. I bicchieri, ça va sans dire, erano quelli rossi da beerpong, che in Europa praticamente non esistono, ma in America sono un’istituzione degli house party e del consumo sfrenato di birra o alcolici vari.

«Cheers, motherfuckers!» è forse l’esclamazione che abbiamo sentito di più ieri sera, insieme a «Ladies and gentlemen», «Thank you so fucking much» e «I fucking love y’all». Mai sentito tante parolacce manco a un concerto dei Lamb of God, mai sentito tanti ringraziamenti manco a un live dei Backstreet Boys. In questo senso, il drunk cringe ha fatto da padrone lungo tutto il concerto, che pure è stato piacevole, con momenti di grande musica suonata dal vivo (batterista spaziale). Ma anche tante volte in cui, con la lingua un po’ impastata dall’etilene, si rivolgeva al pubblico proferendo frasi esistenziali e motivazionali, come quando l’amico un po’ brillo ti liofilizza sputacchiandoti addosso. E Posty sputava platealmente.

A metà tra il lirismo di Vasco, il cringe di Jovanotti, la teatralità di Zucchero ma anche delle doti canore sbalorditive che, spiace per i sopracitati, ha solo lui, Austin Richard Post ha forse trovato la sua dimensione in un punto molto sensibile di un mondo occidentale ormai allo sfascio: un passato splendente, nostalgico, dove un gallone di benzina per riempire il Dodge Ramcharger ti costava 53 centesimi di dollaro.

Anche i pezzi trap degli album più vecchi sono stati diluiti con arrangiamenti classic rock: da Goodbyes a White Iverson. Su Rockstar arrivano fuochi pirotecnici, e il ragazzo tatuato ormai è bello alticcio da improvvisare una serie di flessioni sul palco. Sculetta, si tocca il pacco ben in vista sotto il cinturone. È in formissima, non è più il ragazzo sovrappeso accusato dai rapper neri di appropriazione culturale. Qualcuno (pochi) preferirà il vecchio Post Malone, qualcun altro (tantissimi) il nuovo. Lui, è abbastanza evidente, è dalla parte dei tantissimi.

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