Vale tutto | Rolling Stone Italia
Il cinema

Vale tutto

Una casa sul mare. Due amiche. Una conversazione che comincia dalla prima volta che si sono incontrate. Da allora, non si sono lasciate più. Da grandi attrici che erano (e che sono), sono diventate grandi autrici. Percorrendo insieme una «stradina spaventosa», e gioiosa, fatta di vita, lavoro, incontri, dolore, allegria. E di cinema

Valeria Golino, look: Blazé; gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: Blazé; gioielli: Barbara Biffoli. Foto: Nicholas Fols

Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino fotografate per Rolling Stone. Foto: Nicholas Fols

La cover story realizzata con Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino, co-direttrice del numero speciale di Rolling Stone, Il Cinema, in edicola dal 25 agosto e disponibile nello store online.

PARTE 1 — LE AMICHE

Valeria Golino: … la prima volta ti ho vista camminare da lontano a Locarno, su dei tacchi che erano proprio metafisici, mi sembravi un uccellino su quei tacchi sedici, una specie di donna stupenda… Però all’epoca non ci conoscevamo. Poi ho visto il tuo film, che era Les gens normaux…

Valeria Bruni Tedeschi: … n’ont rien d’exceptionnel.

VG: Sì, Le persone normali non hanno niente di eccezionale.

VBT: Per cui tu mi hai dato il premio…

VG: Sì, quell’anno ero in giuria a Locarno – peraltro una super giuria: ci stava Kate Bigelow, e Olivier Assayas, e Francesco Clemente – e ti abbiamo dato il premio perché eri una roba sorprendente, ho visto una cosa di fronte a cui ho pensato: “E mo’ questo cos’è?”. Vedevi proprio il grande attore, il cavallo di razza. Poi hai lavorato con Fabrizio [Bentivoglio, in La parola amore esiste], che all’epoca era il mio fidanzato, e dopo un paio d’anni abbiamo fatto questo film insieme, L’inverno di Nina Di Majo, e da lì è cominciata questa amicizia che però ha preso tutto il tempo che ha voluto e ha dovuto per diventare quello che è oggi. Nel nostro mestiere, spesso succede che nascano dei rapporti molto veloci, e anche molto fagocitanti, in cui per la natura del nostro lavoro si diventa estremamente intimi con persone con cui però non c’è una vera base di amicizia. C’è l’entusiasmo, la curiosità, la voracità di conoscere l’altro e di farsi conoscere, però non è detto che siano delle cose durevoli.

Per un certo periodo sembra di essere diventati fratello e sorella, o due sorelle, ma non è detto che sia vero, che queste cose restino. Ne ho avuti di episodi così, di coup de foudre con persone a cui voglio ancora bene e che però poi non sono durati nel tempo. La nostra durata penso sia dovuta al fatto che questa amicizia ci è cresciuta dentro per scelta, e anche un po’ per le circostanze. Abbiamo lavorato spesso insieme, anzi, da un certo punto in poi abbiamo proprio scelto di farlo. E poi abbiamo cominciato a fare le vacanze insieme, però tutto nel tempo… ormai parliamo di 23, 24, 25 anni. La nostra amicizia è un senso di appartenenza, uno specchio, no? [VBT annuisce] Che non vuol dire per forza andare d’accordo su tutto. È la naturalezza che esiste tra due persone che possono stare insieme anche senza dirsi niente – anche se è raro che noi stiamo zitte, eh?

VBT: Mmm…

VG: È molto raro. Però abbiamo un’intimità tale che possiamo essere sole pure stando insieme. L’altro giorno dovevo andare in albergo a Parigi, avevo un bell’hotel, poi sono venuta a casa tua e non me sono più andata… e non me ne andrò. Perché pensi: “Dove sto meglio? Dove mi sento più a casa? Dove mi diverto di più?”. Qui, a casa tua, dove posso stare totalmente a mio agio, dove non devo sempre rappresentarmi in qualche modo, posso essere anche al mio peggio… sei d’accordo?

VBT: Chiaramente non c’è che da essere d’accordo. Ma ti vorrei dire… ecco, a me sembra che noi, il nostro essere insieme… siamo come una di quelle coppie uomo-donna – o donna-donna, o uomo-uomo – insomma quelle coppie che lavorano insieme ma per le quali la vita viene sempre prima. Il nostro legame è la vita prima del lavoro. È la vita che è passata, che abbiamo attraversato, i dolori, i sogni, anche il lavoro… però è vita. Nella nostra amicizia la precedenza la do alla vita, e questo forse è un po’ difficile da spiegare.

VG: No no, si capisce…

VBT: Quello che ha nutrito il nostro rapporto più di tutto sono tutte le nostre esperienze di vita, anche i nostri spaventi, anche le nostre vittorie sono condivise. E poi il lavoro è andato avanti piano piano, con un percorso che non è stato deciso prima. Non è che avessi da sempre pensato di filmarti, poi mi è venuta come un’evidenza e lì… lì ti ho obbligata, perché volevo proprio che tu fossi nel mio film. Per Actrices è stato forse un pochino più facile, però poi ne I villeggianti ti ho proprio obbligata…

VG: Mi hai obbligata, sì.

VBT: Ma non è arroganza…

VG: No, è una specie di ostinazione, di volontà.

VBT: Non lo farei se non fossi tu, perché con te è come essere in famiglia. Mi sento molto vicina a dire che sei mia sorella, poi non lo posso dire perché…

VG: … perché c’è una sorella.

VBT: Invece lo posso dire, perché non ci sono solo i legami di sangue. Il fatto che io, per esempio, faccio molti sogni con te vuol dire che nel mio inconscio c’è qualcosa per cui ti identifico con una parte di me stessa. Ci rispecchiamo l’una nell’altra, e c’è qualcosa di molto profondo per me nel nostro identificarci l’una nell’altra pur essendo…

VG: … molto diverse. È vero.

Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino sulla cover del nuovo numero speciale di Rolling Stone. Foto: Nicholas Fols

Valeria Golino, look: Dolce & Gabbana. Valeria Bruni Tedeschi, look: Actualee. Foto: Nicholas Fols

VBT: È strano, ma è l’unico rapporto così che ho nella mia vita. Un rapporto davvero di sorellanza, di amicizia, in cui c’è anche il lavoro, in cui c’è l’ansia… cioè, c’è la mia ansia, che butto tutta su di te. Però non mi sento in colpa.

VG: Dovresti sentirti in colpa invece! [ride] Oggi avevamo tutte e due l’ansia, ma te si vedeva tantissimo che avevi ansia, la esprimevi in tutti i modi, volevi che fosse chiaro.

VBT: E tu invece niente…

VG: Quando mi chiedi: “Ma non hai ansia?”, io vorrei dirti: “Sì che ce l’ho, ho solo un modo diverso di esprimerla”. Io mi chiudo a riccio, tu invece gridi: “Aiuto, c’ho l’ansia!”. Siamo molto diverse, ma anche molto simili per certi versi. E siccome non siamo qui a parlare di noi solo personalmente ma anche per il nostro lavoro, la verità è che, al di là delle diversità caratteriali, ci piacciono molto le stesse cose, a proposito di senso di appartenenza. È una questione di gusto, di dialettica, di estetica, di politica, di tutte le cose che uniscono o disuniscono le persone. Abbiamo molto spesso le stesse intuizioni rispetto alle cose.

VBT: Però ci siamo anche modificate, non si sa come ma ci siamo modificate. Io mi sono modificata guardando te sul lavoro, tu guardando me. Io ho iniziato a fare dei film come regista prima di te, poi l’hai fatto tu, e i tuoi film mi hanno influenzata, poi i miei hanno influenzato te… Le cose girano, non si sa come, è una cosa misteriosa. Però vivendo insieme ci si mischia, anche l’inconscio si mischia. Facciamo la nostra vita insieme, anche se non viviamo nella stessa città. Però la vita la viviamo insieme, la guardiamo insieme, la riflettiamo insieme, la soffriamo insieme. Siamo sullo stesso cammino… ecco, io mi sento sullo stesso cammino tuo. Oggi sono contenta, mi dico: “Meno male che sono sullo stesso cammino di Valeria”.

VG: Che siamo in due. Aspetta però, perché così sembra che stiamo qui a cantarcela e a suonarcela da sole… Che andiamo sempre d’accordo su tutto, che io dico quanto sei brava tu, e tu mi dici quanto sono brava io…

VBT: È vero. Ce la cantiamo e ce la suoniamo…

VG: Due trombone!

VBT: [Ride] Mi piace trombone! Due trombone tanto soddisfatte.

VG: Ma lo vogliamo dire che siamo piene di dubbi, mai soddisfatte, mai contente di noi?

VBT: Sì, però è bello che siamo in due, perché se no sarebbe davvero troppo angosciante. Mi sento molto fortunata a essere in due in questa stradina spaventosa che è la vita.

VG: La stradina spaventosa… [ridono]

VBT: È come una stradina che nel 2000 abbiamo preso insieme, e che poi non abbiamo mai abbandonato. Per esempio, per i miei quarant’anni ho detto: “Quello che sogno è fare un viaggio con te”. Perciò siamo andate in viaggio insieme, a Lamu, e mi ricordo – questo mi è restato proprio impresso – che siamo partite, e dopo quattro ore sull’aereo ci hanno detto: “C’è un problema tecnico, dobbiamo tornare”. E così, dopo quattro ore, siamo tornate a Parigi, abbiamo dormito a Parigi, e siamo ripartite… Ma quando sull’aereo ci hanno detto: “Torniamo indietro”, io ti ho detto: “Ma guarda cosa ci è successo, Vale…”. E tu mi hai risposto: “Ma questo è già il nostro viaggio, siamo già in viaggio”.

VG: Ogni cosa fa parte del viaggio, sì.

VBT: Noi siamo in viaggio insieme da vent’anni, e questo viaggio ha tutte le sue tristezze, le sue sconfitte, le sue vittorie, però quello che c’è veramente, che c’è anche ora che abbiamo fatto queste foto… ecco, c’è allegria. C’è sempre allegria.

Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino fotografate per Rolling Stone. Foto: Nicholas Fols

Valeria Golino, look: Isabelle Blache Paris; scarpe: Fendi gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: Giada; scarpe: Aquazzurra; gioielli: Giulia Di Properzio. Foto: Nicholas Fols

PARTE 2 — LE AUTRICI

VG: Quest’allegria si trasferisce anche nel lavoro con te. C’è questo senso dell’umorismo anche nel dolore, che però non è mai sarcasmo, non è mai cinico. Cinismo e sarcasmo sono una cosa, il senso dell’umorismo, e anche il senso del ridicolo, un’altra. Oggi ci sono dei grandissimi registi che fanno dei bellissimi film, però il loro cinismo e il loro moralismo è molto evidente. Sono film molto interessanti, che però hanno sempre dentro una sorta di moralismo cinico. Io penso che tu e io, pur facendo film molto diversi, siamo romantiche e amorali, che è una cosa che si mette contro questa moda dei film cinici e moralisti.

[VBT ride]

VG: Non dovremmo essere amorali, però lo siamo, eccoci qua. Questa è la mia teoria, e questo tuo essere romantica, questo tuo non avere giudizi sulle cose, questo tuo essere sempre come in un altro interregno dove non esiste quello che la società ci impone di pensare… questa cosa tua mi incanta proprio, anche quando sono diretta da te, perché mi dai questo senso di libertà e di protezione. I tuoi film sono molto diversi nella forma rispetto ai miei, perché quasi tutti hanno una matrice autobiografica molto più evidente. Anche Les Amandiers, che in italiano era Forever Young, e in cui tu non ci sei – ma ci sono degli attori meravigliosi, penso al lavoro incredibile che ha fatto Sofiane Bennacer o Louis Garrel che hai voluto nella parte di Chéreau –, ha una matrice autobiografica molto forte. E tu è come se fossi una fucina, una macchina attraverso cui filtri tutto quello che vivi.

Lo filtri tramite la tua personalità, lo elabori e lo ricacci fuori nei tuoi film. La cosa che a me interessa dei tuoi film è che, nonostante questa cosa pericolosa che fai – perché l’autofiction non è la mia tazza di tè, soprattutto in questi tempi in cui siamo sommersi di autofiction, in letteratura ma anche al cinema –, tu attraverso l’autofiction crei bellezza. Succede in È più facile per un cammello, succede in Actrices, succede in Un castello in Italia, esattamente come è successo per Woody Allen o per Nanni Moretti. L’autobiografia entra nell’arte e crea delle cose meravigliose. Io non ho questa cosa qui, perché non faccio autobiografia, però travesto tutto quello che mi riguarda con le storie degli altri, mi nascondo dentro quelle storie, mentre tu ti esponi direttamente, perché spesso sei anche l’attrice dei tuoi film, mentre io dei miei non lo sono mai stata. E la differenza vera è che fai dei film bellissimi, non è che metti tua madre o il tuo fidanzato in cose che poi lasciano il tempo che trovano. È come rielabori la realtà, come la mostri, come la interpreti, quanto umorismo ci metti, quanto dolore, che crea dei grandi film. Mi ricordo che ne I villeggianti, a parte alcune delle scene che ho fatto io – e non mi dimenticherò mai l’esperienza di quelle scene, cosa voleva dire esserci, i dialoghi, la maniera in cui dirigi gli altri attori, l’atmosfera che c’era, e la tua mamma, e tua zia che adesso non c’è più – ecco, mi ricordo questa piccola scena che hai messo in quel film e che ogni volta che la vedo mi trafigge.

VBT: Quella a letto.

VG: Sì, quella a letto.

VBT: C’è mia figlia lì.

VG: Quella scena. Tu prendi una piccola cosa e la porti in alto.

Valeria Golino, look: Isabelle Blache Paris; scarpe: Fendi; gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: GIADA; scarpe: Aquazzurra; gioielli: Giulia di Properzio. Foto: Nicholas Fols

Valeria Golino, look: Isabelle Blache Paris; scarpe: Fendi; gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: GIADA; scarpe: Aquazzurra; gioielli: Giulia di Properzio. Foto: Nicholas Fols

VBT: Io ho bisogno di sentire che, quando lavoro, è come se tenessi una specie di diario. Devo raccontare qualcosa di me oggi, come sono io oggi, anche quando faccio l’attrice. Anche quando faccio film che non hanno apparentemente a che fare con la mia vita ho bisogno di dire: “Oggi come sono? Cosa devo dire? Chi sono?”. Perciò srotolo questo diario, tutta la mia vita, in modo più o meno autobiografico, anche se come dicevi tu i miei film sono spesso largamente autobiografici. Ma anche quando non lo sono, anche quando faccio film che sembrano lontani da me, c’è sempre questo diario che srotolo, in cui confesso quello che sono, ed è proprio questo a darmi ossigeno nel mio lavoro: il ristoro della confessione.

Ecco, se devo trovare una parola per definire il mio lavoro, è confessione. E di solito uno si confessa delle sue colpe, ma per me in questa confessione non c’è solo la colpa: c’è anche la cura, c’è la rabbia. Confesso la rabbia, confesso i sogni, confesso la solitudine. Qual è la mia solitudine oggi? Non è la stessa di due mesi fa. Tutto questo lo faccio come in un diario che cambia di continuo, in cui cerco di essere molto precisa e onesta. Per questo ho bisogno del mio lavoro, perché se no è come se non avessi un posto dove confessarmi. Certo, c’è la psicanalisi, ci può essere anche l’amicizia… però il mio lavoro mi dà davvero questo, è veramente il posto in cui respiro. Potrei anche non vivere l’amore, ma non potrei non lavorare. Il lavoro per me è più necessario del respiro. Ma non il lavoro in quanto carriera: il vero lavoro è la connessione con gli altri, toccare delle cose mie, trasformarle. Questa trasformazione attraverso il lavoro mi è vitale.

VG: Per me è diverso, nel senso che i tre film che ho fatto, perché ne ho fatti molti meno di te…

VBT: Però questo qui (L’arte della gioia) vale come due film.

VG: Eh, questo è grosso…

VBT: Sono tre, quattro film!

VG: Ho fatto tre film, uno parla di una ragazza che aiuta il suicidio assistito (Miele), l’altro di un uomo che cerca di nascondere al fratello la sua morte imminente (Euforia), e il terzo (L’arte della gioia) è la storia di questa ragazza del 1900 che, adattandosi, riesce ad arrivare dove arriva, cioè a cambiare il suo destino, nonostante sia sempre il suo passato a muoverla… Ma questi film sono talmente rimpinzati, imbottiti di cose mie, di esperienze mie, di cose provate da me, di cose della mia vita, che sono ciò che mi somiglia di più tra tutto quello che ho fatto nella vita. Però quei film non sono mai presentati come se fossero una cosa mia, vivono sempre dentro il contesto di qualcun altro, travestiti da qualcos’altro, pur essendo così intimi e personali. Io vivo il mio fare cinema in un modo diverso da te, che ti esponi di più, ma anch’io lo vivo in maniera più personale rispetto a quando faccio l’attrice. Di certo ci accomuna il fatto che quando diciamo “lavoro” intendiamo la stessa cosa. Il lavoro è il momento in cui fai, e per me questa è una cosa che sta diventando negli anni sempre più importante, che mi coinvolge completamente. È quasi come se la mia libido si fosse trasferita nel lavoro.

VBT: Potrei dire la stessa cosa anch’io…

Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino fotografate per Rolling Stone. Foto: Nicholas Fols. Valeria Golino, look: Blazé; gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: Blazé; gioielli: Barbara Biffoli

Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino fotografate per Rolling Stone. Foto: Nicholas Fols. Valeria Golino, look: Blazé; gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: Blazé; gioielli: Barbara Biffoli

PARTE 3 — LE DONNE

VG: Vale, hai detto che con queste foto abbiamo fatto un gesto femminista.

VBT: L’ho detto perché trovo che queste fotografie siano un gesto – ora dirò una grande parola – politico. È un gesto politico quando si mettono i piedi in un tabù, in qualcosa che per qualcuno è ancora un problema nella società. Per esempio, io trovo che per molti sia ancora un problema per le donne il fatto che, a una certa età, possano avere a che fare con la sensualità, con l’erotismo, con la seduzione… è ancora un po’ hhhmmm [fa un verso schifato con la bocca]. Allora il fatto di mettere i piedi in questa specie di tabù trovo che sia un gesto politico perché è un gesto liberatorio, e io in questo senso lo trovo un gesto femminista. Perché cosa vuol dire femminismo? Il femminismo è l’uguaglianza dei diritti nella sfera privata e pubblica degli uomini e delle donne. Nella sfera pubblica, gli uomini hanno la possibilità di sedurre fino a 120 anni, le donne no. Allora il fatto di fare questo, come lo facciamo noi, a nostro modo, con in più il fatto che non siamo rifatte, almeno per adesso [ridono]… ecco, tutto questo ci rende possibile anche fare le stupide…

VG: … e insieme essere attraenti…

VBT: Sì, fare un po’ le seduttive, alla nostra età, divertendoci, restando eleganti lo stesso.

VG: Io sono d’accordo con te, ma, almeno per quanto mi riguarda, trovo che questo tabù sia proprio insito in noi. La società ce l’ha indotto, ma io stessa ho difficoltà ad abbatterlo.

Valeria Golino, total look: Miu Miu. Valeria Bruni Tedeschi, look: Isabelle Blache Paris; gioielli: Giulia Di Properzio. Nicholas Fols

VBT: Certo, perché va avanti così da secoli. È questo il femminismo: cercare di andare contro secoli di autocensura. Le donne, in fondo, hanno ancora problemi a imporre la loro voce, perché per secoli sono state imbavagliate. Non noi, ma per molte donne è ancora così. Il fatto che noi facciamo film vuol dire che possiamo far sentire la nostra voce. Fare la regista è stato il mio modo, all’età di 35 anni, di far sentire a un certo punto la mia voce. Lo farò bene, lo farò male, sarò talentuosa oppure no, ma ho voglia di cantare la mia canzone.

VG: Cantare la mia canzone… che bello. Io ci ho impiegato più tempo, e adesso col senno di poi mi dico: “Ma perché ci ho messo così tanto?”. Ho aspettato fino a 45 anni per fare il mio primo film da regista (Miele). Non che sia importante per nessuno, ma per me lo era.

VBT: E perché hai aspettato?

VG: Perché avevo un senso di inadeguatezza basato sul fatto che ero attrice, che ero conosciuta, che ero carina… Mi basavo su una rappresentazione di me che non era solo la percezione degli altri, era anche la mia, e dunque, per quanto mi piacesse, per quanto avessi quella passione da sempre, da quando avevo vent’anni…

VBT: La passione di filmare, di fare foto… tu molto più di me.

VG: È vero, e tu lo sai. Sono sempre stata ossessionata dalla forma del cinema, però ho aspettato fino a 45 anni perché mi autocensuravo.

Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi: il cinema

VBT: Ecco, questo per me è il femminismo. È forzare una porta che era ancora un po’ chiusa, ma in senso positivo. Per me il femminismo non è odio verso gli uomini, ma amore verso sé stessi e verso la propria libertà. Per questo io mi sento femminista a mio modo. Perché c’è un’altra cosa importante da dire sull’ultra-femminismo di oggi: che non c’è umorismo. E noi invece abbiamo, secondo me, tanta autoironia. Per me l’autoironia è un elemento fondamentale.

VG: Tu, anche quando sei disperata, fai molto ridere, e quindi questa stradina percorsa insieme a te non è mai noiosa: può essere faticosa, però non è mai noiosa. Ci sono sempre tre, quattro, dieci strati di cose in quello che fai. Le cose non sono mai solo quello che sembrano in quel momento, ce ne sono tante altre sottotraccia.

VBT: C’è complessità.

VG: E invece viviamo un momento in cui la complessità è rifiutata, in cui le nuance quasi non esistono più.

VBT: C’è un movimento contro la complessità, e mi spaventa tantissimo, perché invece la complessità, l’amore per la contraddizione, trovo che sia essenziale sia artisticamente che politicamente, moralmente.

VG: Anche perché, se non c’è complessità, non riesco a capire dove si va a prendere la drammaturgia. La drammaturgia in sé è basata sulla complessità, sulle contraddizioni, sul torto.

VBT: Finisce che la drammaturgia diventa più convenzionale, più basata sui cliché, forse più gradevole per le persone che hanno bisogno di ritrovarci delle cose che già conoscono, ma più politicamente corretta, meno disturbante. E anche più semplice. Ma per me tutto questo non ha a che vedere con l’arte, ha più a che vedere con dei prodotti che confortano, che tranquillizzano…

VG: Che danno delle risposte.

VBT: Questo mi mette molta ansia. Non mi dà gioia vedere questi film qui, leggere questi libri qui. La gioia me la danno le opere che interrogano il mistero.

Valeria Golino, look: Miu Miu; gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: Fabiana Filippi. Foto: Nicholas Fols

PARTE 4 — LE ATTRICI

VBT: Non è tutto deciso, nel nostro mestiere. Dipende molto da quello che succede, e a volte accadono incontri con dei registi che ti vedono. E dipende anche da come cambiamo noi e da come ci facciamo vedere, cambiando nella vita, negli anni. Per esempio, il fatto di aver fatto il tuo film [L’arte della gioia] non è che l’ho deciso a tavolino. Ho letto la sceneggiatura e ho avuto voglia di farlo. Sono degli slanci, sono venuta, abbiamo fatto dei provini, mi hai invecchiata, neanche poi così tanto… [sorride] e alla fine ho fatto questo film stando semplicemente connessa alla solitudine e alla complessità di quel personaggio scritto benissimo. Perciò sono andata lì dentro.

VG: Ti ricordo che tu hai visto solo le prime due puntate…

VBT: Le prime tre.

VG: Nella terza puntata appari giusto un momento… le puntate 4, 5 e 6 sono le tue puntate, e tu non le hai proprio viste. Eppure, hai fatto questo film con una specie di… sembri proprio abitata. Sei una roba eccezionale, secondo me e secondo tutti, e tu invece non ti guardi, non ti sei vista. Quindi il tuo giudizio ti fa più paura del giudizio degli altri…

VBT: Certo.

VG: Anche a me. Il giudizio degli altri fa piacere, soprattutto se è complimentoso. Fa molto piacere. La percezione degli altri è importantissima, e fa parte del nostro lavoro. Facciamo questo mestiere per essere guardati dagli altri, non per vedercelo io, mammeta e tu. Noi siamo alla mercé del giudizio degli altri, che ci piaccia o no. Se poi vieni percepito, come spesso accade a noi, con entusiasmo e benevolenza, be’, è una fortuna. Ma ci siamo anche protette. Io, per esempio, non ho nessun tipo di social, non li ho mai avuti, e uno dei motivi è perché non voglio sapere, di volta in volta, se quello che ho detto e che ho fatto è giusto o meno. Quella roba lì non mi riguarda.

VBT: Neanche a me.

VG: E soprattutto, non voglio che mi riguardi. Io voglio anche poter dire delle cazzate, fare degli errori, e prendermi dei rischi, anche da artista, senza avere la paura del giudizio degli altri. Quella paura a cui siamo tutti abituati oggi. Perché questo rapporto con il giudizio degli altri ormai lo vivono tutti. C’è sempre stato, da che mondo è mondo, ma in questo momento è amplificato all’ennesima potenza dal fatto che siamo esposti in continuazione, non solo noi attori… tutti, in continuazione. E ci becchiamo in continuazione i pareri degli altri sul nostro comportamento, sulla nostra voce, su come siamo vestiti, e questo succede perché ci esponiamo a nostra volta, perché vogliamo essere ammirati. E poi, alla fine, da tutto questo esporci ci prendiamo un sacco di calci in culo. Io non voglio sapere niente, io mi proteggo dal giudizio. Poi ci sono sicuramente persone a cui non piace quello che faccio, a cui non interessa il mio lavoro. Ma voglio stare a sguazzare in quello che faccio…

VBT: Libera!

VG: Libera di dire, di fare…

Valeria Golino, look: Isabelle Blache Paris; scarpe: Fendi gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: Giada; scarpe: Aquazzurra gioielli: Giulia Di Properzio. Foto: Nicholas Fols

Valeria Golino, look: Isabelle Blache Paris; scarpe: Fendi gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: Giada; scarpe: Aquazzurra gioielli: Giulia Di Properzio. Foto: Nicholas Fols

VBT: Io non voglio neanche dovermi mettere davanti al mio, di giudizio, per quello mi vedo sempre di meno. Poi penso che alla fine L’arte della gioia la guarderò, però voglio essere libera dal mio giudizio. Guardandomi, mi imprigiono. Rimango sempre esterrefatta dal tempo che passa sul mio viso, da come cambia… tutto questo mi annoia, non ho voglia di pensarci. Voglio essere libera di lavorare a un personaggio per quello che il personaggio è, e non per il giudizio estetico, esteriore, anche di me stessa. Perciò mi guardo sempre di meno, così posso immaginarmi come voglio. Questa cosa non mi ha mai aiutato nel mio lavoro, neanche quando ho fatto Les gens normaux n’ont rien d’exceptionnel, che citavi prima. Mi ricordo che, dopo che mi ero vista a Locarno, sono andata in camera mia, mi sono nascosta lì, e non sono restata neanche per la serata dei premi, sono partita. Mi vergognavo, mi trovavo orribile.

Ho un rapporto con me stessa quando guardo i miei film – a parte i miei film come regista, lì è diverso – che non mi interessa, mi annoia… e allora ho deciso di non vedermi più. Perché non è importante. Non mi aiuta nel mio lavoro osservarmi, studiarmi, guardarmi. Ho voglia di fare altro, di pensare ad altro, di leggere poesie, invece di soffrire perché invecchio… non mi importa. Mi importa se mai il fatto che L’arte della gioia parla della complessità dell’essere umano, anche grazie al lavoro di tutti gli attori e le attrici, e penso sia a quelle nominate e premiate come Tecla [Insolia] e Jasmine [Trinca], ma anche ad Alma Noce, che è eccezionale, e tutte le altre. L’arte della gioia parla della complessità di cui dicevamo prima, e che oggi sembra così difficile da raccontare. Parla del fatto che in ciascuno di noi ci sono cose meravigliose e anche mille contraddizioni, e ci sono misteri che non si possono svelare. Riesce umilmente a parlare del mistero dell’essere umano… dico umilmente perché non vuole dare una lezione, ma si avvicina a questo mistero. Io amo i personaggi che portano questo mistero.

Valeria Golino, kimono: SILKOLOGIE; gioielli: Pomellato. Valeria Bruni Tedeschi, kimono: SILKOLOGIE; gioielli: Barbara Biffoli. Foto: Nicholas Fols

Valeria Golino, kimono: SILKOLOGIE; gioielli: Pomellato. Valeria Bruni Tedeschi, kimono: SILKOLOGIE; gioielli: Barbara Biffoli. Foto: Nicholas Fols

PARTE 5 — LE EREDI

VBT: Il fatto di lavorare insieme, io e te, di fare le cose insieme… questo è quello che mi dà un senso. Il mio lavoro ha senso per questi momenti qui. Quando morirò, sono questi i momenti che ricorderò del mio lavoro: con te, con mia figlia, con mia madre…

VG: … con le tue persone del cuore.

VBT: … e con le troupe che ritrovo film dopo film, e con i registi che ritrovo. Tutti questi fili intrecciati. Anche Bertolucci… Con Bertolucci ho fatto solo un cortometraggio di dieci minuti [Histoire d’eaux, contenuto nel film a episodi Ten Minutes Older: The Cello]…

VG: E sei arrivata in questa casa.

VBT: In questa casa, sì. Gli ho parlato su quel divano di quello che avremmo fatto insieme, e abbiamo girato il film qui a Sabaudia… una cosa piccolissima, ma per me è uno dei film della mia vita. E Bertolucci è restato un amico.

VG: Io in questa casa, come si dice a Napoli, sono entrat’ e sicc e mi so’ mis’ e chiatt [sono entrata magra e poi mi sono allargata]. Sono entrata pian pianino, chiedendo scusa. Bernardo non me la voleva nemmeno dare all’inizio, voleva solo ospitarmi. Poi piano piano sono riuscita a convincerlo, prima per un mese, poi per due, poi per cinque, poi per tutto l’anno… e adesso è così. Bernardo non c’è più, poi c’era Claire [People, sua moglie], adesso c’è Valentina [Ricciardelli] con la Fondazione Bertolucci… io ho il privilegio – perché lo sento come un vero privilegio – di poter passare il mio tempo qui. E non ha niente a che vedere con la possessione di una cosa, ma con l’abitarla, con l’esserci. È un posto che mi dà tanto, vengo qui a lavorare, a scrivere, a non fare niente, a farmi il bagnetto… è un posto che per me è necessario.

VBT: Avere un posto dove scrivere è molto importante.

VG: Sì, quasi tutti i miei film li ho in parte scritti qui, e anche L’arte della gioia l’ho montata per un mese e mezzo qui, dove è stato montato Piccolo Buddha, nella stessa dépendance. È, mi rendo conto, una cosa un po’ feticista, però è vero.

VBT: No no, io ci credo…

VG: Lui ha montato alcuni dei suoi film qui, e tutto questo si sente. Il nostro lavoro è fatto anche di questo…

VBT: … di energie. Io non ho un posto mio dove scrivere. Un po’ la casa di famiglia, dove lavoro molto. E ho camera mia a Parigi, sul mio letto proprio. E poi ho tanti bar, tanti caffè a Parigi. Però non ho, come dice quella scrittrice, una stanza tutta per me. Non ho la mia casetta, il mio posto, che invece tu hai qui. Mi piacerebbe, anche magari da molto vecchia, trovarlo.

VG: Sceglierlo.

VBT: O magari poi verrò qui anch’io.

VG: Ça va sans dire…

VBT: Ma i posti per me sono soprattutto gli incontri. Io oggi sono tutte le persone che ho incontrato, sono piena di loro. Sono piena della Seconda volta e di Mimmo Calopresti, piena di quel cortometraggio di Bertolucci, del film che ho fatto con Bellocchio, di Noémie Lvovsky, di Chéreau, di te Valeria, di Virzì. Sono piena di questi incontri felici, perché nella mia vita ho avuto proprio degli incontri felici che poi sono continuati… io sarò nel tuo prossimo film che farai come regista, vero?

VG: [Ride] Non è detto… nel senso che non lo so ancora.

VBT: Scherzo… Ma questa stradina che abbiamo preso noi due so che continua, e su questa stradina arrivano tante altre persone, anche quelle che non ci sono più. Chéreau è morto, ma io continuo a lavorare con lui. Anche i morti sono qui con noi su questa stradina, e io mi sento piena di loro, parlo con loro, li convoco, morti, vivi, quelli del passato, o anche quelli dei sogni come Woody Allen. Io lavoro con Woody Allen, ho dentro di me i suoi film…

VG: Lui però non lavora con noi [ride]. Ha lavorato praticamente con tutti, ma non con noi.

VBT: Adesso purtroppo non lavora più… Io mi sento piena dei miei incontri reali e immaginari, passati e presenti. Tutto il mio immaginario artistico sta su quel pianeta in cui salgo con la scaletta e che è pieno di queste persone che sono sempre lì, tutte le persone che sono veramente importanti, e ogni tanto ce n’è una nuova, come per esempio adesso ci sei tu come regista. E non sempre, però spesso, diventano anche persone della mia vita, diventano amici. C’è questo mischiarsi di vita, amore, lavoro, su quel piccolo pianeta allegro… che bello.

VG: Io posso dire tutto quello che hai detto tu, uguale, cambiano solo i nomi degli incontri. Si può andare da Francesco Maselli a Crialese, piuttosto che a Capuano, o a Sean Penn…

VBT: … o a me.

VG: Be’, te per forza. E Mario [Martone], Gabriele [Salvatores], Nicolangelo [Gelormini]…

VBT: E poi anche le persone con cui scriviamo… è una specie di corteo allegro come… cos’era? C’è un film di Nanni in cui c’è un corteo così… sì, Il sol dell’avvenire. C’è questo corteo che diventa una famiglia, la nostra famiglia. E cosa c’è di bello in questo corteo? Che ci sono anche i morti.

VG: Questo l’hai già detto, ma è molto bello.

VBT: Lo ridico.

VG: La cosa dei morti è stupenda, perché è vero, i morti ci sono sempre… Però non è sempre tutto rose e fiori, che sia chiaro, eh? Ci si fanno anche delle angherie, e su questo ci vorrebbe un’altra chiacchierata. Le angherie subite e che fai subire agli altri, anche alle persone a cui vuoi molto bene.

VBT: Esatto… anche tra di noi! Alla fine, Valeria, avevamo promesso che non ce la saremmo cantata e suonata da sole, ma è andata un po’ così.

VG: Sì, due cinciallegre! [ride]

VBT: Oggi ci è sembrato tutto bello, sì. Ma a volte, nelle cose, c’è anche sofferenza, e ci si può fare del male. Il bello è che, in tutto questo, non c’è mai mondanità. Io quello che odio davvero è la mondanità.

VG: Sì, la mondanità dei rapporti che non ci piace. Ma ogni tanto è bello andare nella leggerezza, persino nella frivolezza. Quasi tutte le persone intelligentissime e profonde che ho conosciuto erano anche molto leggere, e spesso anche frivole. Anche quello serve. E allora stasera andremo a una festa, e ci faremo il più carine possibile, e diremo un sacco di sciocchezze con il nostro champagnino in mano… eh, Valeria?

Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino fotografate per Rolling Stone. Foto: Nicholas Fols

Valeria Golino, look: Blazé; gioielli: Giulia Di Properzio. Valeria Bruni Tedeschi, look: Blazé; gioielli: Barbara Biffoli. Foto: Nicholas Fols

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Talents: Valeria Golino + Valeria Bruni Tedeschi
Photographer: Nicholas Fols
Interview Curated By: Benedetta Bragadini & Mattia Carzaniga
Video Interview: Benedetta Bragadini & Mattia Carzaniga
Editor in Chief: Alessandro Giberti
Producer: Maria Rosaria Cautilli
Art Director: Alex Calcatelli per Leftloft
Business Development Manager: Matteo Berciga
Fashion Editor: Francesca Piovano
Graphic Designer: Stefania Magli
VG Press Office: Ginevra Bandini per Fosforo
VBT Press Office: Daniele Orazi per DO Cinema
Talents Image Consultant Manager: Eleonora Pratelli per Suite19 Pr
EP Style Assistant: Paola Bonato per Suite19 Pr
Talents Makeup Artist: Nicoletta Pinna per Simone Belli Agency
MUA Assistant: Jasmine Franciosi per Simone Belli Agency
Talents Hair Styling: Roberto D’Antonio
HS Assistant: Paulo Oliveira per Roberto D’Antonio
Director/DOP: Riccardo Sergio
Camera Operator: Marco Curcio
Sound Engineer: Stella Lorusso
Photographer Assistant: Cristiano Temporin

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