‘La taverna di mezzanotte’ e quello che crediamo di sapere sulla cucina giapponese | Rolling Stone Italia
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‘La taverna di mezzanotte’ e quello che crediamo di sapere sulla cucina giapponese

Un manga e una serie (ben conosciuta) su Netflix correggono molti degli stereotipi occidentali sulla tradizione gastronomica nipponica. E in Italia, quest'anno, è uscito l'ultimo volume della serie

cucina giapponese

Foto: Xavier Chng su Unslash

Quando la fantasia occidentale immagina il Giappone pensa a ramen, mochi e sushi, ai noodles istantanei dei kombini, ai sando con insalata di uova oppure fragole fresche, bibitoni da shakerare con ghiaccio, matcha in ogni declinazione. L’ascesa della fascinazione per il Giappone e la sua cultura culinaria si basano in larga parte su una realtà filtrata da Instagram e TikTok, una conoscenza parziale e un po’ stereotipata che, nonostante tutto, ci avvicina e incuriosisce verso il mondo alimentare nipponico. Mitizzato come cucina sempre sana, custode di segreti di lunga vita, oggi siamo ossessionati dalla cucina giapponese, eppure ciò che conosciamo non è che la punta di un iceberg. E pensare che nell’Ottocento, quando gli Stati Uniti prima e altri Paesi europei poi, cominciarono a firmare accordi commerciali con il Giappone, era praticamente il contrario.

Vedendo per la prima volta gli occidentali, con una costituzione forte e robusta, i giapponesi si convinsero che l’alimentazione degli europei e dei nordamericani fosse migliore. Come spiega la BBC in un articolo che racconta la cucina yoshoku (ovvero piatti occidentali rielaborati in Giappone), fu con l’apertura all’Occidente e alla sua cucina, e tramite la Restaurazione Meiji, che la popolazione giapponese potè tornare a mangiare carne, pratica che nel millennio precedente era stata ampiamente proibita. Nello specifico, nel 1872, fu annunciato alla nazione che l’imperatore Meiji aveva mangiato carne di manzo (si cominciò a credere che la carne rendesse più alti, forti e in salute).

Avanti veloce: nel dicembre 2013, l’Unesco aggiunge la cucina tradizionale giapponese alla lista dei Patrimoni Immateriali dell’Umanità, il turismo di massa prende d’assalto lo street food di Tokyo, gli izakaya e i ristoranti stellati, spesso romanticizzando l’esperienza. Se c’è qualcuno che del fascino di una taverna giapponese un po’ sgangherata ne ha fatto un’arte, quello è Yaro Abe, manganaka classe 1963, che nel 2006 ha dato vita al suo manga più noto e di successo: La Taverna di mezzanotte: Tokyo Stories. Un manga incredibilmente longevo, che ha trovato successo internazionale nel corso degli anni, anche grazie alla produzione Netflix di due stagioni della serie omonima, Midnight Diner: Tokyo Stories, nel 2019. In Italia, la serie de La Taverna di mezzanotte è arrivata con più di un decennio di ritardo – ma meglio che mai – grazie a Bao Publishing che, nel 2020, ha pubblicato il primo volume e, da allora, ha proseguito con cadenza semestrale, arrivando nel luglio 2025 all’undicesimo.

La taverna di mezzanotte

Foto: press

La taverna di mezzanotte è un fumetto culinario, un tributo alla cucina giapponese e ai suoi ingredienti, che danno il nome a ognuno dei capitoli del manga. Ma non è un libro di ricette: qui il cibo è contenitore di storie, veicolo di ricordi, mezzo per creare nuovi legami o per romperne di vecchi, è terreno di incontro e scontro, portale per il passato e il futuro. La taverna di mezzanotte è un minuscolo locale nel cuore del quartiere di Shinjuku, gestito da un uomo saggio e taciturno, con una grossa cicatrice sul viso. Nel suo locale, aperto tutte le notti, dai dodici rintocchi alle sette del mattino, il menu comprende solo un piatto di manzo e verdure, ma lo chef cucina volentieri qualsiasi ricetta gli venga richiesta, a patto che abbia gli ingredienti a disposizione o che gli avventori siano disposti a procurarglieli.

La clientela della taverna è varia e ricorrente (proprio come in un locale di quartiere) e nei capitoli antologici di Yaro Abe ci sono alcuni personaggi fissi che tornano a volte come protagonisti, altre come spettatori; ci sono nuovi volti, storie autoconclusive o persone che si rifanno vedere dopo molti mesi, se non anni.

Il fatto che la taverna sia nascosta tra i vicoli di Shinjuku non è casuale. Questo è uno dei quartieri di Tokyo più famosi e turistici, con quella che è definita la stazione ferroviaria più affollata al mondo. È sede del Tokyo Metropolitan Government Building, l’edificio monumentale della capitale, di grandi magazzini con facciate a led, di ristoranti di lusso e piccole botteghe che portano avanti quello spirito di controcultura che le animava negli anni Sessanta e Settanta. A Shinjuku c’è anche il quartiere a luci rosse più noto di Tokyo, nonché diversi punti in cui giocare d’azzardo o perdersi tra fiumi di alcool. È apparso in diversi film, come nella famosa sequenza di Lost in Translation di Sofia Coppola (2003). Recuperare l’anima di chi autenticamente vive e abita questo angolo tanto turistico è in qualche modo la missione di Yaro Abe.

Così, i personaggi del manga sono realistici in maniera assoluta: una cantante di karaoke, il capo di un clan criminale, una spogliarellista, un’indovina, un boxeur, un mangaka, aspiranti scrittori, coppie in crisi, investigatori privati, hostess e giocatori d’azzardo. Le dinamiche sono varie: un equivoco, uno scambio di persona, qualcuno con abitudini alimentari particolari, un avventore che vuole attaccare briga, un’altra che vuole sfogare un dispiacere nel buon cibo, qualcuno che torna nel quartiere dopo molto tempo.

Tra i personaggi ricorrenti ci sono, per esempio, un’illustratrice sempre alle prese con la dieta, Mayumi; un’ex ballerina di cabaret, Rumi; ledue crossdresser, Chi-chan e Tony-chan. Ci sono le inesauribili Ochazuke Sisters, tre colleghe impiegate che acquistano questo soprannome alla taverna per via del loro essere inseparabili e perché ordinano sempre un ochazuke (tè verde versato su riso bianco), guarnito ognuna alla sua maniera: una con salmone, l’altra con umeboshi (prugne conservate) e l’altra ancora con tarako (uova di Pollack d’Alaska marinate). Tre figure che raccontano solitudine metropolitana e solidarietà femminile, che non hanno peli sulla lingua nel consigliare o giudicare, spesso con tono ironico, gli altri avventori del locale.

C’è l’anziano Chu, perennemente seduto al bancone, da solo o in compagnia, mentre indossa un cappellino blu e assaggia le diverse specialità di cui lui o gli altri clienti fanno richiesta. In uno dei capitoli, Chu gusta un curry e subito ricorda la moglie scomparsa, per effetto della pietanza che, come spesso accade nel manga, si fa finestra sul mondo dei sentimenti.

Le ricette sono le più disparate, dalle occidentalizzate alle tradizionali, dalle casalinghe alle elaborate. Alla taverna di mezzanotte si gustano: chikuwa (torta salata di surimi), tofu con katsuobushi e olio di sesamo, la zucca lessa come vuole la tradizione nel giorno del solstizio d’inverno. E poi ancora: corn dog, maiale al kimchi, udon, stufato di taro, onigiri grigliati e mapo tofu. Di volume in volume, di capitolo in capitolo, un contorno di carote glassate fa innamorare un wrestler professionista, il condimento del riso con il nikogori (preparazione di pesce in gelatina) cambia improvvisamente le scelte di vita di una persona comune, lo stufato di tofu fa incontrare di nuovo due vecchi amici.

Tra le pagine del manga, mentre si scoprono prodotti e ricette – come fare l’umeboshi, come cucinare i kibinago (piccolissime aringhe), qual è il miglior modo di gustare il mentaiko – sembra di sedersi al banco della taverna e di entrare in una sorta di bolla, far parte dei clienti abituali che ascoltano le storie altrui, mentre si lasciano ammorbidire dall’ennesima porzione di un comfort food.

Nell’undicesimo volume, Yaro Abe ambienta le vicende tra la fine dell’era Heisei e l’attuale era Reiko, ovvero dal 2019 a oggi, e indugia su ricette estive come daikon con funghi nameko, cetrioli sotto crusca e melanzane fritte, nanbanzuke (altro piatto di pesce), negiton (riso bianco con un taglio di tonno grasso) condito con salsa ponzu. A ognuno di questi piatti, come da tradizione, corrisponde una storia tutta da scoprire. E che ci fa aggiornare le nostre conoscenze sulla cucina nipponica.