Canzone femminista
Due grandi attrici, due grandi autrici, due amiche, due donne. “Le Valerie” si raccontano nel nuovo numero speciale di Rolling Stone, una conversazione sul senso del femminismo oggi, tra autoironia, seduzione, libertà e la forza di rompere i tabù, anche attraverso il cinema
Foto: Nicholas Fols per Rolling Stone Italia
Un estratto dall’intervista realizzata con Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino, co-direttrice del numero speciale di Rolling Stone, Il Cinema, in edicola dal 25 agosto e disponibile nello store online.
Valeria Golino: Vale, hai detto che con queste foto abbiamo fatto un gesto femminista.
Valeria Bruni Tedeschi: L’ho detto perché trovo che queste fotografie siano un gesto – ora dirò una grande parola – politico. È un gesto politico quando si mettono i piedi in un tabù, in qualcosa che per qualcuno è ancora un problema nella società. Per esempio, io trovo che per molti sia ancora un problema per le donne il fatto che, a una certa età, possano avere a che fare con la sensualità, con l’erotismo, con la seduzione… è ancora un po’ hhhmmm [fa un verso schifato con la bocca]. Allora il fatto di mettere i piedi in questa specie di tabù trovo che sia un gesto politico perché è un gesto liberatorio, e io in questo senso lo trovo un gesto femminista. Perché cosa vuol dire femminismo? Il femminismo è l’uguaglianza dei diritti nella sfera privata e pubblica degli uomini e delle donne. Nella sfera pubblica, gli uomini hanno la possibilità di sedurre fino a 120 anni, le donne no. Allora il fatto di fare questo, come lo facciamo noi, a nostro modo, con in più il fatto che non siamo rifatte, almeno per adesso [ridono]… ecco, tutto questo ci rende possibile anche fare le stupide…
VG: … e insieme essere attraenti…
VBT: Sì, fare un po’ le seduttive, alla nostra età, divertendoci, restando eleganti lo stesso.
VG: Io sono d’accordo con te, ma, almeno per quanto mi riguarda, trovo che questo tabù sia proprio insito in noi. La società ce l’ha indotto, ma io stessa ho difficoltà ad abbatterlo.
VBT: Certo, perché va avanti così da secoli. È questo il femminismo: cercare di andare contro secoli di autocensura. Le donne, in fondo, hanno ancora problemi a imporre la loro voce, perché per secoli sono state imbavagliate. Non noi, ma per molte donne è ancora così. Il fatto che noi facciamo film vuol dire che possiamo far sentire la nostra voce. Fare la regista è stato il mio modo, all’età di 35 anni, di far sentire a un certo punto la mia voce. Lo farò bene, lo farò male, sarò talentuosa oppure no, ma ho voglia di cantare la mia canzone.
VG: Cantare la mia canzone… che bello. Io ci ho impiegato più tempo, e adesso col senno di poi mi dico: “Ma perché ci ho messo così tanto?”. Ho aspettato fino a 45 anni per fare il mio primo film da regista [Miele]. Non che sia importante per nessuno, ma per me lo era.
VBT: E perché hai aspettato?
VG: Perché avevo un senso di inadeguatezza basato sul fatto che ero attrice, che ero conosciuta, che ero carina… Mi basavo su una rappresentazione di me che non era solo la percezione degli altri, era anche la mia, e dunque, per quanto mi piacesse, per quanto avessi quella passione da sempre, da quando avevo vent’anni…
VBT: La passione di filmare, di fare foto… tu molto più di me.
VG: È vero, e tu lo sai. Sono sempre stata ossessionata dalla forma del cinema, però ho aspettato fino a 45 anni perché mi autocensuravo.

Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino sulla cover del nuovo numero speciale di Rolling Stone ‘IL CINEMA’, dal 25 agosto in edicola. Foto: Nicholas Fols
VBT: Ecco, questo per me è il femminismo. È forzare una porta che era ancora un po’ chiusa, ma in senso positivo. Per me il femminismo non è odio verso gli uomini, ma amore verso sé stessi e verso la propria libertà. Per questo io mi sento femminista a mio modo. Perché c’è un’altra cosa importante da dire sull’ultra-femminismo di oggi: che non c’è umorismo. E noi invece abbiamo, secondo me, tanta autoironia. Per me l’autoironia è un elemento fondamentale.
VG: Tu, anche quando sei disperata, fai molto ridere, e quindi questa stradina percorsa insieme a te non è mai noiosa: può essere faticosa, però non è mai noiosa. Ci sono sempre tre, quattro, dieci strati di cose in quello che fai. Le cose non sono mai solo quello che sembrano in quel momento, ce ne sono tante altre sottotraccia.
VBT: C’è complessità.
VG: E invece viviamo un momento in cui la complessità è rifiutata, in cui le nuance quasi non esistono più.
VBT: C’è un movimento contro la complessità, e mi spaventa tantissimo, perché invece la complessità, l’amore per la contraddizione, trovo che sia essenziale sia artisticamente che politicamente, moralmente.
VG: Anche perché, se non c’è complessità, non riesco a capire dove si va a prendere la drammaturgia. La drammaturgia in sé è basata sulla complessità, sulle contraddizioni, sul torto.
VBT: Finisce che la drammaturgia diventa più convenzionale, più basata sui cliché, forse più gradevole per le persone che hanno bisogno di ritrovarci delle cose che già conoscono, ma più politicamente corretta, meno disturbante. E anche più semplice. Ma per me tutto questo non ha a che vedere con l’arte, ha più a che vedere con dei prodotti che confortano, che tranquillizzano…
VG: Che danno delle risposte.
VBT: Questo mi mette molta ansia. Non mi dà gioia vedere questi film qui, leggere questi libri qui. La gioia me la danno le opere che interrogano il mistero.












