Donald Trump, Presidente della Repubblica dei morti viventi | Rolling Stone Italia
il colpo di coda del nostro tempo

Donald Trump, Presidente della Repubblica dei morti viventi

La seconda volta di The Donald non è un'aberrazione storica, ma l'espressione completa di un'epoca in declino. Così argomenta un saggio di Mimesis Edizioni, 'Pictorial Trump'. Perché tutto quanto sembrava sbagliato in lui alla fine ha vinto

Donald Trump, Presidente della Repubblica dei morti viventi

Donald Trump

Foto: Phelan M. Ebenhack per The Washington Post via Getty Images

Per molti esperti commentatori politici Donald Trump è più riconducibile a un fenomeno da baraccone che a uno statista degno di questa nome e del ruolo che ricopre per la seconda volta. Una figura scappata dal Circo Barnum e arrivata al centro del potere degli Stati Uniti e del mondo. Imprenditore fortemente discutibile, Trump ha sempre navigato al limite della legalità, con una sprezzante e aggressiva se non violenta condotta imprenditoriale. Una ricchezza proveniente dall’azienda immobiliare del padre, da lui trasformata in un brand mondiale frutto di narcisismo oltre ogni limite di guardia, ed egocentrismo all’ennesima potenza.

Un auto convincimento di invincibilità e superiorità sul prossimo, che per quanto patologico gli ha permesso di convincere anche molte delle persone con cui è entrato in relazione, in affari e infine in politica. Un convincimento che è frutto sia di un’innegabile capacità illusoria, ma anche di una forza di ricatto esplicitata nel suo modo di condurre le trattative, una modalità mai in realtà così efficace se non per il suo tornaconto personale, che sia economico o narcisistico.

Proporre o imporre un braccio di ferro dichiarando però di aver già vinto prima ancora di cominciare. Lì si concentrano le risorse di Trump, economiche e politiche: in una persuasione che precede sempre ogni azione. La vittoria è data già prima dell’inizio di ogni partita. Un fenomeno dunque considerato – evidentemente in maniera erronea – più un buffone di corte che altro, un tizio non troppo furbo, molto impacciato e da un girovita capace di rendere ogni suo movimento ridicolo. Probabilmente questa è sempre stata l’opinione di attori e celebrità e anche di politici come i Clinton, che lo hanno avuto al loro fianco come sostenitore e finanziatore per tutti gli anni Novanta. Evidentemente la scaltrezza e il cinismo di Trump superava il loro, raggiungendo quindi un livello fuori misura, di allerta assoluta. E così anche la sua capacità di produrre un impatto in quella fetta ampia di popolazione messa ai margini sia economicamente che nell’immaginario americano, sempre più vivido sulle due coste e attento alle politiche progressiste, ma assente – se non in maniera derisoria, comunque fortemente critica – in quell’interno infinito e non a caso ignoto ai più. Una terra estremamente impoverita e sopratutto incattivita, su cui non fa più presa da un decennio abbondante la politica padronale del partito Repubblicano. Così attraverso il movimento MAGA, Trump si è senza troppi giri di parole “comprato” quei voti.

Per provare così a comprendere al meglio la figura di Donald Trump, non è assolutamente possibile sintetizzare e tanto meno estrarne degli elementi singolarmente. Isolando infatti le varie parti che compongono la comunicazione dell’attuale inquilino della Casa Bianca se ne rivelano i limiti e le contraddizioni e di conseguenza si svela il gioco fatto di molto fumo e impostura prodotto da Trump. Ma si rischia così di non comprenderne l’efficacia, che sta tutta in quella marmellata che quotidianamente viene prodotta e in cui qualunque utente social rimane invischiato, chi più e chi meno. Un blob senza possibilità di tregua alcuna che impasta e ingloba ogni cosa.

Come Dracula, Trump trumpizza tutto quello che tocca marchiandone il senso e in molti casi segnando il destino di molte persone. Non serve dunque decostruire la follia assurda e violenta che sta alla basa della storia e del pensiero di Trump, ma occorre accoglierlo nella sua piena potenza e complessità memetica. Una complessità tale che è al tempo stesso estremamente banale. È nell’affollamento, nella contraddizione palese, nella mancanza di capacità di eloquio sottesa sempre a una forma latente di minaccia, ma anche di improvvisa compassione che in realtà è il segno della grazia del potente che s’impone sulla testa dei suoi sudditi, che prende forma l’estrema capacità seduttiva di Trump. Una figura totalmente aderente ai suoi tempi e un po’ come fu per Silvio Berlusconi in Italia, estremamente felice di esserlo.

Dunque prendere quello che viene semplicemente come quello che è. Qualunque cosa venga in mente, qualunque cosa possa avere un minimo aggancio spazio temporale con Trump va bene, perché Trump è sia il prodotto di un’epoca e di una società, sia la sua contraddizione e pure la sua negazione (restando sempre felice di esserlo).

Prova così non a sbrogliare la matassa, ma a renderla visibile per quell’insieme inestricabile di fili un bel saggio colto e raffinato di Andrea Rabbito, professore ordinario di Cinema, fotografia e televisione presso l’Università degli Studi di Enna con il saggio Pictorial Trump. Il ruolo politico delle nuove immagini (Miimesis edizioni). Le immagini sono tutto e ogni immagine contiene una fenomenologia complessa che ha senso di accogliere nella sua efficacissima superficialità, l’intuizione di Rabbito è proprio quella di leggere Trump come un oggetto fenomeologico, al pari del “Mike Bongiorno” di Umberto Eco.

pictorial trump

Foto: press

La forza di Trump è la sua assoluta e imperturbabile eccessività. Dagli ornamenti in oro al suo nome imposto a caratteri cubitali su ogni impresa che lo riguarda, Trump è eccesso in tutto e questa volgarità ed ingordigia estrema è stata interpretata per anni come una forma di debolezza. Il segno evidente di un giullare più che di un vero potente, un uomo esposto da sempre a brutte figuracce, a grane legali e a giudizi da parte di tutto l’establishment oltre che negativi estremamente taglienti. In teoria tutto questo avrebbe dovuto azzerare la sua popolarità, ma in realtà ha dato forma, grazie anche alla sua performance televisiva in The Apprentice, a una figura, magari una macchietta, ma estremamente riconoscibile e per molti anche invidiabile.

Scrive Rabbito: «Trump ha, infatti, lavorato sulla sua picture, l’ha imposta riuscendo non solo ad anestetizzare il giudizio critico della maggioranza nei confronti di quegli eccessi e di quelle scorrettezze che quell’immagine proponeva, ma rendendo perfino accettabile, con il passare del tempo, quel suo oltrepassare i limiti, quel suo essere irrispettoso, violento, bugiardo, per divenire espressioni di un modello da replicare; la picture trumpiana ha così inciso l’immaginario collettivo per attivare importanti modifiche, ha reso apprezzabile ciò che era condannabile; ha contribuito a dar vita a una trasformazione di forme di percezione e di pensiero che assecondassero il suo modello, per orientarle a divenire a sua immagine e somiglianza». Tutto quello che prima di Trump era considerato parte della società, ma solo perché minimamente tollerabile, ora è diventato totalmente mainstream.

Trump è a oggi la sintesi più precisa della società americana nella sua ferocia e nella sua follia, ma anche nel suo spiccio interclassismo, nella sua visione ampiamente apolitica, populista e fortemente edonistica. In sostanza tutto quello che oggi resta della cosiddetta civiltà occidentale tanto cara alle destre globali, una società maschilista, bianca e benestante più per quello che riesce a consumare che per quello che riesce a produrre. Una società agli sgoccioli, in via di esaurimento, ma di cui Trump rappresenta l’ultimo temibile e pericolosissimo scampolo, e come tale totalmente disinteressato alle conseguenze delle proprie azioni.

Donald Trump è il colpo di coda di un tempo che appare esaltante (nel senso più delirante del termine) quanto drammatico, e le cui azioni attuali potrebbero avere conseguenze determinanti non solo per la storia dell’Occidente ma dell’intero globo portandolo su strade fino a oggi ritenute totalmente insensate e ben più che imprevedibili. Il Presidente si muove con una disinvoltura e una libertà d’azione tipica di quella tipologia di uomo (di maschio) figlio di un tempo in cui ogni cosa era consentita in quanto e anche perché solo desiderata e voluta. Una dinamica che dà inevitabilmente forma a una gestione del potere autoritaria.

Una leggerezza patinata che Warhol seppe ben interpretare (tra l’altro l’artista condivideva con Trump il medesimo avvocato) e che nasconde sotto l’impronta del pop una violenza ideologica che fu premiante fino a quando gli Stati Uniti erano in grado di determinare realmente i destini del mondo, ma che risulta solo superficiale e incapace di comprenderne la complessità ora che gli spazi di manovra sono estremamente ridotti.

La deriva si è palesata con George W. Bush, ma è proseguita anche in parte con Obama e con una politica estera totalmente affrettata e confusa. E l’odio di Trump per Biden deriva da una riconoscibilità che fa di entrambi lati di una medesima medaglia, elementi di un tempo agli sgoccioli. La versione sensata e politicamente corretta di Biden ha lasciato spazio alla medesima visione del mondo ma priva di ogni scrupolo alcuno, eppure sempre della medesima natura per quanto assurda e violenta. E il pregevole lavoro di analisi di Andrea Rabbito non fornisce certo un anticorpo a Trump, ma in qualche modo aiuta a cogliere per tempo quelli che saranno inevitabilmente i suoi successori probabilmente ancora più folli e ancora più fuori controllo.

Per dirla con Giorgio Gaber, Pictorial Trump aiuta anche a trovare il Trump che è in ognuno di noi perché solo disattivando quella natura ed elaborandone l’istinto saremo davvero al riparo da derive anti-democratiche. Perché il sentimento generato da Trump non è estraneo a nessuno, pur con tutte le differenze del caso. La sua natura è organica a tutto quello che ci circonda, e che lui ha saputo assorbire fino a nutrirsene come uno zombie, trasformando così ogni cosa in un assurdo e pericoloso delirio narcisista di onnipotenza. Dalla notte della Repubblica alla notte dei morti viventi: eccoci qui in una tranquilla giornata del ventunesimo secolo.

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